Così mi sono salvata dall’autismo grazie alle arti marziali
di Susanna Tamaro - 11/06/2024
Fonte: Il Giornale
Da qualche anno si parla molto di sindromi dello spettro autistico ma a mio avviso ancora non c’è una grande consapevolezza su come affrontare la “manutenzione” del disturbo stesso. Una volta l’autismo “ad alto funzionamento” non veniva diagnosticato e le persone che ne erano afflitte finivano prima o poi negli ospedali psichiatrici o a ingrossare le file degli alcolisti. Ora ci sono sostegni, programmi speciali e ogni tipo di agevolazione ma, ad esempio, nessuno ha messo a fuoco che le scuole, così come sono concepite attualmente – con un eccesso di rumore e di disordine -, sono un fattore altamente destabilizzante per i bambini e i ragazzi che vivono nello spettro. Personalmente ho avuto problemi fin dall’asilo ma, già alle scuole elementari, osservando il comportamento degli altri, ho imparato a sopravvivere.
A quei tempi però nelle scuole vigevano un ordine e un rigore assoluti: era vietato parlare se non interrogati, urlare era assolutamente inconcepibile né si poteva provocare rumore con le sedie, per non parlare dell’ordine che noi alunni dovevamo mantenere sul banco.
Ho sofferto, certo – vivevo in uno stato di continuo smarrimento e confusione -, ma, sostenuta da quell’ordine e da quella disciplina, sono comunque riuscita a cavarmela pur senza insegnanti di sostegno. Un altro punto critico, per chi ha un disturbo dello spettro, è la comprensione di ciò che viene detto: non essendo in grado di decifrare le espressioni del volto, le parole rischiano di venire fraintese oppure prese alla lettera; così, sospesi in questa incertezza, si finisce per obbedire a qualsiasi ordine, oppure a non obbedire ad alcuno. Due situazioni alquanto spiacevoli. Questa destabilizzazione porta un’altra conseguenza spesso mal compresa: la totale estraneità al proprio corpo; impossibile saltare la corda – all’epoca si usava -, impossibile qualsiasi gioco di destrezza, per non parlare di quelli che hanno a che fare con le palle volanti.
Ricordo ancora le angosciose partite di pallavolo a scuola in cui tutte le mie compagne mi gridavano «tua!» e io, immobile, osservavo la palla cadere tristemente ai miei piedi.
Le persone che vivono nello spettro accumulano livelli di sofferenza particolarmente alti; vivendo immerse in un mondo che non capiscono, mostrano una fragilità evidente che le rende non di rado vittime dei bulli.
Allora non sapevo di avere la sindrome di Asperger, mi rendevo soltanto conto di essere fuori sincrono con il mondo che mi circondava. È stato proprio l’incontro con le arti marziali – a metà dei miei vent’anni – a mostrarmi la via verso un equilibrio stabile. Non era stata una mia iniziativa ma un suggerimento di uno psichiatra e, per quella ragione misteriosa per cui, in determinati momenti della vita, capiamo inconsciamente qual è il passo giusto da fare, avevo obbedito. Non è stato facile, non c’era nulla di più lontano dalla mia natura di persona insicura e timida di quella pratica che mi sembrava molto aggressiva, tuttavia avevo cercato la palestra più vicina a casa e mi ero iscritta. Ancora una volta soffrivo, perché destra e sinistra, alto e basso erano concetti completamente ostici, ho ancora in mente la mia immagine riflessa nello specchio con il Gi bianco, bianca la cintura, mentre il maestro e tutti gli altri aspettavano con una certa insofferenza che io riuscissi a capire il primo passo del kata più elementare.
Pratico ormai da quarant’anni e ogni tanto mi fermo a pensare come sarebbe stata la mia vita senza questo straordinario incontro.
Diventare padroni del proprio corpo e dei suoi movimenti nello spazio è un punto fondamentale per chi vive nel disordine neuronale. Diventare consapevoli vuol dire acquisire sicurezza, e questa sicurezza di base ne genera, piano piano, delle altre. Nella pratica marziale le forme sono prestabilite, la strada da percorrere è quella, e solo quella, non ci possono essere interpretazioni, variazioni, nessun imprevisto si profila all’orizzonte e, per dominare la forma, bisogna fare solo una cosa: ripetere ossessivamente quei passaggi. I comandi vengono dati in modo chiaro, sono inequivocabili, e chi te li impartisce è sempre una persona autorevole che suscita rispetto: non c’è alcun dubbio che bisogna eseguirli nel modo corretto. Vedersi migliorare, fare progressi che sembravano impensabili cura la tragica insicurezza di fondo e stimola ad avere il coraggio di andare avanti.
Quello che per molti ragazzi al giorno d’oggi è incomprensibile – disciplina, obbedienza, silenzio e ripetitività ossessiva – per le persone autistiche è la dimensione ottimale per conquistare fiducia in loro stessi. Oltre alla vita nel dojo, c’è anche un altro fattore positivo: la spinta ad avere una serie di relazioni sociali mediate dalla pratica, altrimenti impossibili. Una cena in pizzeria – in altri contesti difficilmente tollerabile – insieme ai propri compagni di pratica diventa possibile e piacevole, perché si sa che l’argomento in linea di massima riguarderà il mondo marziale. Continuo naturalmente a essere l’ultima a capire quando il maestro spiega; quello che gli altri capiscono al volo, io lo conquisto con una lunga fatica; gli esami – dalla cintura bianca al terzo dan – sono stati davvero delle prove iniziatiche, tuttavia ogni mattina, quando mi sveglio e inizio la pratica del Daruma Taiso, sono piena di gratitudine verso questo universo complesso e meraviglioso che mi ha portato a conquistare una parte di me che pensavo irraggiungibile, donandomi un equilibrio che mi ha permesso di affrontare, con coraggio e determinazione, tutte le altre grandi sfide della mia vita.