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Nei media italiani si parla troppo di coronavirus?

di Andrea Muratore - 02/11/2020

Nei media italiani si parla troppo di coronavirus?

Fonte: Inside Over

Nei media italiani c’è un’eccessiva pressione comunicativa sul coronavirus? La percezione crescente è che col finire dell’estate il sistema informativo rischi una pressione simile a quella subita nel pieno della primavera, quando l’esplosione dell’emergenza pandemica portò i media a focalizzarsi pressoché esclusivamente sull’avanzamento dei contagi.

Per il sociologo canadese Derrick de Kerckhove, tra i maggiori studiosi al mondo dei fenomeni di “intelligenza collettiva”, in Italia si rischia concretamente l’insorgere di una nuova ondata di “infodemia”, ovvero “il caos generato da un numero strabordante di articoli e approfondimenti”, con la conseguenza che ondate di incertezza possono portare a fenomeni di allarme sociale e paure incontrollate. Lo studioso parla a La Nazione e pone sul tavolo una questione importante: in contesti di crescente incertezza, diventa più difficile separare il grano dal loglio e, di conseguenza, valutare l’efficacia di misure volte a contenere il contagio in un contesto in cui notizie, ordinanze e voci incontrollate si rincorrono in continuazione.

Certo, il coronavirus ha creato un vero e proprio shock emotivo e sociale in Italia, primo Paese europeo a dover affrontar la pandemia. Da tempo la nostra società era in preda all’ansia legata all’incertezza economica e alla precaria percezione del futuro, come del resto anche de Kerckhove ben consapevolmente nota: “Gli italiani sono molto sensibili a questo aspetto. Inoltre siete tra i popoli più espansivi e il morbo, che si trasmette stando vicino ad altre persone infette, pesa direttamente sulle vostre abitudini. È una minaccia alla vita quotidiana e i media ne parlano”. Ma sul lungo periodo il troppo stroppa. E incrementare il rumore di fondo mediatico non può far altro che creare confusione e straniamento.

Prendiamo un esempio per tutti: la disinvoltura eccessiva dimostrata da numerosi operatori dell’informazione nel maneggiare i dati del contagio, sciorinati dai tempi del “rituale delle 18” dell’era della quarantena senza alcun approfondimento o alcuno studio serio sulla loro interpretazione. Numeri usati come monito, come arma, come base per articoli e servizi senza che i loro commentatori avessero in alcun modo approfondito le più banali nozioni non diciamo di epidemiologia, ma anche di matematica e statistica. Ammontano a una sparuta minoranza coloro, ad esempio, che nel contesto della “seconda ondata” hanno focalizzato l’attenzione sul vero dato determinante, e cioè il numero di ricoveri ospedalieri, statistiche che come ha scritto l’analista Pierluigi Fagan “d’un colpo, azzerano tutto il confuso vociare” di media e social. “Non c’è gente che si diverte a farsi ricoverare senza motivo e soprattutto abbiamo un servizio sanitario che è in grado di decidere con coscienza chi va ricoverato e chi no”, nota Fagan, e da questo traiamo la conclusione che l’informazione dovrebbe coerentemente sostenere e informare la popolazione e svolgere una reale funzione sociale indicando gli scenari da monitorare con maggiore attenzione.

Drenare risorse nel contesto informativo verso l’esclusiva copertura dell’emergenza Covid-19 ha depotenziato la capacità dei giornali e delle Tv di coprire altri scenari molto interessanti e ha prodotto un proliferare di editoriali, articoli e note superflui, capaci solo di alimentare la rissa da saloon puntualmente pronta a scatenarsi nei salotti e nei dibattiti e di ridurre lo spazio concesso a coloro che con numeri, statistiche e scenari hanno maggior confidenza. La conseguenza è l’infodemia di cui giustamente de Kerckhove fa notare i rischi, compresa la possibile emergenza della Coronavirus fatigue, intesa come l’insofferenza e lo straniamento legati alla crescente sensazione di precarietà per la percepita inefficacia delle misure anti-contagio.

Paesi come Francia e Regno Unito hanno un rapporto “mediatico” ben diverso col virus in quanto le dinamiche politiche sono molto accese in questi mesi e operatori dell’informazione e analisti non hanno perso di vista diversi scenari di riferimento, tra cui quello fondamentale sulle conseguenze economiche dell’emergenza pandemica. Negli Usa, invece, di coronavirus si parla ma nel quadro dell’animato confronto elettorale tra Donald Trump e Joe Biden, con una polarizzazione e un’enfasi ancora più “tossiche” di quanto avviene in Italia. In attesa del lungo autunno del Covid-19, dunque, l’allarme di una dilagante infodemia è uno scenario che i media devono prendere in considerazione, dato che la sua realizzazione è pressochè interamente legata al loro atteggiamento futuro. La stampa può analizzare, criticare, commentare e, ovviamente, errare, ma anche sul coronavirus serve un approccio bilanciato. Troppe notizie sul Covid-19, specie se superflue o addirittura fuorvianti, possono creare pericolose crisi di rigetto e abbattere anche la capacità e la volontà dell’opinione pubblica di informarsi rigorosamente sull’emergenza pandemica.