Donald Trump e la storia da scrivere
di Stefano De Rosa - 23/01/2025
Fonte: Italicum
Lunedì 20 gennaio 2025 Donald Trump si è insediato alla Casa Bianca quale 47° Presidente degli USA al termine del lungo iter elettorale che lo scorso 5 novembre lo ha visto prevalere nelle urne sulla candidata democratica. I contenuti e i toni dello speech presidenziale non hanno tradito le aspettative di fans ed oppositori, secondo un collaudato registro oratorio.
Due doverose premesse. La prima: il modello di sviluppo liberista e la logica di un’economia individual-capitalista distanti da coniugazioni sociali, quelle per intenderci stigmatizzate nel maggio del 2013 dal celebre report di JP Morgan – che imputava alle idee socialiste presenti nelle costituzioni dell’Europa del Sud la colpa di rappresentare un ostacolo alla crescita economica e alla stabilità politico-istituzionale –, hanno costituito duecentocinquant’anni fa la ragione fondativa e successivamente il faro orientativo e messianico degli Stati Uniti d’America.
Quel paradigma valoriale, ancor prima che produttivo, non lo sentiamo nostro, riconoscendoci, piuttosto, prossimi alla sfiducia keynesiana nell’anarchia dei mercati e specularmente a un ruolo attivo del governo dell’economia. Il laissez-faire promesso ai plutocrati fiancheggiatori di vecchia data e a quelli neofiti non convince. Il confine tra massima libertà e controllo invasivo è labile, angosciante, soprattutto in tema di intelligenza artificiale. Il suo superamento ineluttabile. Tra Rivoluzione e Terrore non è trascorso molto tempo.
La seconda premessa: i punti programmatici sciorinati da Trump nel suo discorso di insediamento ricalcano – onore al merito della coerenza – le promesse avanzate e poste alla base del vittorioso consenso ottenuto in campagna elettorale. Per il loro elenco dettagliato rinviamo alle registrazioni della diretta televisiva ed ai puntuali resoconti di commentatori ed esegeti.
Tra i tanti enunciati, due sono gli elementi che meglio di altri – per le loro dirette implicazioni da questa parte dell’Atlantico – abbiamo colto e che ci hanno suggerito questa riflessione: il cambio di rotta sulle politiche green e la svolta contro la deriva gender e woke. Precisiamo, per chiarezza, che entrambe le scelte seguite negli ultimi lustri sulle due sponde dell’Oceano poggiano giuridicamente su diritti fondamentali tutelati. In Italia, ad esempio, sono costituzionalmente riconducibili rispettivamente all’art. 32 (diritto alla salute) e ad una lettura integrata degli artt. 2, 3 e 13 (diritto alla non discriminazione e all’autodeterminazione).
Il dato da rilevare, tuttavia, è che nel corso del tempo la difesa di questi diritti ha finito per connotare battaglie politiche di minoranze estremiste (da quella ambientalista a quella sessista) impropriamente condotte sul crinale destra-sinistra ed appaltate irresponsabilmente alle rispettive tifoserie. Con l’esito, nondimeno, di sovvertirne la coniugazione democratica.
Se la transizione energetica non può essere disgiunta da quella digitale (produzione, gestione, archiviazione e sicurezza dei dati, oltre a rappresentare il cuore della nuova ricchezza capitalista, hanno come ricaduta un immenso consumo di energia), aver imposto in Europa con approccio dirigista il passaggio all’auto elettrica entro il 2035 denota un oltranzismo ideologico aggravato dalla vigenza di una crisi energetica di diretta derivazione russo-ucraina. Le devastanti conseguenze sulla manifattura europea (automotive ed indotto in primis) dimostrano la scarsa attenzione a quelle sensibilità socio-laburiste ormai espunte dall’agenda politica.
Quanto alle minoranze sessuali, è indubbio che dalla California all’Europa orientale esse abbiano beneficiato di appoggi politici, economici e culturali conformati a quella logica del politically correct che si pone all’avanguardia del Bene e del Buono e che intende lo sviluppo delle vicende umane indirizzate unidirezionalmente sul piano inclinato della Storia.
L’abbattimento e l’imbrattamento di statue, l’iconoclastia di simboli nazionali, religiosi, letterali ed artistici sono solo la punta di un iceberg di una malattia degenerativa spacciata dalla malafede ideologica come cura dei mali del mondo. Non è così. Parimenti ingiustificato è confondere desideri e pruriti con i diritti fondamentali dell’Uomo. Spacciare la lotta alle discriminazioni di genere con l’invocazione di uno stato etico, repressivo che educa, sorveglia e punisce la maggioranza che osa dissentire è maoismo differito nel tempo e nello spazio, intolleranza pedagogica in armonia con lo spirito di un tempo scaduto.
Merito di Trump – questo lo riconosciamo – non è, dunque, quello di voler perseguire politiche fortemente connotate. Di quello si incaricherà la cronaca del futuro prossimo a confermarlo o disattenderlo. Merito, semmai, è quello di contrapporsi alla ineluttabilità degli eventi, di non considerare acquisiti temi, logiche e scenari occupati e monopolizzati dai sacerdoti del Bene, non elimina, però, la preoccupazione per un modello di sviluppo lontano da responsabilità sociali. La politica continui a scrivere la Storia, non arrendersi a quella futura già scritta.