Diffidate dei cosmopoliti
di Pierluigi Fagan - 07/09/2024
Fonte: Pierluigi Fagan
Nel suo “CONTRO LA SINISTRA NEOLIBERALE” (Fazi editore, 2022), Sahra Wagenknecht divide l’impegno editoriale in due parti. La prima tende e descrivere e diagnosticare questa “sinistra” neoliberale, la seconda presenta programmi e idee politiche di per una sinistra, diciamo, più “tradizionale”. In questo post ci occuperemo solo della prima parte.
L’aspetto più interessante del discorso è nell’analisi del sottostante sociale in cui si sarebbe prodotto il fenomeno che ha portato all’emersione e poi all’affermazione di questa classe sociale la cui ideologia è detta “lifestyle left” che ha cambiato il senso stesso del concetto di “sinistra”. Riporterò più o meno il filo del ragionamento espresso ma vi aggiungerò anche qualcosa che nel testo non c’è.
L’analisi si appoggia allo studio fatto da Thomas Piketty in Capitale ed Ideologia, il quale censendo socio-demograficamente la popolazione di ben tredici paesi occidentali, ha verificato che questo gruppo social-ideologico è emerso a partire da fine anni Ottanta, collocandosi nella parte medio-alta dello spettro sociale, sia per titolo di studio che per reddito. Si dovrebbe trattare di quel gruppo sociale che da giovane, quindi approssimativamente negli anni ’70, era di sinistra ove il concetto aveva sia connotati social-economici chiari e forti, dichiamo più “tradizionali” ovvero in favore degli svantaggiati, sia connotati ribellistici verso la morale ed il pensiero borghese tradizionale, quindi conservatore. Una sinistra prevalentemente liceale ed universitaria che, crescendo, è andata a ricoprire posizioni professionali di una certa rilevanza, ritrovandosi nel segmento medio-alto dello spettro sociale per censo.
Negli anni Novanta, si sono prodotti tre fatti. Il primo è stato la progressiva affermazione in Occidente della strategia globalista-finanziar-informatica che ha trasformato il paesaggio produttivo e quindi sociale. Questa nuova classe di emergenti ha sposato questo nuova strategia e ne ha avuto tornaconto professionale, quindi di reddito, quindi di posizione sociale. Tematicamente, il pacchetto GFI è stato vissuto come elemento di “progresso”, sancendo una linea culturale con al di qua gli integrati cavalcanti l’onda ed al di là i perdenti smarriti, attardati, residuali. Per via della logica dicotomica, se A lo reputo un progresso, chi non lo reputa tale è un conservatore.
Il secondo fatto che il testo della SW non cita apertamente ma credo vada aggiunto, è stato lo shock del crollo dell’Unione Sovietica. Lì la “sinistra” non ha condotto una seria autoanalisi critica teorica. Prima, la sinistra era opposizione. Una opposizione ha il gioco relativamente “facile” di dire no o ni a tutti i punti di una costruzione pratico-teorica che è poi quella dominante che governa. Ma i punti singoli sono una cosa, la costruzione intera un’altra. La sinistra sapeva fare molto bene l’opposizione sui singoli punti ma non aveva la più pallida idea di quale altra costruzione pratico-teorica complessiva opporre. Non lo sapeva per due ottimi motivi, il primo è che il marxismo-leninismo alla base di quella ideologia non la offre o meglio pensa di offrirla ma è tra il velleitario e l’inconsistente (e le macerie dell’URSS testimoniavano di quanto realmente fosse inconsistente). Il secondo è che stando sempre all’opposizione non aveva contatto con la complessità del governo reale di un paese occidentale. Personalmente credo questo sia il punto dirimente, la sinistra da lì in poi declina e poi crolla certo anche per via degli smottamenti sociologici che stiamo seguendo, ma soprattutto per mancanza di una immagine di mondo antropologica, economico-politica e geopolitica completa, alternativa ma praticabile.
Il terzo fatto che il testo della SW riporta è che tali movimenti si sono prodotti nel mentre la classe e l’ideologia tradizionalmente dominante, si stava convertendo alla nuova ideologia estremistica neoliberale. La nuova classe emergente di provenienza di sinistra, capendo a sua volta poco o niente di teoria economica (e sociale) ma sentendosi ora integrata e quindi non più oppositiva (anzi con a lungo agognate e spesso negate prospettive di governo), ha aderito passivamente alla nuova ideologia, giocoforza. Pur non capendo niente o molto poco di teoria economica e sociale, ha però avvertito che i punti più crudi del neoliberismo certo non avevano nulla a che vedere con un ethos di sinistra e sentendosi sentimentalmente ancora in qualche modo di “sinistra”, ha cominciato a vestire il neoliberismo di progressismo tramite la sensibilità ai diritti individuali e le pari opportunità, ammessi dal pensiero liberale più in generale.
Questa classe una volta di sinistra integrale ora di sinistra solo per una costellazione impalpabile di valori vaghi e di fatto interna all’ideologia dominante neoliberale, manifesta tutti i sintomi della propria evidente contradizione. Lo fa manifestandosi di una intolleranza rara che per altro nulla ha a che fare con l’autentico spirito liberale. I vecchi sodali di sinistra che tali sono rimasti integralmente e diciamo tradizionalmente vengono appellati spregiativamente come statalisti, nazionalisti, rossobruni, populisti, filo-Putin, complottisti, antiscientisti, negazionisti, antiprogressisti, razzisti, antifemministi, culturalmente arretrati, omofobi, più varie versioni della reductio ad hitlerum o di fatto quasi fascisti in un riflesso dicotomico infantile. La nuova classe medioalta integrata si pensa come “gente per bene” quindi gli altri sono “gente per male”. In più, visto che effettivamente le fasce più basse della popolazione sono oggi stati egemonizzati da vari tipi di destra e di conservatorismo tradizionalista e quindi coabitano con pezzi di sinistra tradizionale residua, l’assimilazione è presto fatta ed anche parecchia confusione. Il tutto su una base di incrollabile certezza morale con rifiuto dell’argomentazione razionale in favore di inappellabili giudizi e sentenze emotive.
Quanto alla “confusione” categoriale, hanno dato una grande mano i promotori dello slogan “non c’è più destra, né sinistra”, di fatto aree di destra in cerca di legittimità teorica a cui -irriflessivamente- alcuni elementi di sinistra delusi hanno aderito senza criterio. Tra l’altro in un certo senso confermando che questa area ideologica è propriamente “sinistra” quando invece l’iscrizione alla categoria gli andava revocata. Forse sarà il caso di distinguere l’appartenenza all’area del dissenso (? “dissenso” è una posizione che usa a parametro il dominante; quindi, mostra di non avere una sua autonomia propositiva) rispetto a personaggi come il fratello di Prodi, Zichichi, Mons. Viganò, se non finire in braccio a Vannacci e Casa Pound. In più, c’è stata l’obiettiva sparizione di organizzazioni politiche ed intellettuali di sinistra reale, soprattutto in Italia dove lo storico provincialismo introflesso non ha letto fatti politici come Syriza, Podemos, Melenchon o la stessa Alleanza Sahra Wagenknecht-BSW che comunque tracce di sinistra ce l’avevano e ce l’hanno, bastava copiare. Infine, i singoli rimasti pervicacemente di sinistra hanno ingaggiato con questa finta “sinistra” neoliberale un corpo a corpo più polemico che critico, dimenticandosi di ricordagli che la sinistra era internazionalista e anticolonialista prima che globalista, femminista prima del gender, ecologica in quanto a devastazioni del capitalismo prima che Verde. La sola difesa dei diritti civili dimentica colpevolmente quelli sociali, ma ciò non comporta che la difesa dei secondi debba minimizzare i primi. Capita quando si perde egemonia e quindi potere e sicurezza culturale, finire a chiudersi da soli in un angolo. Oltretutto incrementando la circolazione di quel tasso di odio e irritante dileggio in cui sono maestre le destre storicamente a disagio col pensiero, la riflessione e l’argomentazione.
Riferendoci alla più immediata e prosaica attualità, qualche giorno fa, un personaggio politico europeo ha ben disegnato questa sinistra per bene schifata dal successo della sinistra per male rappresentata dal partito della SW in Germania, dando quindi il crisma di giudizio su cosa è sinistra o meno. Questo personaggio è il conte Paolo Gentiloni Silveri della famiglia dei conti Gentiloni Silveri, nobili di Filottrano, Cingoli, Macerata e Tolentino. Ora c’è Gentiloni a stabilire cosa è e cosa non è di sinistra, neanche Antonin Artaud maestro del teatro dell’assurdo avrebbe osato tanto.
È così che nasce e si sviluppa la sinistra che parla bene, la sinistra degli asterischi, cosmopolita, dei sushi bar, metropolitana, del bio, digitalizzata, creativa, dei centri storici, ecologista ma senza aver ben capito il significato di ecologia, accogliente verso i migranti ma pur rimanendo ad una certa distanza per dove si abita e luoghi e persone che si frequentano, di un egoismo sano, amante del rischio (calcolato), flessibile, mobile. Non si tratta più di cambiare la società ingiusta ma anzi di preservarla dagli attacchi oscurantisti delle destre e del conservatorismo, semmai renderla più “inclusiva” e sempre più “aperta”. Spaccata la società anche grazie alle assurde conseguenze della c.d. “politica dell’identità” e messo fuori uso l’ascensore sociale, stracciato il contratto sociale, questa nuova classe benpensante è sempre più chiusa in sé stessa, impenetrabile, priva di ogni contatto con le contraddizioni sempre più vistose di una società che capisce sempre meno. Si pensa ideologicamente di sinistra, è socio-economicamente quindi politicamente di destra, è quindi transgender ma con seri problemi identitari.
Dato un certo potere culturale che ha ottenuto anche per occupazione delle nuove professioni info-creative, gestisce una certa parte dell’immagine di mondo e quindi ha il potere di stabilire categorie con annessi giudizi, il che rende la dialettica critica molto difficile partendo già incasellati e giudicati con ricorso più che ad argomentazioni, a giudizi che sollecitano emotività valoriale. In più, come detto, il cuore del neoliberismo crudo, l’ha adottata per darsi un’aria più umana sebbene in accordo ai propri parametri antropo-sociali dell’individualismo competitivo e la distruzione di ogni sistema comunitario e di ogni solidarietà sociale. La diseguaglianza è giusta, perché è meritata e produce progresso.
Simpatica la citazione di J. J. Rousseau: “Diffidate dei cosmopoliti che vanno a cercare lontano nei loro libri i doveri che trascurano di svolgere nel proprio ambiente. Come quel filosofo che ama i Tartari, per esser dispensato dell’amare i vicini”.
Poiché questa area ha recepito gli insegnamenti di Foucault e Derrida sull’importanza del linguaggio, facendo tesoro dei loro insegnamenti, sarà il caso di non chiamarla più “sinistra” ma neoliberismo progressista quale mi sembra -in definitiva- sia.