E all’improvviso fu il linguaggio. Noam Chomsky e l’evoluzionismo
di Arnaldo Benin - 30/10/2016
Fonte: ilsole24ore
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Per Noam Chomsky il linguaggio umano è un evento senza precedenti e analogie. Perché solo noi? La risposta di Chomsky è naturalisticamente fondata. Le scienze naturali del linguaggio, nonostante le critiche, in particolare a questo libro scritto con l’informatico Robert Berwick, sono ancora alle prese con le idee geniali di Chomsky. Nel 1959 egli ripudiò (Language (35, 26-58,1959) la teoria, molto condivisa, del filosofo empirista B. F. Skinner, secondo la quale comunicazione animale e linguaggio sarebbero aspetti del comportamento imposto dall’ambiente. Gesti, movimenti e grida degli animali sarebbero antecedenti del linguaggio. Il contributo di chi parla all’acquisizione della lingua sarebbe insignificante, tutto dipendendo da fattori ambientali.
Chomsky obiettò che il passaggio dei meccanismi cerebrali della comunicazione animale all’uomo avrebbe dovuto lasciare una traiettoria evolutiva di cui non c’è traccia. Non c’è animale, nemmeno lo scimpanzé col quale condividiamo il 97% del genoma, che metta insieme due parole. Nessuna lingua, neanche quella di popolazioni isolate, ha tratti in comune con la comunicazione animale. Le proprietà essenziali della facoltà umana, secondo Chomsky, sarebbero emerse quasi all’improvviso (rispetto ai consueti tempi evolutivi) grazie, «a un ricablaggio probabilmente leggero» del cervello, in concomitanza, forse, con un discreto aumento del suo volume, circa 80mila anni fa, in una popolazione dell’Africa orientale.
Negli scimpanzé le aree corrispondenti al linguaggio sono più strutturate di quelle delle altre scimmie, ma molto meno che nell’uomo. Chomsky porta ad esempio il grande giro arcuato fra le aree della produzione e della comprensione del linguaggio, negli scimpanzé appena accennato. Negli scimpanzé le aree avrebbero iniziato a svilupparsi, per rimanere poi allo stato di 2 milioni d’anni fa. Perché? La spiegazione più verosimile è che il linguaggio umano non è sorto come mezzo della comunicazione.
Al suo sorgere, e ancora oggi, il linguaggio – per Chomsky e altri linguisti e biologi, fra cui Francois Jacob – era ed è principalmente lo strumento dell’autocoscienza. Col linguaggio interiore nacquero la mente e il pensiero, più tardi la comunicazione. Pensiero e autocoscienza sono eventi dei lobi cerebrali prefrontali, che presero ad evolvere circa 2 milioni e 200mila anni fa, nella linea evolutiva dell’Homo. Non bastano le aree motorie e sensorie per parlare, bisogna avere qualcosa da dire. Quando i meccanismi nervosi del pensiero interiore furono connessi al sistema sensomotorio, nacque il linguaggio parlato, più tardi quello scritto. Ventimila anni dopo quella popolazione avrebbe preso a emigrare, portando nel cervello e diffondendo la struttura cerebrale del linguaggio.
Per Chomsky essa è la base della grammatica universale, esternalizzazione del parenchima cerebrale delle aree del linguaggio e matrice innata di tutte le lingue, anche di quella gestuale. Essa consente a chi sa bene una lingua di capire senza difficoltà enunciati mai sentiti prima e di crearne infiniti nuovi, come avviene nei bambini a partire dai 5-6 anni. La spiegazione razionalista di Chomsky della creatività del pensiero e del linguaggio è la più verosimile. Sordomuti hanno sviluppato una comunicazione gestuale in cui la categoria grammaticale del soggetto è all’inizio di ogni frase (PNAS 27,19249-19253,2005).
Grazie all’universalità dei meccanismi nervosi della grammatica i bambini imparano senza difficoltà la lingua madre, e anche più di una, e il messaggio di ogni lingua è traducibile in qualunque altra. La facilità d’apprendimento delle lingue in cui si cresce è un’eredità biologica specificatamente umana. Negli ultimi 50mila anni non sembra esser cambiato nulla di biologico: le aree frontali del cervello hanno prodotto un’evoluzione culturale che, dice Tattersall, dal linguaggio interiore dopo pochi millenni ha portato l’uomo sulla luna, mentre fino ad allora l’evoluzione culturale era stata lentissima. Sull’origine del linguaggio le opinioni divergono fra neuroscienziati, di regola consenzienti con la grammatica universale, e antropologi: molti pensano che esso sia talmente connesso alla condizione umana da dover essersi sviluppato in un tempo lunghissimo, simultaneamente forse all’evoluzione dei lobi prefrontali.
Ciò lascia senza replica l’obiezione di Chomsky, ribadita e accentuata nel libro, che un’evoluzione lenta e graduale deve lasciare tracce di stadi intermedi. In un mare di critiche, anche molto aspre, sembra naufragare la nuova teoria con la quale Chomsky e Berwick, avventurandosi nel terreno infido della spiegazione degli eventi della coscienza, spiegano come dalla materia del cervello della grammatica universale sia sorto, quasi improvvisamente, il linguaggio. Esso sarebbe comparso in seguito alla fusione (“merge”) di elementi sintattici in un’espressione più ampia. La capacità di “fondere” due (ad esempio libro e leggere in leggere il libro), poi migliaia di parole dei meccanismi della grammatica universale sarebbe la levatrice di tutte le lingue.
Essa si sarebbe manifestata inizialmente in un solo membro, che Chomsky chiama Prometeo, della popolazione africana che per prima acquisì il linguaggio. La critica più demolitiva della teoria senza dati è riportata nell’Economist (26 marzo 2016): la biografia di Chomsky ha in comune con Einstein che entrambi i geni scrissero le opere fondamentali in gioventù.
Robert C. Berwick, Noam Chomsky, Perché solo noi. Linguaggio
ed evoluzione , Bollati Boringhieri, Torino, pagg. 188, € 22
Ian Tattersall, At the Birth of Language, New York Review of Books, August 18, 2016