Due cuori e una capanna. Una tentazione chiamata patrimoniale
di Umberto Bianchi - 04/12/2020
Fonte: Umberto Bianchi
L’altra sera, nel vagabondare tra i vari canali tivvù, ho appuntato la mia attenzione su Rete 4, dove in uno dei soliti “talk show” di prima serata,si stava, guarda un po’, parlando di quella proposta di legge “patrimoniale”, a firma Orfini e Fratoianni e che, tanta fuffa ha ingenerato. Ad introdurre il dibattito, l’immagine del buon Cacciari, tutto intento a declamare a gran voce la sua posizione da novello Robin Hood. “Chi ha di più, deve pagare di più….” e poi, di fronte ai vari tentennamenti e “distinguo” degli altri presenti, l’intervento a tutto sprint di quello che, più che un altro novello Robin Hood, potrebbe esser definito un vero e proprio ammuffito e logoro pezzo da museo, dimenticato in qualche oscuro recesso della storia e tirato fuori per l’occasione e rispondente al nome di Mario Capanna. Il Nostro, con tono tra l’enfatico ed il bonario, dopo aver ascoltato le motivazioni degli altri presenti, iniziava a snocciolare i dati delle ricchezze pro capite dei nostrani Paperoni, giungendo così alla provvida conclusione che, a costoro, qualche spicciolo in meno, poco sarebbe costato. “Sei ricco ed hai da pagà”. Certo uno Stato con la “s” maiuscola, dovrebbe fondarsi sul principio dell’equità fiscale, tassare in modo proporzionale ed armonico e magari, far accompagnare il tutto da una bel programma economico quinquennale…Ho come l’impressione che, i nostri novelli Robin Hood, chiunque essi siano, si siano dimenticati in quale razza di paese viviamo ed in che genere di contesto ci si trovi ad agire. Ora, non vediamo come certe aspirazioni, possano trovare spazio in un paese come il nostro, animato da una cronica mancanza di liquidità, oltre che da un debito pubblico cresciuto a dismisura e che per questo, programma tagli alle pensioni e non riesce nemmeno a risarcire in modo adeguato i cittadini per i danni economici provocati dalla “pandemia” o che, a distanza di anni, non è riuscito a ricostruire le regioni del centro Italia danneggiate dai vari e recenti eventi sismici…Diciamo che in un paese come il nostro, l’imprenditoria nazionale costituisce, volente o nolente, l’unica ancora di salvezza per milioni di posti di lavoro e uno degli elementi cardine del suo ciclo economico, in grado di far beneficiare dei propri introiti, tutta una serie di settori legati alle varie attività di riferimento. Tutto questo, però, non deve significare liberismo, ovverosia la succube accettazione del primato dell’economia e dei gruppi di pressione, che ne sono l’espressione primaria, sulla politica, intesa nel sua più nobile ed aristotelica accezione, quale scienza della “polis”/comunità, in grado di armonizzare i vari interessi che al suo interno convivono. L’intervento pubblico, dalle nazionalizzazioni, all’idea di una proprietà sociale
delle imprese, sino alla costituzione di Enti, sia pur con la semplice funzione di controllo e coordinamento, dovrebbero costituire uno dei momenti-cardine della vita economica di un paese, in grado di correggere tutti quei pericolosi squilibri che, via via, possono presentarsi e sui quali, uno stato con la “s” maiuscola,avrebbe il dovere di intervenire, al fine di tutelare gli interessi ed il benessere dei propri cittadini. Detto questo, in una situazione di Globalizzazione, quale quella in cui noi ora ci troviamo, la bella trovata di una “patrimoniale”, va proprio nella direzione opposta a quella a cui, i nostri novelli e poco avveduti Robin Hood, dicono di voler andare. L’apposizione di ulteriori tasse e gabelle, su tutti i patrimoni superiori dai 500.000 euro in su, nel massacrare ulteriormente il ceto medio, altro non farebbe che far fuggire dallo scenario economico, tutti quegli imprenditori che, con la loro (sia pur traballante) presenza, hanno sinora garantito posti di lavoro, lasciando invece a fondi sovrani, multinazionali ed altri “competitors “ stranieri, la possibilità di fare incetta a basso costo, di queste imprese. Con una radicale differenza, rispetto alle precedenti gestioni “nazionali”, però. Contratti-capestro, per rapporti di lavoro all’insegna della più totale aleatorietà, delocalizzazioni ed altre simili amenità, come nel caso della vicenda dell’Ilva di Taranto e dell’arrogante comportamento dell’anglo indiana Arcelor - Mittal ed altre storie del genere, in questo caso, diverrebbero la norma, in un mercato del lavoro già massacrato dal succedersi di crisi a ripetizione. Si chiama “eterogenesi dei fini”, quella connaturata alle istanze sbraitate in tivvù da Cacciari e da Capanna, nei loro panni di improbabili Robin Hood. Si chiama invece, conclamata malafede, quella degli Orfini e dei Fratoianni e di tutta una sinistra “di palazzo”, legata, ora più che mai, mani e piedi agli interessi del neoliberismo globalista. Costoro, perduto ogni contatto con le reali istanze della gente, pur di sopravvivere, si sono ridotti a far da sponda ad un governo che oramai vive solo in funzione delle privazioni e delle limitazioni alle libertà dei cittadini, giustificate dall’emergenza sanitaria.