Destra e sinistra: il caso francese
di Michele Carbè - 12/05/2021
Fonte: Il pensiero storico
In una società come quella post-moderna, permeata dal presentismo, la suddivisione novecentesche delle categorie politiche “destra-“sinistra ha ancora un senso? Il consenso e la rappresentanza politica, per essere descritte e studiate, hanno ancora bisogno di una suddivisione così netta?
Il politologo francese Marcel Gauchet con il suo saggio, ora riedito in Italia, ci dà l’opportunità di avere una visione storica delle categorie concettuali della politica, del loro assetto spaziale, che nel corso dei secoli è servito a ad ogni cittadino per identificare le proprie posizioni su determinati temi esistenziali. In Italia il testo di riferimento per ciò che concerne lo studio delle categorie del politico è il breve saggio Destra e sinistra scritto da Norberto Bobbio nei primi anni novanta del secolo scorso e contemporaneo alla prima edizione dell’opera di Gauchet. Il libro dello studioso italiano risente però di un approccio valutativo che tende a superare la divisione orizzontale dei concetti esaminati per trasferirli in una scala verticale e valoriale in cui la sinistra è al vertice perché, avendo come stella polare una visione egualitaria della società, ha la democrazia insita nel proprio modus operandi, al contrario della destra inegualitaria interessata ad accentuare le differenze interne della società.
Inoltre le due categorie politiche e le rispettive appartenenze vengono viste da Bobbio come inconciliabili tra loro, appartenenti a due modi diversi di intendere la vita. Gauchet, invece, riesce ad eliminare le aporie proprie di una disposizione degli elementi che è a priori valutativa e con un’indagine stereoscopica descrive sin dalla sua nascita la struttura della diade destra/sinistra in Francia. L’humus ideologico, perfetto per la formazione dell’assetto spaziale del futuro emiciclo parlamentare, è la lotta per i diritti politici del Terzo Stato nella Rivoluzione del 1789 e soprattutto gli eventi che la susseguirono.
Bisogna registrare che già all’inizio degli Stati Generali (maggio dell’89) si hanno le prime connotazioni politico-spaziali dovute al fatto di operare una scelta tra due proposte rivali e di posizionarsi a destra o sinistra della sala in base alla scelta fatta. Poco dopo (agosto 1789) un deputato della destra, il barone de Gauville, annota: «cominciamo a riconoscerci: quelli che erano affezionati alla religione e al re si erano confinati alla destra del presidente, al fine di evitare le grida, le affermazioni e le indecenze che accadevano nella parte opposta» (p. 37).
Tuttavia, durante tutto il periodo rivoluzionario è prematuro parlare di partiti di destra e di sinistra. La suddivisione spaziale politica in epoca rivoluzionaria fu di fatto una falsa partenza, in quanto l’opinione e la volontà individuale prevalsero sempre su logiche di parte. Allora valse il principio per il quale nell’individualità risiedeva la volontà generale. Bisogna aspettare la restaurazione nel 1815, quando la dialettica e la vita parlamentare assumono sostanzialmente un atteggiamento dualistico. Sono allora gli ultramonarchici (esaltati dalla vittoria delle monarchie europee) che si raggruppano e si organizzano. Questa loro iniziativa fa da stimolo per il raggruppamento dei repubblicani.
In un susseguirsi di eventi la coesione degli uni suscita la riunione degli altri e gli anni 1815-1820 costituiscono il periodo che fa da matrice alla fissazione della diade in parlamento. I partiti sorgono quindi dopo la parentesi napoleonica, ma l’istituzionalizzazione passa anche da un terzo incomodo. Infatti esistono una destra e una sinistra perché c’è un centro: “i costituzionali”. Il partito chiamato dei costituzionali e fedele sia alla Carta che alla monarchia, capace di governare con oltranzisti e liberali, oppure con l’uno o con l’altro. Vi saranno infatti costituzionali favorevoli all’alleanza con la destra, altri con la sinistra, isolando così le componenti di “esagerati” . Con l’esperienza della Comune ed il suffragio universale ottenuto nel 1848 anche il linguaggio politico assume un altro connotato: la prassi parlamentare non sarà più divisa in maniera schietta tra destra e sinistra. A tal proposito Gauchet nel libro cita Proudhon e la necessità di due partiti intermedi tra i due estremi ovvero «in termini parlamentari, un centrodestra e un centrosinistra» (p. 53).
Il linguaggio popolare distinguerà i démoc-soc ai rèacs, trasferendo la divergenze della diade in un campo cromatico in cui, come in guerra, vengono adottati dai cittadini i colori della rispettiva parte politica nelle proprie bandiere: i rossi contro i bianchi. Il Novecento segna l’ingresso delle masse nella vita politica della nazione, con esso la nascita di veri e propri partiti che hanno l’esigenza di una rappresentanza sociale; nella Francia della tradizione rivoluzionaria questo è un fattore di rottura, sempre ostile ai partiti articolati. Lo scopo del nuovo modello di partito è di evidenziare una volontà popolare che faccia risaltare l’unità. La rappresentanza viene intesa come un modo per esprimere la nazione nella sua interezza. Queste nuove forme di organizzazione partitica sconvolgono la tradizione repubblicana francese e la sua base individualistica.
D’ora in avanti la figura monista del collettivo basata e la sua rivelazione della volontà unitaria vengono sostituite da una base dualista, due sfere distinte, cosicché l’idea di partito di classe o del partito portatore di interessi e di gruppi specifici non fanno che rafforzarsi. La catastrofe del primo conflitto mondiale amplia la divisone tra le parti: i concetti di nazione e di rivoluzione divengono delle antinomie che esistono anche in esperimenti ibridi come il modernismo reazionario ed il nazionalismo rivoluzionario. La violenza parossistica di quegli anni è il lievito che da vita all’epoca degli opposti estremismi, così non più destra e sinistra si fronteggiano ma le loro parti estreme. I comunisti prendono il posto dei socialisti come partito di contestazione e, dall’altra, i fascismi fanno irruzione nell’agone politico.
Il partito comunista nato dal partito socialista grazie alla scissione del 1920 non si accontenta di fustigare la collaborazione di classe ma definisce la sinistra come: «blocco dei borghesi arrivisti che sotto l’etichetta di sinistra, contende i posti al blocco dei borghesi dalla pancia piena» (p. 76). Dal fronte opposto è Robert Brasillach che «apostrofa i cornuti della destra, nel marzo del 1936, perché hanno manifestato la loro riprovazione dinanzi all’aggressione di cui Leòn Blum era stato vittima da parte dei militanti dell’Action française» (p. 82). Nel secondo dopoguerra con la sconfitta dei fascismi l’estrema destra quasi scompare, invece la sinistra è dominata dall’estrema sinistra del partito comunista sul quale torreggia l’alone della vittoria. Tutto ciò si tradurrà in un dominio simbolico e morale della sinistra: lo stato egemonico che ne scaturisce sarà rifiutato dalla destra gollista, il partito del generale De Gaulle diviene l’araldo designato dell’opposizione al comunismo.
Il libro di Gauchet è un saggio complesso, reso attuale dalla prefazione del curatore dell’edizione italiana, il politologo Marco Tarchi, e da una postfazione dell’autore stesso. Per questo merita sicuramente di essere letto. In conclusione, facendo seguito alle teorie del filosofo e giurista Carl Schmitt, possiamo dire che lo Stato moderno esiste in quanto esiste il concetto di conflitto e di lotta politica. Sostanzialmente la diade è ancora presente nella società contemporanea, anzi vive una palingenesi nei termini politici di singoli temi (sovranismo, ambientalismo, diritti civili) che rimettono il cittadino nel rapporto di appartenenza comunitaria di destra e sinistra.
Recensione a
M. Gauchet, Destra/Sinistra. Storia di una dicotomia
nuova edizione con un saggio introduttivo di M. Tarchi
Diana Edizioni, Napoli 2020, pp. 160, €15.00.