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Disinformazione e censura. Il ghigno di Goebbels

di Roberto Pecchioli - 05/09/2024

Disinformazione e censura. Il ghigno di Goebbels

Fonte: EreticaMente

Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova, scrisse Agatha Christie. Se gli indizi si contano a decine, l’evidenza fa tremare i polsi. Parliamo del rapidissimo declino della libertà di pensiero e di espressione nell’ avanzato, progredito mondo occidentale. L’espediente è bollare come disinformazione o falsa notizia (fake news, nel grugnito globish) ogni espressione di dissenso. Le tavole della Verità sono possedute in regime di monopolio dai vertici del potere ed amministrate da un clero regolare di servi: giornalisti, intellettuali, politici. Chi disinforma – ossia esprime la sua opinione – viene prima ridicolizzato e screditato, quindi sottoposto a procedura penale.
La chiamano democrazia, ma è democratura. Le forme apparenti restano quelle della democrazia rappresentativa, la sostanza è la dittatura di un pensiero unico espresso a voci unificate. Il termine democratura, coniato dall’uruguaiano Eduardo Galeano, fu descritto negli anni Sessanta dallo svedese Vilhelm Moberg. “In una democratura vengono preservate elezioni generali libere, anche la libertà di parola è formalmente preservata, ma la politica e i media sono controllati da un sistema che cerca di garantire che solo determinate opinioni siano discusse pubblicamente. La conseguenza è che i cittadini vivono in una società influenzata da immagini distorte della realtà. L’oppressione delle opinioni inappropriate è ben nascosta, il libero dibattito è soffocato.”
Siamo decisamente oltre. L’attacco alla libertà di espressione, associazione e pensiero avanza ogni giorno; gli indizi si accumulano e diventano prove schiaccianti. L’arresto del fondatore di Telegram, la messaggeria restia a condividere con il potere le comunicazioni, con accuse assai simili a quelle mosse contro Julian Assange, è il segnale più sinistro. Ma che dire degli attacchi del gerarca dell’UE Thierry Breton a X di Elon Musk e i divieti imposti in Brasile? Nel caso sudamericano, il sicario è un magistrato noto per le azioni giudiziarie contro l’ex presidente Bolsonaro. Mark Zuckerberg ammette di avere censurato contenuti sgraditi al governo americano (democratico, democraticissimo)  e al potere fintech. Nessuna indignazione: l’uomo dalla maglietta grigia è uno dei loro.  In Inghilterra gli arresti contro chi ha manifestato – o espresso opinioni – contro omicidi perpetrati da stranieri riportano l’orologio della libertà, a prima del 1215 in cui fu emanata  la Magna Charta libertatum. Il Regno Unito ha il poco invidiabile primato di un prigioniero politico di undici anni, arrestato per aver partecipato alle dimostrazioni anti immigrazione. Nulla di nuovo: ricordate Dickens, i bambini in prigione, i cenciosi piccoli operai di otto, nove anni nelle industrie del XIX secolo? Il progresso marcia all’indietro. I contenuti, le idee, le opinioni, le espressioni non in linea sono diventate “dannose”. Possono essere vietate, con processi penali a carico dei reprobi, disinformatori, colpevoli di odio.
In Francia ai partiti di sinistra è negato di formare il governo dal presidente Macron. La giustificazione è una confessione in piena regola: un esecutivo conforme all’esito elettorale minerebbe la “stabilità”. Ossia, cambiare, se così vuole il popolo, il sovrano detronizzato dall’oligarchia, è vietato. Votare, Macron lo dice con chiarezza, non serve a nulla. Le elezioni valgono solo se vincono lorsignori. Il giovin signore di casa Rothschild ha impedito il successo di Marine Le Pen sostenendo i candidati della sinistra a cui ora nega il diritto di governare. Nulla di diverso in Germania, dove le elezioni locali hanno sancito il trionfo di due forze non di sistema, Alternative fuer Deutschalnd e il movimento social populista di Sahra Wagenknecht, ma tutti si coalizzano per impedire loro di amministrare i laender. Negli Stati Uniti l’avversione a Trump dell’establishment dominante arriverà a far uscire a pochi giorni dalle elezioni presidenziali un film prodotto, scritto e pensato contro di lui dalla fortezza progressista di Hollywood . Si dice che a New York sia mobilitata la Guardia Nazionale per un eventuale arresto – nella terra della libertà – del candidato repubblicano il 18 settembre, in coincidenza con un dubbio processo a suo carico. In Canada si è multati se non si usa il pronome giusto per indicare persone “non binarie”, in Irlanda si è incarcerati per lo stesso motivo. Pregare pubblicamente contro l’aborto – anche in silenzio – porta diritti in prigione. Jordan Peterson, famoso psichiatra canadese, è condannato alla “rieducazione” per le sue convinzioni anti-gender.
In Germania il partito Afd è attenzionato (avanza il lessico questurino) in quanto “ estremista” e si cerca di impedire che abbia accesso ai fondi pubblici. Piccoli gulag crescono dappertutto in Occidente. Viene da sorridere pensando a Emanuele Fiano, il deputato (democratico) che vuole soltanto chiudere alcuni negozietti nostalgici e vietarne i gadget. Nel dibattito pubblico è minimo lo spazio per posizioni plurali, documentate, dialettiche. Il sistema della comunicazione riceve le notizie (le veline…) da agenzie di stampa possedute dai colossi finanziari e industriali . Tutto è propaganda e pubblicità, indistinguibile dall’informazione, dall’intrattenimento, dalla cultura. La pubblicità è l’ onnipresente strumento di menzogna istituzionalizzata, che mente per indurci ad acquistare merci, idee, visioni del mondo con parole suadenti e musica di sottofondo.  Il linguaggio della contemporaneità è un codice fondato sulla bugia e l’alterazione programmatica della verità; l’obiettivo è persuadere con artifici psicologici – molti dei quali inavvertiti – a fare propri prodotti, stili di vita, informazioni, credenze. Un inventore della moderna comunicazione, Walter Lippman, teorizzò la necessità di inculcare stereotipi con cui imporre una visione del mondo. Preconcetti, schemi indotti diventano l’unica griglia interpretativa: stravolgimenti metodici della verità. Spettatori passivi, recettori disinteressati al vero, accettiamo che un concetto, un’opinione, siano verità perché certificati da un’istituzione. L’appello all’autorità scavalca la verità.
La pubblicità è l’architrave della società. Alzi la mano chi avrebbe accettato, vent’anni fa, di sopportare messaggi continui, reiterati, pervasivi, onnipresenti, in televisione, alla radio, sulle strade, ovunque. La forma merce è la chiave dell’intera società. Tracima nelle notizie il cui ritmo incalzante è fatto per confondere e inibire la riflessione, nei messaggi che ci raggiungono anche in maniera inconscia. Negli anni Cinquanta Vance Packard svelò l’utilizzo, nella comunicazione, di messaggi subliminali di cui il pubblico non si avvede ma che riescono ad orientare scelte, idee, comportamenti. La parola latina propaganda  (“ciò che deve essere diffuso”) venne utilizzata nel senso oggi corrente da Edward Bernays,  padre della comunicazione pubblicitaria. Il nostro tempo è la vittoria sua, di Joseph Goebbels, artefice della propaganda del Terzo Reich e di Andrej Zdanov, regista della politica culturale sovietica, teorico della disinformacjia, la disinformazione istituzionalizzata. L’Occidente contemporaneo, grazie alla tecnologia, alla psicologia e alle neuroscienze, supera i maestri. In nome della democrazia e del progresso, suprema, raffinatissima vittoria.
“Se dici una bugia abbastanza grande e continui a ripeterla, le persone finiranno per crederci. La menzogna può essere mantenuta solo finché lo Stato può proteggere il popolo dalle conseguenze politiche, economiche e militari della menzogna. Pertanto, è di vitale importanza che lo Stato utilizzi tutti i suoi poteri per reprimere il dissenso, perché la verità è il nemico mortale della menzogna e, per estensione, la verità è il più grande nemico dello Stato.”La frase è attribuita a Goebbels. Insomma, se devi mentire sparala grossa, poiché nel potere c’è una forza di persuasione capace di sfruttare la credulità popolare.
“Nella primitiva semplicità del loro animo cadono più facilmente vittime della grande menzogna che della piccola menzogna, poiché essi stessi spesso dicono piccole bugie su piccole cose, ma si vergognerebbero di ricorrere a falsità su larga scala. Non verrebbe loro mai in mente di inventare colossali falsità, e non crederebbero che altri possano avere l’audacia di distorcere la verità in modo così infame.” Nella citazione vi sono due affermazioni diventate rilevanti anche nel presente occidentale. La prima è che lo Stato deve usare tutti i suoi poteri per reprimere il dissenso; la seconda è che la verità è il più grande nemico dello Stato. Come scrisse George Orwell, ciò che il potere maggiormente teme è la libertà di dire che due più due fa quattro. Oggi, certa di essere fortissima, l’oligarchia arriva a pronunciare bugie evidenti. Un esempio è la messa al bando di X in Brasile.  L’argomento del giudice è che la rete sociale di Musk diffonde informazioni false che mettono in pericolo il normale svolgimento delle elezioni municipali di ottobre. Per sostenere questa tesi, ha stravolto quanto accaduto nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016 e nella Brexit, che sarebbero state manipolate dalla Rete. In realtà non esiste alcuna prova che le reti sociali abbiano sovvertito il voto. L’argomento è squisitamente politico: disinforma chi non si conforma, ovvero è detto propaganda – sinonimo di falsità, un argomento che stranamente non viene mai sollevato contro la pubblicità, scienza della menzogna – ciò che non coincide con gli interessi di chi detiene il potere.
L’argomento brasiliano contro X è falso in radice. Che dire del progetto britannico di una legge che permette di censurare i contenuti “dannosi”? I limiti della libertà di espressione non saranno più stabiliti oggettivamente dalla legge ma definiti, valutati, giudicati e puniti dal potere esecutivo e da quello giudiziario. L’Unione Europea si propone la stessa cosa con il Digital Services Act (DSA) che obbliga le piattaforme a rimuovere rapidamente i contenuti “illegali”, l’incitamento all’odio e la cosiddetta disinformazione. Come nel Regno Unito, la valutazione e la determinazione di quali contenuti debbano essere censurati non dipenderanno da leggi chiare e istituzioni indipendenti, ma dalla Commissione Europea autrice della norma. Giudice e parte in causa senza la mediazione di alcun soggetto neutrale. In Spagna lavorano a una norma che persegua le “false informazioni” diffuse da quelli che il governo definisce “pseudo media”. Il governo afferma che la grande sfida è la “rigenerazione democratica” e ha annunciato un’intensa agenda affinché “nessuno possa manipolare” ciò che pensano i cittadini. Ossia, istituisce il Ministero della Verità.
Basandosi su una menzogna ripetuta all’unisono, cioè che la libertà di espressione perverte la democrazia, i governi democratici manifestano un irrefrenabile impulso totalitario. Politici che pronunciano le parola democrazia e libertà a ogni stormir di fronda, Kier Starmer, Lula da Silva, Pedro Sánchez, Thierry Breton, Ursula von der Leyen, Kamala Harris, stanno convincendo il pubblico occidentale che lo Stato deve usare tutti i suoi poteri per reprimere il dissenso. L’OSS (acronimo di Office of Strategic Services, il padre della CIA) riassunse così l’utilizzo della menzogna da parte nazista, tacendo la propaganda di Lippman e di Bernays. “Le sue regole principali erano: non ammettere mai una carenza o un errore; non ammettere che possa esserci qualcosa di buono nel tuo nemico; non lasciare mai spazio alle alternative; non accettare mai la colpa; concentrarsi su un nemico per volta e incolparlo di tutto ciò che va storto. Le persone crederanno a una grande bugia piuttosto che a una piccola; e se lo ripeti con sufficiente frequenza, prima o poi la gente ci crederà”. Facciamo un semplice test: confrontiamo le condizioni descritte con gli atti dei nostri  molto democratici governanti. Goebbels sogghigna dall’altro mondo.