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Con la Clinton perdono in tanti (anche in Italia)

di Mario Bozzi Sentieri - 09/11/2016

Con la Clinton perdono in tanti (anche in Italia)

Fonte: Mario Bozzi Sentieri

 

Non c’è solo Hillary Clinton ad essere stata sconfitta nelle elezioni presidenziali  statunitensi. Insieme a  lei  c’è la schiera dei sondaggisti fasulli, che fino a ieri la davano alla Casa Bianca con una probabilità vicina al 99 per cento. Tra gli sconfitti ci sono le lobbies finanziarie pronte a foraggiarla (886 milioni raccolti contro 189 milioni di Donald Trump). Ci sono gli artisti miliardari, disposti a fare da paravento, con le loro  canzonette, alle evidenti gracilità politiche e personali  della candidata democratica. Ci sono i circoli-del-politicamente-corretto, dell’America “presentabile” contro quella trash, del vino Sauvignon blanc e sushi a cena, contro birra Coors e hot dog. C’è la solita sinistra dei quartieri alti e dei poteri forti. Ci sono le cancellerie europee, preoccupate per la possibile ondata trampista sui loro Paesi. E poi c’è la grande stampa, quella d’oltreoceano e quella nostrana, oggi costretta a fare marcia indietro, dopo mesi e mesi d’incensamenti alla Clinton e di preannunciati tracolli per i repubblicani, così rissosi e divisi tra loro.

Gli stessi profeti del successo clintoniano sono oggi costretti a sottolineare la strategia sostanzialmente negativa della candidata democratica, dove il vero argomento portante della sua narrazione è stato quello di fermare Trump, l’usurpatore, il pericoloso ciarlatano senza alcuna competenza e qualificazione a occupare lo Studio Ovale.

Oggi – anche sui mass media  italiani – si è parlato  dell’ antipatia profonda e antica, che la Clinton suscita in una vasta fetta dell’America. Sono gli stessi mass media che ieri ne tessevano le qualità  di statista, la sua capacità comunicativa, il suo essere in grado di abbracciare strati diversi della popolazione,  le donne, i latino-americani, i neri. Tutti rigorosamente anti Trump – secondo i bene informati - e tutti mobilitati per sconfiggerne l’arroganza, il sessismo, l’intolleranza.

In campo sono scesi anche gli analisti “moderati”, più attenti alle vicende italiane che a quelle d’oltreoceano ed  impegnati ad evocare inesistenti candidati “presentabili”, in grado di battere  la rappresentante dei democratici. Volete mettere – dicevano – un candidato del Grand Old Party rispettoso e perbene al posto di quel bufalo di Trump ? Non ci sarebbe partita per la Clinton. Ed invece è stato proprio lo “smoderato” ad avere scompaginato i giochi, ad essere riuscito a  “sfondare a sinistra”, a vincere anche là dove i democratici apparivano invincibili.

Una volta tanto non vale il vecchio detto secondo cui “le vittorie hanno molti padri e le sconfitte sono orfane”. Come abbiamo visto  la disfatta della Clinton ha molti “padri”. Gli stessi che, anche qui da noi, hanno perso la percezione del Paese reale, dell’opinione pubblica, dei veri  desideri della gente. L’esatto contrario di Trump, che è riuscito a dare  voce alla volontà popolare, cogliendo i fermenti autentici  del suo Paese, all’interno  di  quello che  un osservatore attento della società americana, Andrew Spannus,  ha individuato come il  “riallineamento dell’elettorato statunitense”: dalla distinzione democratici-repubblicani a quella establishment-outsider. Trump – su questa linea – è stato chiaro e senza tentennamenti: “L’unico antidoto a decenni di governo disastroso da parte di una piccola élite   – ha detto -  è un’infusione marcata di volontà popolare. Su ogni questione che affligge questo paese, il popolo ha ragione e l’élite di governo ha torto”. Per questo ha vinto. Sulle  ragioni della sua vittoria e della sconfitta della sua avversaria molti dovrebbero fare autocritica. Tra i cosiddetti “moderati” e tra i progressisti. Al di qua e al di là dell’Atlantico.