Con la fenomenologia oltre l'inganno scientista
di Riccardo De Benedetti - 06/02/2023
Fonte: Avvenire
In “Natura e spirito” le lezioni tenute nel 1927 da Edmund Husserl: vi si trova una mappa concettuale utile per il presente e ritornare a un sapere non dissociato dalla vita
Leggendo Natura e spirito di Edmund Husserl, padre della fenomenologia, il meno che si possa dire è che sia finalmente giunto il momento di tornare a occuparsi di filosofia. Sono pagine che trascrivono le lezioni del semestre estivo del 1927 a Freiburg. Tradotte e curate con assoluto rigore da Renato Cristin (Studium, pagine 240, euro 26,00) ci consentono di entrare nel vivo di una prospettiva teorica che mette al centro della sua riflessione le ragioni stesse del filosofare, tutte interne a quelle due parole che non sono opposte l’un l’altra, bensì correlate da una molteplicità di relazioni e incontri che il metodo fenomenologico dipana con la lucidità e la pazienza di un vero e proprio esercizio spirituale. Scienza e storia, mondo naturale e mondo culturale, esattezza matematica e rigore filosofico, sono il focus di queste lezioni tenute nell’anno cruciale della fenomenologia, quel 1927 che vide la pubblicazione di Essere tempo dell’allievo Martin Heidegger. Cristin ricorda lo straordinario intreccio di commenti che il maestro appose a margine di Essere e tempo e l’allievo alla voce Fenomenologia scritta da Husserl per l’Enciclopedia Britannica. Le lezioni, alle quali assistettero figure come Eugen Fink e Johannes Pfeiffer, sono il punto di sintesi di prospettive che il pensiero di Husserl sviluppava fin dai suoi inizi e spingeva verso lo sviluppo finale rappresentato dalla Crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (1936). Un nucleo concettuale che interroga prepotentemente il nostro pre-sente. È esattamente il tema del ricchissimo saggio di Renato Cristin a chiusura del volume. La constatazione dell’egemonia dello «scientismo come degenerazione della scienza» si accompagna con la riproposizione del metodo fenomenologico come via privilegiata, benché non unica, al ristabilimento delle condizioni del pensare filosofico in quanto tale. Superare l’ingenuità extra-scientifica e svelare l’inganno scientista attingendo alla dimensione precategoriale del mondo-della-vita, questo il compito della fenomenologia. Lo sviluppo e la crescita dei saperi scientifici non sono messi in discussione se non in quanto questa stessa scienza e questi stessi saperi si dissociano storicamente dal mondo-della-vita occupando abusivamente territori e competenze non loro. È proprio lo scientismo a revocare il significato di quella crescita e di quello sviluppo, consegnando al complesso della tecnoscienza l’ultima parola sul senso dell’esistere e del mondo. « La scienza facilita lo stare al mondo, ma annienta il pensare il mondo, la comprensione del senso della vita umana come abitare del mondo », scrive Cristin. È il trionfo, inopinato, della competenza sul pensiero. All’ingiunzione rivolta alla filosofia di mettere in campo una sua specifica competenza, quella di Husserl oppone il compito di evitare attraverso lo strumento della riduzione fenomenologico- trascendentale, ogni sua riduzione a calcolo, a predittività fenomenica, valutabile dai soli risultati tecnico-pratici. Nei decenni successiva alla catastrofe della guerra mondiale, la filosofia veniva relegata alla dimensione politica dell’esistere, un confinamento immediatamente occupato dall’ideologia e dalla trasformazione della politica in mera amministrazione. Al punto di confondere il filosofo con l’ideologo, seguito subito dopo dal tecnocrate. Di spazi non se ne sono aperti di altri, anzi, lo sviluppo della tecnica, pensiamo all’Intelligenza artificiale, ha spinto la filosofia nell’orticello dello psico-dramma sociale che la nostra società mette in scena con sempre rinnovati canovacci. Una presenza ectoplasmatica, a metà tra la saggezza che può dare il bigliettino ancora presente in certi cioccolatini, e il sofà dello psicoanalista, peraltro già abbondantemente sostituito dal banco della farmacia. Al contrario la prospettiva husserliana – che potremmo definire inattuale, alla stessa stregua dell’inattualità nietzscheana, per quanto di struttura assolutamente diversa, conduce direttamente al punto incandescente di questa situazione. Le scienze non dicono più nulla all’uomo in quanto ormai si “limitano” a fare l’uomo. A farlo e a disfarlo attraverso la tecnica alla quale si sono ridotte.