Con la fine del petroldollaro va a terminare l’epoca del ricatto dell’Impero USA
di James O’Neill - 25/11/2017
Fonte: controinformazione
La fine annunciata del Petrodollaro ha il potenziale per rimodellare l’assetto geopolitico mondiale.
All’inizio degli anni ’70, il presidente Richard Nixon suscitò due cambiamenti che ebbero effetti profondi. Il primo di questi stava portando gli Stati Uniti al di fuori del sistema del gold standard; con la fine degli accordi di Bretton Woods, da quel momento in poi in poi i dollari USA non sarebbero stati più convertibili in oro. Normalmente questo avrebbe dovuto avere conseguenze significative per il valore del dollaro USA.
Tuttavia, gli effetti deleteri sono stati evitati grazie ad un altro cambiamento altrettanto profondo. Il consigliere per la sicurezza nazionale di Nixon, Henry Kissinger, si incaricò di negoziare un accordo con l’Arabia Saudita in forza del quale tutto il petrolio (inizialmente dell’Arabia Saudita ma esteso rapidamente a tutti i paesi OPEC) sarebbe stato scambiato soltanto in dollari USA, con la nascita del cosiddetto petrodollaro.
Si trattò di un classico accordo di stile mafioso. In cambio dell’accordo con l’Arabia Saudita sull’uso esclusivo del dollaro per le transazioni petrolifere, gli Stati Uniti hanno garantito la sicurezza dell’Arabia Saudita assicurando in tal modo la continuità di uno dei regimi più corrotti e repressivi del mondo.
Per quanto non reso pubblico, gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita stipularono anche un accordo in base al quale i gruppi terroristici islamici (purché fossero sunniti) sarebbero stati finanziati dall’Arabia Saudita e armati dagli americani per poi utilizzarli al fine di perseguire gli obiettivi geopolitici statunitensi. L’operazione Cyclone, iniziata sotto l’amministrazione Carter negli anni ’70, fu uno dei primi precursori di questa tattica, ma questa da allora è stata perfezionata e utilizzata con diverse modalità in un ampio numero di paesi.
L’obiettivo era sempre fondamentalmente lo stesso: minare e, se necessario, sostituire governi che non erano sufficientemente conformi agli obiettivi geopolitici statunitensi. Come e quando fu ritenuto necessario, le truppe statunitensi e i loro alleati della “coalizione” furono inseriti nei paesi obiettivo di “regime change”. La distruzione dell’Afghanistan (2001 e continua) dell’Iraq (2003 e continua) della Libia (2011 e continua) sono solo tre degli esempi più noti.
Prossima caduta del petroldollaro ?
L’enorme costo finanziario derivante da queste iniziative militari e geopolitiche non ha imposto un costo adeguato al bilancio degli Stati Uniti, grazie al ruolo egemonico esercitato dal dollaro USA. Gli Stati Uniti, in effetti, hanno ottenuto il pagamento delle loro molteplici guerre da altri paesi, visto che la supremazia del dollaro nel commercio mondiale ha sempre creato una domanda costante di buoni del Tesoro USA.
Il ruolo di signoraggio del dollaro USA ha anche permesso agli Stati Uniti di imporre sanzioni ai paesi recalcitranti. La natura selettiva delle sanzioni, sempre orientate verso un vantaggio geopolitico o commerciale statunitense, era chiaramente uno strumento del potere repressivo. Nonostante le affermazioni che si dovesse “punire” la presunta cattiva condotta del paese specificato, il loro uso effettivo ne tradiva il loro scopo geopolitico.
Le sanzioni contro la Russia per la sua “invasione” dell’Ucraina e “annessione” della Crimea e contro l’Iran per il suo “programma nucleare” sono due dei più noti esempi manifestati di sanzioni giustificate da motivi inconfessati.
L’uso e l’abuso del potere del dollaro è chiaramente inaccettabile, ma la capacità di invocare contromisure è stata fino a poco tempo fa severamente limitata. L’unica forza di compensazione più importante è stata attualmente l’ascesa della Cina come potenza economica del mondo e, soprattutto, la creazione di strutture alternative nel commercio, nella finanza e nella sicurezza (geofinanza) , che traducono il potere economico cinese in una forza per grandi cambiamenti.
Tale cambiamento è accompagnato da numerosi sviluppi collaterali. Nel 1990, le nazioni del G7 (Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Stati Uniti e Regno Unito) avevano un PIL combinato circa sei volte maggiore rispetto ai sette paesi emergenti economicamente più importanti (Brasile, Cina, India, Indonesia, Messico, Russia e Corea del sud).
Nel 2013 i “sette paesi emergenti” avevano superato il totale del PIL del G7 e, secondo le stime del FMI per il 2017, il PIL dei due gruppi sarà di $ 47,5 miliardi e $ 37,8 miliardi per i sette emergenti e il G7 rispettivamente. La Turchia, che cresce del 5% l’anno, ha rimpiazzato il Messico nei primi sette emergenti.
Il gruppo dei BRICS, che include quattro delle sette nazioni emergenti e la Shanghai Corporation Organization (SCO), che comprende Cina, India e Russia, stanno lavorando insieme sull’architettura di un’alternativa monetaria al dollaro. La sola SCO contiene il 42% della popolazione mondiale.
Il ruolo dell’India nei BRICS e nella SCO è una delle ragioni per cui viene coltivato assiduamente dall’Australia, dal Giappone e dagli Stati Uniti nel tentativo di creare un “quadrilatero quattro” per rallentare e minare il ruolo di Cina e Russia nel creare un’alternativa a quella di vecchia data del dominio e dello sfruttamento occidentale.
Putin con il premier cinese
E ‘stato in questo contesto che il presidente russo Putin alla recente riunione dei BRICS a Xiamen, in Cina, ha detto quanto segue:
“La Russia condivide le preoccupazioni dei paesi BRICS per l’ingiustizia dell’architettura finanziaria ed economica globale, che non tiene in debito conto il crescente peso delle economie emergenti”.
Questo discorso ha sviluppato un tema che Putin aveva sviluppato in un articolo pubblicato prima della riunione dei BRICS. Putin ha promesso senza mezzi termini di distruggere il sistema finanziario guidato dagli Stati Uniti, con l’obiettivo di riformare un sistema che conferisce un eccessivo dominio a un numero limitato di valute di riserva (cioè prevalentemente occidentali).
La Cina ha sviluppato un nuovo sistema di pagamenti interbancari transfrontalieri (CIPS) per sostituire il sistema SWIFT dominato dagli Stati Uniti, utilizzato come strumento per l’egemonia finanziaria dagli Stati Uniti. La Russia ha anche preso provvedimenti per isolarsi dagli effetti negativi dell’esclusione dal sistema SWIFT.
Altre importanti modifiche si stanno anche verificando. Il Venezuela, con le più grandi riserve petrolifere conosciute al mondo, ha smesso di accettare pagamenti in dollari USA. In passato la rappresaglia degli Stati Uniti attraverso un cambio di regime sarebbe stata immediata come accadde a Gheddafi della Libia (confermata dalle e-mail trapelate da Clinton) e all’Iraq Saddam Hussein che aveva annunciato che da allora in poi avrebbe accettato il pagamento in euro e non in dollari.
La Cina e il Qatar hanno recentemente concluso un accordo da $ 50 miliardi denominato in Yuan. C’erano minacce immediate e richieste assurde dall’Arabia Saudita, indubbiamente la voce dell’amministrazione statunitense, ma niente di più serio. La mancanza di un intervento militare o un tentativo di cambio di regime è probabilmente attribuibile all’intervento militare della Turchia, a una serie di accordi con l’Iran e alla probabile minaccia implicita di un intervento cinese nel caso in cui i sauditi avessero voluto dimostrare ulteriormente la loro incompetenza militare (come nello Yemen) con qualche mossa militare avventata diretta contro il Qatar.
L’Arabia Saudita sta rapidamente raggiungendo un punto cruciale nei suoi rapporti con la Cina, un enorme acquirente del petrolio dell’Arabia Saudita. È noto che la Cina vuole contratti di petrolio futuri denominati in Yuan. L’attrazione per l’Arabia Saudita è che i cinesi garantiscono il loro yuan con l’oro scambiato nelle borse di Hong Kong e Shanghai. Ironia della sorte, questo pone la Cina nella stessa posizione degli Stati Uniti prima del ritiro di Nixon dal dollaro sostenuto dall’oro.
Il dilemma per i sauditi è che se si conformano alle richieste cinesi rischiano di perdere gli americani che sottoscrivono la loro sicurezza. Il cambio di regime istigato dagli Stati Uniti in Arabia Saudita è una possibilità molto reale e le recenti manovre di Mohammad bin Salman per consolidare il suo potere possono essere interpretate come una risposta a tale possibilità.
In genere, i media occidentali si concentravano su banalità relative all’Arabia S., come la questione delle donne che erano in grado di guidare veicoli a motore dal 2018 (in circostanze limitate), piuttosto che esaminare la sottostante lotta di potere geopolitico.
L’altro importante sviluppo che vale la pena menzionare in questo contesto è il rapido aumento del numero di paesi che fanno affari con la Cina utilizzando lo Yuan o le proprie valute nazionali come mezzo di scambio. L’iniziativa per la Cintura della Seta cinese ( China’s Belt and Road Initiative), che attualmente coinvolge 65 nazioni, accelera senza dubbio questa tendenza. La Russia e la Cina sono già reciprocamente importanti partner commerciali e tutti gli accordi tra loro sono denominati sia in Yuan che in Rubli.
Sarebbe ingenuo presumere che tutto ciò si potrà verificare senza una massiccia azione di retroguardia da parte degli americani che sanno bene che la loro capacità di sfidare la logica economica è possibile solo grazie al ruolo unico di supremazia del dollaro, permettendo a turno gli interventi militari per sostenere il loro potere egemonico attualmente in rapido declino.
Le azioni aggressive e provocatorie degli Stati Uniti nel Mar Cinese Meridionale, nella Corea del Nord, in Ucraina, in Siria e altrove sono interpretate al meglio come il flagello di un impero in declino. La vera domanda è che gli Stati Uniti accetteranno la scomparsa del potere unico che hanno esercitato dall’accordo di Bretton Woods del 1944 e adegueranno di conseguenza rapido le loro politiche o distruggeranno tutti noi nei loro tentativi di riconquistare un mondo perduto.
*James O’Neill, avvocato australiano di diritto, in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook” .
Fonte: New Eastern Outlook
Traduzione: Luciano Lago