Dopo la Siria, la Russia può minacciare l’Italia
di Alessandro Orsini - 27/12/2024
Fonte: Il Fatto Quotidiano
Caduto Bashar al Assad, la grande stampa italiana ha esultato per la sconfitta di Putin. L’esultanza è durata poco. Putin sta trasferendo davanti all’Italia le armi che aveva in Siria. Timoroso di perdere il porto siriano di Tartus, Putin punta alla Libia per aprirsi nuovi accessi al Mediterraneo. Inizialmente, avevo scritto che Assad sarebbe “caduto” su Zelensky, nel senso che la caduta del presidente siriano avrebbe consentito a Putin di investire più risorse in Ucraina. Il rischio è che Assad cada su Meloni. Crosetto sembra cogliere il problema quando dice che: “Mosca sta trasferendo risorse dalla base siriana di Tartus alla Libia. Non è un bene. Navi e sommergibili russi nel Mediterraneo preoccupano sempre, a maggior ragione se – invece che a mille chilometri – sono a due passi da noi” (Repubblica 22 dicembre).
In Libia, Italia e Russia sono su fronti opposti giacché lo “schema” libico è rimasto immutato negli anni. Le due regioni principali sono armate l’una contro l’altra. Da una parte, la Cirenaica, sotto l’influenza di Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Russia; dall’altra, la Tripolitania, sotto l’influenza della Turchia e, in misura molto minore, dell’Italia. Se la caduta di Assad sospinge Putin in Cirenaica, i problemi per l’Italia sono numerosi.
Iniziamo da Eni che, in collaborazione con il gigante inglese British Petroleum, aveva appena ripreso le trivellazioni esplorative in Libia nel bacino di Ghadames (Area B), un’enorme riserva sotterranea ricca di gas e petrolio condivisa da Libia, Tunisia e Algeria, come da annuncio della compagnia petrolifera nazionale libica (NOC), il 22 ottobre scorso. Martina Opizzi, capo Eni per il Nord Africa e il Levante, si è espressa così in un dibattito sul settore energetico libico il 23 settembre 2024 a Roma: “Non abbiamo mai smesso di guardare alla Libia come a una regione cruciale per la produzione di petrolio e gas”, aggiungendo che Eni ha stimato che ci sono ancora risorse da scoprire. Domanda: quant’è vantaggiosa per Eni una Russia iper-aggressiva in Libia?
Insomma, i festeggiamenti italiani per la caduta di Assad sono già finiti. Tanto più che gli uomini fedeli ad Assad hanno ucciso ieri 14 uomini del nuovo signore di Damasco Ahmad al-Sharaa, o al-Jolani, ferendone altri 10 in un’imboscata vicino a Tartus, dove si trova la roccaforte degli sciiti alawiti del presidente deposto. La guerra civile, invece di spegnersi, rischia di capovolgersi con i governanti di ieri che diventano i ribelli di oggi e l’albero di Natale appena bruciato ad Hama in un impeto anti-cristiano.
Meloni aveva dichiarato che la sconfitta della Russia era “nell’interesse nazionale dell’Italia”. Mario Draghi aveva sfoggiato la stessa radicalità, il 6 giugno 2022 al Massachusetts Institute of Technology, dove spiegò che la sconfitta della Russia per mano degli ucraini era l’unica strada percorribile: “Non c’è alternativa per gli Stati Uniti, l’Europa e i loro alleati se non garantire che l’Ucraina vinca questa guerra”. La ragione per cui nessuna guerra è nell’interesse nazionale dell’Italia è semplice: l’Italia non è attrezzata per combattere le guerre. Quando le guerre scoppiano, i governi italiani dovrebbero operare per spegnerle: l’opposto di ciò che Meloni e Draghi hanno fatto in Ucraina, come dimostra il nuovo decreto che prolunga l’invio di armi per tutto il 2025. Meloni e Draghi hanno sbagliato due volte. La prima volta quando hanno pensato di sconfiggere i russi con gli ucraini: è accaduto il contrario. La seconda volta quando hanno pensato di confinare lo scontro in Ucraina: Putin sconfina in Libia. Come dilettante allo sbaraglio, la classe dirigente italiana ha pensato che fosse possibile rinchiudere i russi in Donbass giocando come il gatto con il topo. Ed ecco che l’Italia si trova a sperare che Putin mantenga la sua base a Tartus affinché non trovi troppo conveniente spostare le armi in Libia in un contesto mai pacificato. Il rischio di una nuova guerra civile tra Cirenaica e Tripolitania resta vivo. Negli ultimi mesi, questo rischio si era impennato – come abbiamo riportato su queste pagine il 14 settembre scorso – con lo scontro per il controllo della Banca centrale libica. Il suo governatore, Sadiq al-Kabir, scappò dichiarando al Financial Times di essersi rifugiato in Turchia per paura di essere assassinato (30 agosto). La produzione di petrolio cadde dell’81%. Il generale Haftar (Cirenaica) avviò manovre militari nell’oasi strategica di Gadames per attaccare Tripoli alle spalle mentre la Turchia inviava armi in Tripolitania violando la missione Irini per l’embargo di armi stabilito dalla risoluzione 2292/2016 del Consiglio di sicurezza per la sesta volta dal 2022. È accaduto quattro mesi fa. Le braci sono ardenti.