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Critica del liberalismo: per un ritorno al comune

di Alain de Benoist - 21/02/2020

Critica del liberalismo: per un ritorno al comune

Fonte: Pagine non conformiste

Lei dimostra che le diverse forme di liberalismo condividono una concezione comune dell'uomo. Qual è questa definizione nel pensiero liberale?

La profonda unità del liberalismo sta nella sua antropologia, un'antropologia i cui due pilastri sono, inseparabilmente, l'individualismo e l'economicismo.
Il liberalismo fa dell'individuo l'unica e sola fonte dei valori e degli obiettivi che sceglie per se stesso. Questo individuo è considerato a sé stante, indipendentemente da qualsiasi contesto sociale o culturale. È un essere fondamentalmente indipendente dai suoi simili, interamente padrone di se stesso, non soggetto a nulla nella società, che determina liberamente le sue scelte, sempre e solo mirando a massimizzare razionalmente la sua utilità, cioè il suo migliore interesse materiale e il suo profitto privato. Questa tesi fa dell'uomo un essere di calcolo e di interesse. Il modello è quello del negoziante al mercato: è l'Homo oeconomicus. Poiché si suppone che l'individuo venga al primo posto, sia che venga assunto come anteriore al sociale in una rappresentazione mitica della «preistoria» (anteriorità dello stato di natura), sia che gli venga attribuito un semplice primato normativo (l'individuo è ciò che ha più valore), i popoli e le nazioni non hanno più proprietà intrinseche o status autonomi di esistenza: sono meri aggregati di individui. «La Francia non è altro che un aggregato di esseri umani», scrive l'economista liberale Bertrand Lemennicier. È con lo stesso spirito che Margaret Thatcher ha potuto affermare che «la società non esiste» («there is no society»). In queste condizioni, l'uomo deve costruirsi dal nulla, non da qualcosa che già esiste. L'uomo si comporta come un essere sociale, non perché sia nella sua natura, come sosteneva Aristotele, ma perché in essa deve trovare il suo vantaggio, il che significa che non ha alcun rapporto etico con se stesso. Nel liberalismo, il legame sociale dipende interamente dal sistema contrattuale: la società dovrebbe essere interamente regolata dal contratto legale e dagli scambi di mercato. Questa è la fine del bene comune, falsamente assimilata a un «interesse generale» che è solo una somma di interessi particolari. Nella misura in cui il liberalismo pretende di mettere le istituzioni al servizio dell'individuo, si oppone inevitabilmente al bene comune, che considera incoerente. Il mondo liberale è il mondo del non-comune.

La libertà non è la caratteristica del liberalismo. La "libertà" dei liberali è un mezzo per creare un individuo egoista e distaccato da ogni legame?

Il liberalismo si presenta facilmente come "l'ideologia della libertà", che è ovviamente attraente. Infatti, non è tanto l'ideologia della libertà, quanto l'ideologia che mette la libertà al servizio dell'individuo. L'unica libertà che proclama è la libertà individuale, concepita come libertà da tutto ciò che è al di là dell'individuo. Fin dall'inizio, rifiuta qualsiasi determinazione, in particolare quelle basate sulle radici storiche o sull'appartenenza culturale. Benjamin Constant l'ha detto più e più volte: "La libertà individuale, questa è la vera libertà moderna! "A questa concezione 'moderna' della libertà possiamo contrapporre l'Antica concezione della libertà come possibilità per tutti di partecipare agli affari pubblici, o la tradizione 'repubblicana', da Tito Livio e Machiavelli ad Harrington, che afferma che non posso essere libero se la comunità politica a cui appartengo non è libera. Questa libertà "repubblicana" riguarda la società nel suo insieme, mentre la libertà liberale la ignora superbamente.
Il liberalismo si basa anche sulla convinzione che esistono diritti individuali fondamentali e inalienabili che sono precedenti e superiori a qualsiasi istituzione umana, e che il primo di questi diritti è il diritto di perseguire liberamente i propri interessi. Questi diritti sono ovviamente puramente formali (il diritto al lavoro non ha mai dato lavoro), ma non è questo il punto: il diritto fondamentale è il diritto di avere dei diritti. I diritti individuali possono quindi essere opposti a qualsiasi obbligo sociale o imperativo politico. Questa concezione dei diritti soggettivi rompe con l'intera filosofia tradizionale del diritto, che si limitava a determinare la giusta quota da attribuire a ciascun individuo ("suum cuique tribuere").

Come lei giustamente sottolinea, le comunità autentiche non sono incontri o aggiunte di individui. Eppure, nel mondo post-moderno, le neo-comunità si fondono in modo molto artificiale. I modelli di consumo o le pratiche sociali creano "comunità di consumatori". Pensa che questo sia un "trionfo del liberalismo"?

Non direi proprio. Le "comunità autentiche" non sono necessariamente comunità basate su legami ereditari. Ci sono anche comunità "acquisite", ma vanno distinte da "tribù" effimere e associazioni che non hanno altra ragion d'essere se non un interesse comune. Una comunità autentica dà (o aiuta a dare) un senso alla vita. Può anche dare motivi per morire. Una comunità che si forma intorno a un certo numero di convinzioni politiche, ideologiche o filosofiche è per definizione una comunità "acquisita" (anche se questa acquisizione può essere trasmessa). Un uomo che sacrifica la sua vita alle sue idee muore per qualcosa a cui ha deciso di aderire. Ma nessuno è disposto a morire per una "comunità di consumatori"!

Più in generale, come possiamo giudicare l'impatto del liberalismo nelle società occidentali? La "grande trasformazione" capitalista è assorbibile?

L'impatto del liberalismo nella società può essere misurato dall'ascesa dell'individualismo e dell'utilitarismo, la predominanza dei soli valori di mercato. La società capitalista liberale è naturalmente una società di mercato, cioè una società di individui estranei alla nozione di gratuità, all'etica dell'onore, al sistema del dare e del contro-dono, una società dove regna il feticismo della merce e dove ciò che non è calcolabile non conta. Il mercato può essere visto come un regolatore dell'ordine sociale senza un legislatore. Per questo il liberalismo tende a farne il paradigma di tutti i fatti sociali (da qui l'analisi liberale del mercato politico, del matrimonio, della criminalità, della famiglia, ecc.), pur sostenendo, a torto, che il mercato nel senso moderno del termine è la forma naturale di scambio, mentre è stato istituito sotto l'impulso degli stati-nazione in formazione, desiderosi di monetarizzare a fini fiscali gli scambi intracomunitari non di mercato, che prima erano inammissibili. Tuttavia, il mercato richiede la scomparsa di tutti gli ostacoli al commercio, e quindi che i confini siano considerati inesistenti. Da questo punto di vista, il liberalismo non ha nulla da obiettare alla globalizzazione. Aspira all'eliminazione delle frontiere ("lasciate fare, lasciate passare", libera circolazione delle persone e dei capitali). Un milione di non europei che vengono a stabilirsi in Europa è, ai suoi occhi, solo un milione di persone che si aggiungono ad altri milioni di persone. Un mercante", scrive Smith in un famoso passo, "non è necessariamente un cittadino di un determinato paese. È in gran parte indifferente in quale posto detiene il suo commercio, e gli basta il minimo disgusto per decidere di portare il suo capitale da un paese all'altro, e con esso tutta l'industria che questo capitale ha portato in attività". Questa è già una scusa per il trasferimento! L'ascesa dell'individualismo liberato, che accompagna l'ascesa dei valori e delle classi borghesi, a scapito dei valori aristocratici e popolari, ha portato, da un lato, a una progressiva dislocazione delle strutture organiche dell'esistenza caratteristiche delle società tradizionali e, dall'altro, a una generale disintegrazione del legame sociale, e infine ad una situazione di relativa anomalia sociale, in cui gli individui si trovano sempre più alienati gli uni dagli altri e potenzialmente sempre più nemici gli uni degli altri, poiché sono tutti presi insieme in questa forma moderna di "lotta di tutti contro tutti" che è la concorrenza diffusa. A lungo andare, questa anomalia sociale può benissimo portare ad una società non più "liquida" ma "gassosa", ovvero al caos.
L'unico modo per uscirne è tornare al bene comune. In questa prospettiva, il bene comune non ha altro significato se non quello di un bene che è stato istituito in comune, e che per natura è inappropriato. Nell'espressione "bene comune", il secondo termine è importante quanto il primo, perché il bene comune è già di per sé un bene che si definisce come quello di cui ogni persona può godere senza doverlo condividere. Ripristinare il bene comune è il programma che è ora a disposizione di tutti gli anti-liberali se vogliamo lasciare un mondo dove nulla ha alcun valore, ma dove tutto ha un prezzo.

Il borghese postmoderno è molto diverso da quello dei tempi di Flaubert?

In apparenza, è cambiato molto. Il "bobo" (termine dispregiativo per inicare il borghese, NdT) di oggi sembra a prima vista molto diverso dalla austera, frugale e parsimoniosa figura legata alla borghesia di fine Ottocento. Il primo è tanto cool quanto il secondo era rigido, è tanto edonistico e aperto a tutti i suggerimenti più stravaganti quanto il secondo meticolosamente attento al rispetto delle convenzioni sociali. Il fatto è che la stessa società globale è cambiata molto. Vuole essere "aperta", fluttuante, relativistica, indifferente alla verità. Ma ciò che, in fondo, ha caratterizzato maggiormente lo spirito borghese, la preoccupazione prioritaria per i suoi interessi, il suo modo di concepire la società sotto l'unico orizzonte più o meno ampio, non è cambiato. François Bégaudeau mostra tutto questo molto bene nel suo ultimo libro, Histoire de la bêtise. Ai vecchi tempi, per massimizzare il suo patrimonio, i borghesi di vecchio stile dovevano fare uno sforzo, essere disciplinati. Oggi ci si può arricchire divertendosi e turandosi il naso. Ma l'obiettivo è rimasto lo stesso. Anche l'impresa postmoderna è molto diversa dalla fabbrica, così come il capitalismo speculativo e deterritorializzato di oggi è diverso dal vecchio capitalismo industriale che non si era ancora liberato dalle sue radici nazionali. Eppure, in entrambi i casi, l'obiettivo è sempre quello di trasformare il denaro in capitale. Forse si potrebbe anche dire che il borghese ha creato il suo mondo, e che in questo mondo le vecchie virtù non hanno più bisogno di essere incarnate in modo esemplare dagli individui, semplicemente perché sono state trasferite nella società globale. D'ora in poi, è la società stessa che deve essere gestita in modo razionale, attento, economicamente e commercialmente affidabile. Werner Sombart lo aveva dimostrato molto bene nel caso dell'impresa: il capitalismo moderno conserva tutte le virtù borghesi, ma le toglie agli individui e le trasferisce alle imprese, che cessano di essere «proprietà inerenti agli uomini viventi e diventano principi oggettivi di condotta economica». Oggi, però, le nazioni non sono più niente di più che grandi aziende, gestite da esperti e manager.

Democrazia e liberalismo erano uniti dall'ideologia dei diritti umani. Ora sembra che questa coppia sia sul punto di sciogliersi come modello. Ritiene che il liberalismo sia possibile senza il suo abito democratico?

Tanto più che questo non è mai stato solo un travestimento. A forza di sentire parlare di «democrazia liberale», ci siamo abituati a pensare che liberalismo e democrazia siano per certi versi sinonimi. Questo è un errore enorme. La democrazia implica il potere sovrano del demos o, se si preferisce, la sovranità popolare come potere costituente che detiene la legittimità politica.. La democrazia è la forma di governo che risponde al principio dell'identità delle opinioni dei governanti e dei governati, l'identità primaria è quella di un popolo che esiste concretamente da solo come unità politica. Il liberalismo è ben diverso, poiché sostiene che la «sfera economica» deve essere resa autonoma dal potere politico. L'economia, originariamente considerata il regno della necessità, diventa così il regno della libertà per eccellenza.
Ridefinita in senso liberale, la democrazia non è più il regime che sancisce la sovranità del popolo, ma quello che «garantisce i diritti umani». I diritti umani hanno la precedenza sulla sovranità del popolo a tal punto che quest'ultima non viene più rispettata se non in contraddizione con essa: l'esercizio della democrazia viene così posta a condizioni. Inoltre, il liberalismo è fondamentalmente ostile alla nozione di sovranità - tranne, naturalmente, alla sovranità dell'individuo. Per questo, ogni forma di sovranità che va oltre l'individuo è una minaccia alla sua libertà. Condanna quindi la sovranità politica e la sovranità popolare con la motivazione che la legittimità appartiene solo alla volontà individuale. Tutte le vostre democrazie liberali sono anche democrazie parlamentari rappresentativi, il che significa che la sovranità parlamentare prende il suo posto alla sovranità popolare. Per il liberalismo, il potere non ha fondamentalmente il potere di per guidare, ma per rappresentare l'azienda. Fin dall'inizio, infatti, la democrazia rappresentativa non aveva altro scopo se non quello di difendersi dagli «eccessi» del popolo e dalla rabbia delle «classi pericolose». Jacques Julliard parla addirittura di una «barriera di sicurezza immaginata dalla classe dirigente contro possibili eccessi di sovranità popolare».
Eppure il popolo ha meno vocazione ad essere rappresentato, perché è veramente sovrano solo quando è presente a se stesso. Per questo motivo Carl Schmitt ha detto che più una democrazia è liberale, meno è democratica.

Le «democrazie illiberali» sono una risposta a questa crisi di legittimità?

Il loro emergere è chiaramente una risposta all'attuale crisi della democrazia liberale, e più precisamente "all'allontanamento del liberalismo dalla democrazia, cioè al mancato rispetto della sovranità del popolo quando non convalida le scelte economiche o politiche delle élite che lo governano" (Laurent Bouvet). Più profondamente, le democrazie illiberali nascono dalla consapevolezza che il sistema formale dello Stato di diritto, concepito come un'insieme di norme astratte, non risponde alla domanda fondamentale su cosa può essere una buona società, né sul significato che possiamo dare alla nostra esistenza. Lo Stato liberale si astiene per principio dal qualsiasi giudizio su come le persone scelgono di vivere. Non deve decidere tra concetti contrastanti di moralità, non dovrebbe contribuire a dare un senso all'esistenza, non dovrebbe proporre un modello di "buon vivere" (Aristotele), non dovrebbe incoraggiare certi atteggiamenti o scoraggiare altri. Il governo, ha detto Nozick, deve essere "scrupolosamente neutrale nei confronti dei suoi cittadini". Come dice bene Pierre Manent, il liberalismo è prima di tutto una rinuncia a pensare alla vita umana secondo il suo bene o la sua fine. Non sorprende quindi che le società liberali non siano in grado di legiferare in modo coerente su "questioni sociali" (bioetica, procreazione assistita, matrimonio omosessuale, immigrazione, etc. ) che comportano inevitabilmente un giudizio in termini di moralità sostanziale?

La repressione del movimento dei gilet gialli che non ha precedenti, è un cambiamento duraturo nel mantenimento dell'ordine liberale per voi?

Sì, si può dire così. Durante le manifestazioni dei gilet gialli, le forze di polizia non hanno mantenuto l'ordine, ma la repressione. Questo ha raggiunto un livello di violenza e brutalità che non si vedeva in Francia dai tempi della guerra d'Algeria. Questa brutalità testimonia il timore che questo movimento ha ispirato la classe dirigente (ricordiamo l'elicottero che ha sorvolato l'Eliseo per "far scappare" il Presidente della Repubblica in caso di necessità), ma anche il fatto che questa stessa classe dirigente non si fermerà davanti a nulla per difendere le sue posizioni. Se necessario, non esiterebbe un attimo a sparare sulla folla, ne sono convinto.

La crisi dei gilet gialli ha riportato l'idea della democrazia diretta attraverso il r.i.c. (référendum d'initiative citoyenne). Cosa ne pensa di questa idea e del lavoro di Etienne Chouard (uno dei pricipali sostenitori del movimento, NdT)?

Io stesso sostengo da tempo l'idea di una democrazia partecipativa e di una democrazia più diretta, quindi dovete avere dei dubbi sulla mia risposta. Per quanto riguarda l'opera di Etienne Chouard, penso che meriti di essere meglio divulgata e discussa. In particolare, l'idea, avanzata anche da Chouard, di un'assemblea costituente estratta a sorte meriterebbe una seria considerazione. Per quanto riguarda il referendum di iniziativa popolare (o di iniziativa cittadina), di cui questo critico risoluto dell'ideologia liberale è un forte sostenitore, condivido pienamente la sua opinione sull'argomento, anche se non faccio del referendum una panacea. Il fatto che Etienne Chouard abbia svolto il ruolo di «consigliere informale» di certi gilet gialli non mi sorprende, e me lo rende ancora più simpatico.

Perché l'idea della fine del capitalismo oggi è diventata sinonimo di fine del mondo? Il mito del collasso è diventato un mezzo per legittimare il mondo di oggi? È possibile per voi un'altra fine del mondo?

È più facile immaginare la fine del mondo che la fine del sistema capitalistico, è stato detto. Il motivo è che questo sistema ha plasmato per decenni l'immaginazione in tutti i modi possibili e immaginabili. Mezzo secolo fa, l'opinione dominante era anche convinta che il sistema sovietico non stesse per crollare. Sappiamo cosa gli è successo. Personalmente credo che lo stesso possa essere vero anche per il sistema capitalistico, che attualmente si trova ad affrontare contraddizioni interne insormontabili. Una nuova crisi finanziaria globale, ancora più devastante di quelle del 1929 e del 2008, potrebbe accelerare ulteriormente le cose. Ma, state tranquilli, non sarà la fine del mondo! Sarà solo la fine di un mondo che, in tutti i sensi, ha fatto il suo tempo.

Notiamo l'emergere di una riflessione trasversale volta a proporre alternative concrete al sistema. Le nozioni di comunità, autonomia e aiuto reciproco possono diventare un nuovo impulso verso il bene comune?

Si', senza dubbio. Ma nell'era di transizione in cui viviamo, c'è ancora molto da fare. Sarebbe già bene, nell'immediato futuro, provocare e organizzare la riflessione tenendo d'occhio ciò che sta arrivando, a volte in modo confuso, al fine di rivelare le direzioni da seguire.

Da leggere:

Alain de Benoist, Critica del liberalismo, Arianna Editrice
[intervista realizzata per Rébellion N.87/2019]