Complottismo e maieutica
di Livio Cadè - 18/04/2022
Fonte: EreticaMente
Non ricordo con precisione quando avvenne. Del resto, non credo esista un momento esatto in cui si scopre d’esser complottisti. È una presa di coscienza che matura nel tempo. Forse assomiglia a quella consapevolezza dapprima incerta e riluttante con cui qualcuno capisce d’essere omosessuale. E poi, o ci si accetta, o si passa la vita a lottare con le proprie tendenze. Nel mio caso fu una rivelazione precoce. Le mie pulsioni complottiste mi si palesarono infatti già nell’infanzia. E, per quel che mi ricordo, non tentai mai di ostacolarle.
Tuttavia, immagino che ognuno possa ricordare un certo stimolo particolare, una certa circostanza concreta, che gli permette di riconoscere la sua anormalità. Per me fu il vedere mia mamma in dolce attesa, come si dice. Fu allora che cominciai a rendermi conto d’essere un complottista. Un fratellino che sbucava dal nulla. Il fatto mi appariva inesplicabile. Se chiedevo a mia mamma delle spiegazioni, mi diceva che un bambino era un dono del cielo. Non avevo ragione di credere che mentisse, tuttavia sentivo che mi veniva tenuta nascosta una parte di verità. Così mi lambiccavo il cervello cercando teorie più razionali.
All’uomo moderno sfugge la profondità di un tale mistero. Ma immaginiamo lo stupore di uomini primitivi, digiuni di fisiologia, di fronte a una donna che porta in grembo la vita. Anche loro se ne saranno chiesti la ragione. Vi avranno dapprima visto la semplice azione di spiriti, divinità, potenti antenati. Possiamo però supporre che alcuni abbiano cominciato a dubitare delle versioni tradizionali. A sospettare che dietro quel fatto vi fossero oscure trame ordite dalla natura. Scettici, eroici pionieri della scienza, abbastanza audaci da sfidare pregiudizi, dogmi e tabù. Quanti di loro si saranno immolati sull’altare di un’onesta e obiettiva ricerca, quanti i loro martiri, uccisi dai custodi della verità ufficiale?
Dunque anch’io, come quegli sventurati complottisti ante litteram, osai fin da bambino pormi domande sull’enigma del concepimento. Ero insoddisfatto dalle teorie correnti, come la cicogna o il cavolo. Guardavo con un certo disprezzo gli altri bambini, che si accontentavano di simili favolette. Ricordo ancora le diatribe tra cicognisti e cavolisti. Lunghe controversie, basate sull’ipse dixit più che sulla logica. Dispute sterili che lasciavano ognuno fermo sulle proprie posizioni. Da parte mia, non avevo certezze. Azzardavo alcune congetture, ma vaghe e confuse.
Poi venne l’età funesta dell’obbligo scolastico. E si sa che la scuola ha come scopo di uccidere l’intelligenza naturale dell’uomo e di seppellirla sotto nozioni inutili. Soprattutto, di togliere dalla sua testa le domande veramente importanti. Tuttavia, io non mi feci corrompere. E mentre perdevo tempo con cose futili, come la geografia o problemini d’aritmetica, rimuginavo dentro di me il Grande Problema.
Così, trascinai per alcuni anni le mie perplessità e i miei dubbi. Cercavo invano di raccogliere elementi utili all’indagine. Ero sicuro che dietro la narrazione comune dovesse celarsi un’altra spiegazione e che prima o poi l’avrei trovata. Conobbi altri bambini complottisti, ma non ne cavai nulla. Molti di loro avevano lasciato cavoli e cicogne solo per sostituirli con storie altrettanto fantastiche. Finché un nuovo venuto, con l’aria di chi è iniziato ai misteri, ci disse di ‘sapere’. Ci rivelò che i bambini nascevano dall’amore tra un uomo e una donna. Di più non disse. Era un’idea vaga, ma mi piacque istintivamente. Pensai fosse quella la strada per comprendere il fenomeno.
Il papà e la mamma si amavano, non avevo dubbi. Restava però da spiegare la meccanica del fenomeno. Su quella nuova base cercammo di fissare alcune traballanti ipotesi. La più accreditata era quella del bacio in bocca. I teorici del gruppo stabilirono che uomo e donna non dovevano semplicemente amarsi. Era necessario che fossero sposati perché l’atto del baciarsi avesse efficacia riproduttiva. Io non ero convinto. Vedevo gatti che non si baciavano né si sposavano, eppure figliavano lo stesso. Ipotizzai che il processo dipendesse dal cuore, da una sua facoltà germinativa. L’idea fu scartata. Obiettivamente, tutte quelle teorie denunciavano ancora gravi lacune.
Nel frattempo la mia fede nel complottismo si era consolidata. Avevo infatti risolto brillantemente il caso dei misteriosi regali che ogni anno ricevevo. Dimostrai, oltre ogni ragionevole dubbio, che Babbo Natale era un personaggio fittizio. Non dovevo più arrovellarmi per capire come un tale potesse in una notte portar regali ai bambini di tutto il mondo. O dove trovasse tutti quei giocattoli. O come potesse leggere milioni di letterine supplichevoli. Tristemente crollava un grande edificio di sogni. Ma è così che si diventa uomini.
Liquidata quell’illusione, mi concentrai sull’altro mistero. Ancora brancolavo nel buio. Quasi mi ero rassegnato finché una mattina – avevo circa undici anni – un mio coetaneo complottista, col quale avevo già discusso il problema, mi prese in disparte nel corridoio della scuola. Aveva una strana espressione maliziosa. Sembrava compiacersi della mia incredulità mentre mi riferiva quello che i suoi genitori, ritenendolo ormai maturo per partecipare di un tale segreto, gli avevano rivelato.
Rifiutai quella spiegazione. Escludevo che i miei, per mettermi al mondo, fossero ricorsi a simili commerci carnali. Era un’idea ripugnante, ridicola e senza senso. La mia teoria sulla fecondità del cuore era molto più razionale e dignitosa. In effetti, avevo notato tra i gatti curiose forme d’accoppiamento, e avevo sospettato fossero possibili anche tra umani. Inoltre, un amico mi aveva mostrato immagini inequivocabili su un giornaletto rubato al padre. Ma non vi vedevo alcun nesso con la maternità.
Era davvero quella la verità che avevo a lungo cercato? O era un’altra favola, solo più prosaica e volgare? La mia integrità scientifica mi impose di raccogliere e valutare obiettivamente i dati. Cercando di dissimulare la mia inesperienza, ne discussi con ragazzi poco più anziani di me. Sorprendentemente, trovavo solo conferme a quel nuovo paradigma. Un tale si vantò di possedere un testo scientifico sull’argomento. Me lo mostrò. Alla fine, superando le mie resistenze interiori, dovetti arrendermi all’evidenza.
Il mio cuore di complottista era diviso tra due emozioni contrarie. Avrei dovuto sentirmi soddisfatto. La verità era finalmente venuta a galla. D’altro canto, ne ero intimamente deluso. Ma un complottista non fugge mai davanti alla verità. Quel misto di dolore e di piacere mi univa ai grandi complottisti del passato, agli iniziati, agli scienziati rivoluzionari, ai padri della psicanalisi. Ci legava una stessa, travagliata ricerca della realtà dietro le apparenze, oltre il velo di Maya. Vedevo, con una sottile amarezza, che un vero complottista non deve accontentarsi mai di facili spiegazioni. Deve seguire un istinto superiore, che lo spinge a scrutare le vere cause dei fenomeni, le ragioni nascoste che la massa ignora. E deve essere pronto a sacrificare i suoi sogni per questo.
Complottisti si nasce. È una forma di talento innato. Ma spesso, come il buon seme, le circostanze della vita gli impediscono di dar frutto. Io fui quindi doppiamente fortunato. E se ci ripenso, vedo come quegli anni di formazione si rivelarono poi essenziali. Mi insegnarono che bisogna sempre diffidare delle versioni ufficiali. Non importa se provengono dai nostri genitori, dai professori o da autorità di altro tipo. Di fronte a loro dobbiamo pensare, come Nietschze, che “ogni opinione è un nascondiglio, ogni parola una maschera”. Noi nasciamo e veniamo allevati nella menzogna. La società, la politica, la religione, sono fabbriche di bugie e di inganni.
Perciò il complottista, che toglie al mondo le sue maschere, è comunemente odiato. Deriso, disprezzato, combattuto. Viene definito paranoico, delirante. Ma queste sono accuse di schiavi a un uomo libero. Chi, come me, fin dall’infanzia sia abituato non a succhiare il dolce latte dell’illusione ma a masticare la dura scorza della verità, sviluppa infatti una libertà interiore che lo rende immune ai raggiri e alle manipolazioni. E Dio sa quanto questo sia necessario oggi, in un mondo dominato dalla falsificazione sistematica della realtà.
Un complottista, ad esempio, capisce immediatamente che la storia del virus e del vaccino è una favola come quelle della cicogna e del cavolo; che fidarsi dei notiziari di guerra riportati dai grandi giornali è come credere a Babbo Natale; che il global warming è meno credibile dell’Uomo Nero, che great reset significa grande fregatura ecc. Questo non vuol dire che un complottista conosca la verità, ma che fiuta d’istinto il falso. La verità, quella è un dono, non dipende da noi. Ci coglie di sorpresa, e viene sempre da fonti segrete, non accreditate. Ed è in eterno movimento. Ci sfida a esplorare nuovi territori, lasciandoci alle spalle le nostre certezze.
Il complottismo è di fatto una maieutica, aiuta la verità nel suo faticoso venire alla luce. È così che, dopo molte ipotesi provvisorie e un’assillante ricerca, ho capito come nascevano i bambini. Ma ora, lo ammetto, penso d’essermi sbagliato. Non può esser vera una spiegazione così banale. Sospetto che in realtà vi sia dietro ben altro. Forse avevano ragione quei primitivi che, di fronte al mistero del concepimento, ne ritenevano responsabile uno spirito o un Dio. Forse era nel giusto mia mamma a dire che la vita è un dono del cielo. Sto ancora cercando di capire.