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Dear Matthew, tuo zio d’America

di Antonio Martino - 15/09/2016

Dear Matthew, tuo zio d’America

Fonte: L'intellettuale dissidente

Dear Matteo,

Spero che la mia lettera giunga in un momento felice per te e i tuoi cari. La famiglia, come diceva il cugino Turi, è sempre la cosa più importante, soprattutto in tempi difficili. E sono hard times questi mesi, per te e per il tuo Governo, non c’è dubbio: Pier Carlo non trova più la crescita economica (ho chiesto in giro ma nessuno vuol dirmi dove si sia cacciata!), madama Elena gira il Belpaese sfidando bruti foruncoluti nelle fetide aule d’Università, dalla casa di riposo del Nazareno everydays Bersani e D’Alema abbandonano scoponi e bastoni per farti la guerra, il referendum costituzionale s’avvicina e tu, my boy, non sai più che pesci pigliare.

Per questo avevo detto a John (Phillips, nda) di darti una mano. Noi non lasciamo mai soli i nostri amici, specie se son italiani. Ah, quanti ricordi! Mi fa tornare giovane scriverti, Matteo caro, e intestare la busta all’indirizzo di Palazzo Chigi provoca in me ricordi dolci e sublimi. Abbi pazienza, you know, a noi vecchi capita spesso di cadere nelle nostalgie del passato: 71 anni di parentela non si dimenticano, nemmeno se hai l’Alzheimer. However, ti dicevo del caro John. Avevo sollecitato l’Ambasciata per cercare un assist nei confronti della vostra parte, ma evidentemente l’Italia di oggi non la conosco poi più tanto bene. Scusami dunque se sono stato precipitoso. Il tuo vecchio Zio d’America non ha più la lucidità di una volta.

Me ne avete fatte passare di cotte e di crude, voi fuckin’ mangiaspaghetti! Sempre a mettere i bastoni tra le ruote: quando abbiamo (s)venduto l’ENI ho fumato un Avana alla memoria di quel motherfucker di Mattei, avversario rognoso e infame. Ma io l’ho messo in riga! E come si lagnava, quel suo indegno compare di Aldo, quando eliminammo Mattei e le sue utopie. Non aveva capito, il buon Moro, che eravate e siete cosa nostra. Figurati che s’era fissato con i comunisti. Era bravo, ma si illudeva sempre. Meno male che all’epoca avevamo gli strumenti per togliere dalla circolazione criminali simili. Un giorno ti racconterò dove prendemmo nel 1978 quella Renault 4, storia divertentissima.

Comunque, erano anni ruggenti. Avevo molte speranze per voi, e Reagan stravedeva per Benedetto detto Bettino. Finalmente un uomo di polso, pensavamo qui a Washington, e in più odia i comunisti come noi. Seppelliti compromessi antistorici, i rampanti Ottanta promettevano grandi risultati. Craxi, però, rovinò tutto: era un giocatore di poker, e il bluff di Sigonella non doveva farlo. Si era fissato con Garibaldi, e osava pensare la vostra colonia patria come potenza regionale, libera e sovrana. Non ti dico cosa faceva con Arafat e con quei malandrini dell’OLP!   Bastò poco per farlo cadere, una volta finito il grande gioco con l’URSS. Ricordati che i Di Pietro non vengono mai per caso, mica son funghi. Poi venne Silvio, Romano nostro, l’11/9, la Merkel e Sarkò, le primavere arabe e il caos. Negli ultimi tempi contate poco, e io non posso farci nulla. King Giorgio, il nostro comunista preferito, però è sempre stato squisito: obbediva a bacchetta. Amor vincit omnia, se non sbaglio.

End of the story. Torniamo a noi. In sostanza, dear Matteo, volevo per l’ennesima volta piegare la vostra caotica realtà all’ordine, così come lo intendiamo e lo vogliamo qui. Purtroppo Phillips non ha saputo fare meglio di questo, e non so quanto il mio aiuto possa essere valido per la causa. Sappi comunque che non sei solo. Qui in America tutti gli amici pensano a te e sperano ardentemente che tu possa vincere il referendum e trionfare sui nostri comuni nemici.

Se, e dico se, qualcosa non dovesse andare per il verso giusto, non ti preoccupare troppo. Abbiamo una soluzione valida per ogni problema. Non abbandoniamo mai i nostri soldati, figurati i nostri maggiordomi.

Sinceramente tuo,

Zio d’America.