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Di cosa stiamo parlando? Del nulla, solo del nulla

di Marcello Veneziani - 09/09/2024

Di cosa stiamo parlando? Del nulla, solo del nulla

Fonte: Marcello Veneziani

Sentinella, a che punto è la notte? La domanda del profeta risale ogni giorno e ogni giorno resta inevasa, senza risposta. Togliete il sonoro al gran frastuono sul caso Boccia-Sangiuliano e allargate il campo visuale alla questione culturale in Italia, oltre le vicende che riguardano il ministero della cultura, i pianti, i corvi e la malafede. Da quasi due anni la destra è al governo, e da due anni riaffiora periodicamente il tema dell’egemonia culturale, la domanda su cosa è cambiato e cosa invece perdura, su chi racconta e come la realtà di oggi, quali sono i linguaggi e i “valori” preminenti nel nostro Paese. Non c’è nessun cambio di passo, nessuna svolta, nessun reale cambiamento. O, a essere ottimisti, solo qualche virgola, qualche dettaglio, qualche frenata, qualche stop. Non cambia la realtà ma nemmeno la rappresentazione, cioè come viene letta, narrata, giudicata e collocata. Gli stereotipi restano gli stessi. Si possono ravvisare segnali di sfaldamento dei racconti ideologici ancora dominanti ma non c’è alcun segnale, reale e virtuale, di mutazione, nessuno sguardo diverso. La notte incede, ma non s’intravede alcun chiarore.
Cosa è successo in questi due anni? Non c’è stata, come era del resto prevedibile, visti i presupposti, nessuna strategia e nessun tentativo organico di avviare un cambiamento reale e culturale. Non c’è stato, come era altrettanto prevedibile, alcun passaggio culturale, alcuna vera sostituzione. Qualche nomina, qualche piccolo spostamento, qualche caso o casino ma nulla che possa somigliare a una svolta, una riforma o addirittura una rivoluzione. Chi pensa che questa possa essere una critica alla politica del governo, si sbaglia: la politica, tutta la politica, da tempo non intercetta i cambiamenti, figuriamoci se li può provocare; i governi a malapena gestiscono l’ordinario, non lasciano tracce, al più producono danni e lasciano strascichi dei loro errori (come i banchi a rotelle, i cumuli di vaccini, i redditi parassitari, i danni del 110%, che hanno favorito ricchi e speculatori). Nessun soggetto politico, tecnico o sociale è in grado di produrre cambiamenti di sostanza e di immagine, neanche la destra. Impotenza generale.
Cambi di linea manco l’ombra, semmai si perde ogni linea, tutto sembra accadere per caso, a zig zag come un ubriaco o random, senza alcuna consapevole direzione. Del resto se qualcuno avesse intenzione di produrre reali mutamenti sarebbe cacciato in breve tempo. Basta mandare il Paese in default e i non subordinati vanno a casa. Dunque inutile polemizzare né ci sono vere alternative al corso attuale. Nonostante tutto, auguriamo lunga vita al governo in carica, fino a fine legislatura; ma, salvo l’auspicio, la realtà vera resta quella, con tutte le insidie e le cadute. Chi verrà dopo la Meloni sarà peggio, volete scommettere?
Nessuna delusione: non si potevano riporre aspettative su persone e situazioni che obiettivamente non potevano suscitarle. Quello passa il convento, quelle sono le risorse a disposizione, non si è mai fatta selezione e formazione, scouting e meritocrazia; non si è mai coltivato nulla, e ora non possiamo sperare che la funzione sviluppi l’organo, che l’incarico illumini l’incaricato.
Allora cosa è successo? Piccoli avvicendamenti, nomine qua e là senza delineare alcun progetto culturale alternativo o almeno una bozza. Non ci sono segni di discontinuità da nessuna parte, dall’informazione pubblica alla politica culturale, dalle istituzioni alle postazioni pubbliche. Se si osservano i nominati, salvo qualche eccezione ma per puro caso, il quadro è il seguente. In gran parte si tratta di modesti militanti o di nominati già in carriera con altri governi, persone dal raggio limitato che lasciano le cose come stanno, non hanno l’autorevolezza e la visione per generare mutamenti; si occupano al più di dettagli, microfavori, piccoli aggiustamenti. Attaccavano manifesti, ora fanno i passacarte. Oppure: servivano il re, ora servono la regina, passando dal vecchio al nuovo reame, senza alcun disagio. Poi ci sono alcuni nominati che per garantirsi la benevolenza del potere culturale preesistente e persistente, si mostrano aperti al mainstream, del tutto permeabili e neutrali. Non fanno nulla per cambiare le cose, non si rivoltano, se non nelle recite e nei dopocena tra intimi; anche perché sono convinti – e qui non sbagliano – che nulla di sostanzioso si possa realmente fare. Ma loro manco ci provano, a fare il poco, a lanciare un segnale, a mostrarsi diversi; eppure furono chiamati proprio per questo. Per questo loro conformarsi al mainstream vengono salvati dal tiro al bersaglio che ogni giorno si esercita sui media contro i birilli del governo, col progetto di abbatterne uno dopo l’altro. Vedono la loro nomina sotto il profilo strettamente personale, come celebrazione del proprio ego, come miglioramento della propria posizione economica, come promozione, con ruolo di potere, nella “bella società”. Un po’ come molti “tecnici”, di ieri e di oggi. Puntano alla manutenzione, non alla trasformazione, o perlomeno ad avviarla; gestiscono l’ordinario mentre ci vorrebbe qualcosa di straordinario.
Se dunque l’alternativa è mettere solo una faccia al posto di un’altra, se l’unica novità è lo sponsor “di destra”, il nuovo datore politico d’ingaggio, ma non i modi, i simboli e i contenuti; se non lasciano tracce, impronte di un passaggio, segnali di una diversa cultura e una diversa sensibilità, ma ricavano solo avanzamenti di carriera e profitti personali, allora di cosa stiamo parlando? Del nulla, solo del nulla. La beffa finale è che mentre si abbassa il livello generale della qualità e si perde la differenza dei contenuti, si alza il livello dello scontro, sale la tensione mediatica e politica. Si acuiscono i rancori di parte mentre i contenuti delle appartenenze sono da tempo sciolti nell’acido dell’indifferenziato. A sinistra resta il mainstream, a destra solo qualche nomina; ma dentro lo stesso mainstream. È veramente grottesco il conflitto armato tra due bandiere ammainate e due patrie che non esistono più ma che richiedono ancora il passaporto.