Davos: la globalizzazione incorona un nuovo re
di Salvo Ardizzone - 21/01/2017
Fonte: Il Faro sul Mondo
A Davos, Xi Jinping ha inaugurato il Forum economico mondiale; il suo discorso dinanzi al Gotha dell’establishment del pianeta è stata una dichiarazione di leadership globale, appena velata da parole di circostanza.
Mentre gli Stati Uniti si dibattono in un cambio di Amministrazione controverso, che mette in dubbio il tradizionale ruolo della Casa Bianca come motore dell’economia globalizzata, ieri a Davos è stato il Presidente cinese a farsi avanti come difensore del “libero mercato” (leggi: del sistema liberista più sfrenato).
Certo, per il leader di un Paese con un’economia governata da politiche monetarie, industriali e commerciali chiuse, in cui il “dumping” è largamente praticato e la reciprocità di regole con altre economie una chimera, è grottesco parlarne. Ma l’economia mondiale è alla disperata ricerca di un motore, adesso e subito, e la Cina, dall’alto della sua crescita ostentata (malgrado non più a due cifre nel 2016 è stata del 6,7%, sogni per le economie occidentali ancora alle prese con una crisi mai del tutto superata perché fondata nel proprio stesso modello di sviluppo), e di una montagna di circa 3mila miliardi di dollari di riserve monetarie da investire, è guardata come la salvezza.
Lo stesso fondatore del Forum di Davos, Klaus Schwab, lo ha detto chiaro, dando la parola a Xi Jinping con la frase: “In un mondo in preda all’incertezza ed alla volatilità dei mercati, tutti guardano a Pechino”. E il Presidente cinese ha recitato la parte fino in fondo, permettendosi anche di fare qualche appunto di maniera alle storture della globalizzazione, ma affermando nettamente che è l’unica strada da percorrere.
Sul palco di Davos si è visto un cambio di leadership per la protezione degli interessi della globalizzazione e di chi, attraverso essa, affastella colossali montagne di denaro alle spalle della gente. Un cambio suggellato da un pesante ammonimento alla nuova Amministrazione Usa, alla quale Xi Jinping ha chiaramente destinato la frase: “Nessuno uscirà vincente da una guerra commerciale”, col chiaro sottinteso: “Se gli Stati Uniti vorranno dichiararla”.
Tanto bastava per farsi incoronare re dalla platea di Davos, terrorizzata di restare orfana di una potente guida e dagli sconquassi che potrebbero derivare ai suoi enormi interessi da una frenata ai meccanismi che permettono di spremere il pianeta come una spugna.
Alla gente di Davos che può importare di bazzecole come la violazione sistematica di ogni diritto dei lavoratori o del nuovo colonialismo che distrugge Stati, del saccheggio indiscriminato delle risorse o dell’inquinamento su scala planetaria che la Cina pratica con disinvoltura ancora più delle peggiori multinazionali. Sono le stesse pratiche che applicherebbe con entusiasmo, se non fosse in qualche modo frenata da regole che in nome del “Dio Mercato” combatte ferocemente dove esistono ancora.
Ma il nuovo signore della globalizzazione ha un impero fragile: a Davos nessuno ha voluto ricordare che nel 2016 la Cina ha subito una fuga di capitali da 64 Mld di dollari al mese; dall’agosto del 2015 sono usciti dal Paese 1300 Mld. Quella cinese è un’economia che vale circa il 14% del Pil mondiale e la metà della domanda di materie prime come il rame, lo zinco o l’acciaio, ma è fondata su una colossale montagna di debiti fuori da ogni controllo. In altre parole, è basata in larga parte su una massa di aziende statali che si reggono su enormi finanziamenti dello Stato, e alimentano una diffusissima corruzione e clientelismo.
Insomma un sistema privo di qualsiasi trasparenza, in mano a “mandarini” ammanigliati col potere, che genera immense bolle speculative a ripetizione (immobiliare, azionaria e così via) e spaventosamente squilibrato fra esportazioni e consumi interni.
Secondo Goldman Sachs, la leader delle banche d’affari di Wall Street, la domanda non è “se” ma “quando” gli squilibri condurranno la Cina ad una colossale crisi finanziaria. Una crisi che, in un mondo globalizzato che non si è mai del tutto ripreso dalla precedente, avrà effetti devastanti.
Stando a Goldman Sachs, e al concorde giudizio di molti altri analisti, la risposta pare sia nell’arco di due – tre anni, ma che importa per la gente di Davos? Per essa è un’eternità nella quale potranno ammassare ancora miliardi, e quando la crisi arriverà è ovvio che ne uscirà più ricca di prima, è già accaduto, lasciando come sempre i cocci agli altri.
È la globalizzazione, bellezza; è la legge del “Dio Mercato”, dinanzi a cui è obbligo per tutti inchinarsi.
di Salvo Ardizzone