Dall'egemonia culturale al politically correct
di Marcello Veneziani - 29/06/2022
Fonte: Marcello Veneziani
Ma cos'è questa famigerata egemonia culturale, in che consiste? Per cominciare, il modello ideologico dell'egemonia culturale viene tracciato in Italia da Antonio Gramsci con la sua idea del Partito come Intellettuale Collettivo che conquista la società e il consenso popolare tramite la conquista della cultura. Quel modello culturale diventa la punta avanzata di riferimento per tutta la sinistra occidentale; si applica nei paesi in cui c'è, bene o male, una pluralità di culture e di orientamenti civili e religiosi che vanno gradualmente svuotati, delegittimati e sovrastati. Il modello pratico si nutre però di due esperienze non democratiche: quella totalitaria, comunista, sovietica, da Lenin a Trotzskj, da Zdanov a Luckàcs, vale a dire il ministro della cultura di Stalin e il filosofo ministro nell'Ungheria comunista. Ma c'è anche un'esperienza nascosta come riferimento per Gramsci: quella autoritaria fascista italiana, con l'organizzazione della cultura e degli intellettuali, della scuola e dell'Enciclopedia italiana di Giovanni Gentile e di Giuseppe Bottai, che è l'unico vero precedente occidentale di egemonia culturale (ma l'esperienza fascista fu tutt'altro che monocorde, ma ricca di eresie, varietà e dissonanze). Sullo sfondo, però, va considerato anche un proposito di sostituzione: per le masse si tratta di sostituire la formazione cattolica, la rete delle parrocchie, l'impronta religiosa con un nuovo catechismo laico e progressista, d'impronta comunista. E' l'illuminismo portato alle masse, secondo il progetto di Gramsci, in funzione anti-religiosa e progressista.
La storia dell'egemonia culturale marxista e laicista in Italia va divisa in due fasi. La prima risale a Palmiro Togliatti che nell'immediato dopoguerra nel nome del gramscismo va alla conquista della cultura, avvalendosi degli intellettuali organici militanti e di case editrici vicine al Partito. E' un'egemonia non ancora pervasiva, punta alla cultura medio-alta e regge sulla riconversione di molti “redenti” dal fascismo; riguarda l'editoria, alcune frange della cultura accademica, la cultura pubblica e storica. Contro questa egemonia si abbatterà la definizione, altrettanto nefasta, di “culturame” da parte del ministro democristiano Scelba.
L'egemonia, sia gramsciana che quella radical, ha due caratteristiche da sottolineare. Non tocca, se non di riflesso, gli apici della cultura italiana, ma si salda con gli anni nei ceti medi della cultura, nel personale docente, fino a conquistare buona parte dell'Università e della scuola, dei premi letterari, della stampa e dell'editoria, oltre che del cinema e del teatro, dell'arte e della musica. Nulla di paragonabile, per intenderci, con l'egemonia fascista nel segno di Gentile e D'Annunzio, Pirandello e Marinetti, Marconi e Piacentini, per restare solo agli italiani.
In secondo luogo tocca "di striscio" la cultura di massa, che è più plasmata dai nuovi mezzi di ricreazione popolare e di intrattenimento nazionalpopolare: lo sport, la musica leggera, la tv commerciale in cui pure s'insinuerà possente, col tempo, l'influenza ideologica. Dunque, il gramscismo resto un'egemonia dell'organizzazione culturale, dei poteri culturali, dei quadri intermedi, senza vertici d'eccellenza e senza vera adesione popolare. Ma i riflessi della sua influenza s'infiltrarono a macchia d'olio su temi civili e di costume fino a creare un nuovo canone di totem e tabù.
L'egemonia culturale fagocita le culture affini, assorbe quella opportunista, demonizza o delegittima le culture avverse, di tipo cattolico, conservatore, tradizionale o nazionale. Innalza cordoni sanitari per isolare i non allineati, squalifica le culture di destra, bollate ieri come aristocratiche e antidemocratiche, oggi come populiste e razziste-sessiste; da alcuni anni preferisce fingere che non esistano, decretando la morte civile dei suoi autori.
La seconda egemonia culturale nasce invece sull'onda della protesta giovanile del 1968; in Italia il Pci diventa il principale referente ma anche in parte il bersaglio dell'estremismo rosso. Il distacco dall'Unione Sovietica viene motivato, pure all'interno del Pci, col tentativo d'intercettare quell'area radicale, giovanile e marxista che non contestava l'Urss nel nome della libertà ma nel nome della Cina di Mao e della sua Rivoluzione culturale, di Che Guevara e della Rivoluzione cubana, di HoChiMin e dell'antiamericanismo, e di altri miti esotici e rivoluzionari. La stessa cosa vale per la sinistra europea e per new left, la sinistra americana.
Dopo il '68 vanno in cattedra i giovani fino a ieri contestatori, poi assistenti e presto neobaroni universitari. La saldatura tra le due sinistre avviene attraverso alcuni organi di stampa, alcune case editrici, e la trasformazione non solo in Italia ma in tutta Europa della sinistra dal comunismo al radical-progressismo. Questa volta l'egemonia si estende ben oltre la cultura alta, tocca la scuola e l'università, ma anche il cinema, la televisione, il teatro, l'arte, il linguaggio. Il progetto politico è mutare, modernizzare, secolarizzare il vecchi Pc nel progetto di un partito radicale di massa. Ma conservando la sua egemonia, il suo ruolo di guida e paradigma.
Sul piano culturale Gramsci, fuso con autori della tradizione socialista e liberalsocialista, la linea che parte da Piero Gobetti e arriva a Norberto Bobbio fino a Umberto Eco, che applica la nuova egemonia culturale al mondo dei mass media e alla società contemporanea. Ma Gramsci viene comunque considerato come il nuovo papa laico dell'egemonia, seppure postumo; la definizione di Papa laico l'aveva usata lo stesso Gramsci per indicare il ruolo del filosofo liberale Benedetto Croce nella transizione dal fascismo all'antifascismo. Negli anni di piombo, cioè negli anni settanta, convivono l'egemonia gramsciana di marca comunista con l'egemonia radical che ne prende il posto, a cui contribuiscono i reduci del '68 e molti gruppi della sinistra estrema o radicale, dal Manifesto a Potere Operaio e Lotta Continua. Se prima era il Partito a guidare le danze, ora è l'Intellettuale Collettivo a dare la linea alla sinistra e a guidarla sul piano della primazia culturale.
Questa seconda fase ha uno sbocco più recente, che deriva dalle esperienze nordamericane e nordeuropee (la Svezia, ad esempio): la trasformazione dell'egemonia comunista in egemonia del politically correct.