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È possibile scippare un continente?

di Francesco Lamendola - 24/08/2017

È possibile scippare un continente?

Fonte: Accademia nuova Italia

SCIPPARE: il vocabolario dà la seguente definizione: derubare qualcuno per la strada, passandogli accanto di corsa e strappandogli con violenza la borsa o un altro oggetto che porta addosso, come la collana, l’orologio, eccetera. Ora, la domanda che ci stiamo ponendo, e che si stanno ponendo, probabilmente, alcuni milioni di persone, forse anche alcune decine o centinaia di milioni di persone, è la seguente: è possibile scippare ai suoi legittimi abitanti un intero continente? Il continente, qualora vi fosse bisogno di precisarlo, è il nostro, cioè l’Europa; le vittime dello scippo, i suoi abitanti, cioè gli europei, di razza bianca e di religione, o quantomeno di tradizione, cristiana; gli scippatori, i milioni e milioni di africani, asiatici e altri stranieri, i quali, al ritmo di alcune migliaia al giorno, da alcuni decenni si stanno riversando, in una maniera o nell’altra, legalmente o illegalmente, pacificamente o con un certo grado di violenza, ma più spesso sfruttando la capacità d’impietosire e di presentarsi come “disperati” in fuga da ogni sorta di calamità, nel suo territorio; i mandanti di tutta l’operazione, quei signori dell’alta finanza internazionale, come i Rockefeller, o i Rotschild, o George Soros, aventi quale obiettivo il meticciamento del mondo intero e, nel caso specifico dell’Europa, la sostituzione della sua popolazione originaria, ormai invecchiata e decadente, con una popolazione nuova, tutta extra-europea e tutta non cristiana, per lo più islamica e anticristiana (benché questo dettaglio i capi della Chiesa cattolica non l’abbiano capito e s’illudano di poter assimilare e magari convertire queste masse di stranieri), che saranno schiavi-consumatori più utili ed efficienti; i complici che la rendono possibile, anzi, che la stanno in ogni modo agevolando, sono i nostri uomini politici, i nostri capi di governo e, ripetiamo, i vertici della Chiesa cattolica, nonché un buon numero di preti di strada e di fedeli laici, ovviamente progressisti e “umanitari”. Oltre a loro, i ragazzotti e le ragazzotte delle sedicenti Organizzazioni umanitarie non governative, così preoccupati di “salvare vite” che, per evitare anche solo la possibilità che i barconi dei sedicenti profughi possano incappare in una burrasca, li vanno a prendere fin sotto le coste della Libia, con il mare piatto come l’olio, come un servizio taxi bene organizzato, o, almeno, così hanno fatto per mesi e anni, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, riversando nei porti italiani ogni genere di persone, magari prendendole in consegna direttamente dagli scafisti, mediante segnalazioni concordate, e poi restituendo loro cortesemente i barconi, affinché li possano utilizzare per un secondo e un terzo viaggio: oh, ma guai a parlar male di loro; guai a mettere in dubbio la loro buona fede; guai a  dire che, se hanno tanto voglia di fare i generosi sfruttando la generosità e l’accoglienza altrui, e rifiutando, però, le regole stabilite dal governo che si prende in carico tutta questa gente, possono anche volgere la prua verso i loro rispettivi Paesi di provenienza, la Spagna, la Francia, la Germania, l’Olanda, e così via. Gli avversari di tutto questo, o, comunque, coloro che biecamente non vi si prestano, sono i populisti, i razzisti, gli egoisti, i cattivi e tutti quei falsi cristiani che non meritano di essere chiamati seguaci del Vangelo, perché non amano i loro fratelli bisognosi e sono talmente meschini da pensare che i poveri di casa propria, peraltro sempre più numerosi, dovrebbero avere quanto meno la precedenza rispetto a degli stranieri che non si sa chi siano, né da dove provengano, e nemmeno, assai spesso, che nome e quale cittadinanza abbiano, vista la loro propensione a fornire delle generalità false o, addirittura, a rifiutarsi di dichiararle, arrivando fino al punto di presentarsi, sui barconi, con i polpastrelli delle dita abrasi, per evitare di essere identificati mediante le impronte digitali: segno della loro più che probabile provenienza da qualche galera o da qualche violento misfatto rimasto impunito, ma comunque già segnalato alle autorità giudiziarie internazionali.

Scippare un continente! Ma come è possibile? Si tratta forse di fantascienza, oppure si deve intendere questa espressione come una battuta ad effetto, una semplice boutade? Via, lo sappiamo tutti che una cosa del genere non può avvenire: un continente non è mica una borsetta che si porta a tracolla, o una medaglietta che si porta intorno al collo! È semplicemente impossibile: è una cosa che non può accadere. Però, un momento: oppure lo può? Prima di rispondere, lasciamo scorrere lo sguardo sulle nostre città, sui nostri quartieri, lungo le vie e le piazze che abbiamo sempre conosciuto; poi fermiamoci a guardare le insegne dei negozi, le vetrine, entriamo nei bar, nelle trattorie, nei ristoranti, nei supermercati, nei bazar; indi saliamo a bordo degli autobus urbani, delle corriere locali, dei vagoni della metropolitana o delle ferrovie dello Stato, dei vaporetti: e osserviamo la gente che va a lavorare, la folla che si muove dalle periferie verso il centro, dalle zone rurali verso quelle urbane, e poi di nuovo, alla sera, la stessa folla che ritorna verso casa, che defluisce dalle fabbriche e dagli altri luoghi di lavoro; sostiamo davanti ai centri commerciali, nei pressi delle discoteche, attorno agli impianti sportivi, nei mercati rionali e settimanali, fra le bancarelle del pesce e quelle dei vestiti. Ebbene: saremo costretti a concludere, se abbiamo conservato sana la capacità di vedere, di capire e di ragionare, è che questi non sono più i nostri quartieri, non sono più le nostre città, non sono più i nostri negozi, le nostre corriere, le nostre stazioni ferroviarie, i nostri ristoranti; non sono nemmeno le nostre scuole, le nostre palestre, le nostre squadre dei calcio, o di pallavolo, o di pallacanestro; e questi non sono più i nostri campioni di atletica, i nostri negozianti, i nostri ristoratori, le nostre miss di questo o quel concorso di bellezza. In breve, ci accorgeremo – saremo costretti ad accorgerci - che niente è più nostro, e che noi, noi italiani, noi bianchi e noi cristiani, se per caso siamo battezzati e andiamo in chiesa, non siamo più che una variabile secondaria, e tutto sommato sacrificabile, nel quadro ormai estremamente variegato della popolazione che occupa lo spazio fisico della Repubblica italiana. Scopriamo che non è più nemmeno necessario essere italiani per avere la cittadinanza  italiana, e che, con la prossima approvazione della legge sullo ius soli, un bambino straniero non dovrà più neanche fare domanda – i suoi genitori non dovranno neanche fare domanda – affinché abbia la cittadinanza italiana: gli verrà data automaticamente, per il solo fatto di essere nato entro i confini del nostro Paese. Confini che, di fatto, non esistono più, perché, di fatto, entra ed esce chi vuole, quando vuole e in qualsiasi quantità; ma dei quali ci si ricorda allorché si tratta di premiare, con la cittadinanza appunto, delle persone che non c’entrano niente, assolutamente niente, con la nostra civiltà, con la nostra cultura, con la nostra storia, con la nostra arte, con la nostra lingua, con la nostra religione, con le nostre tradizioni, con la nostra mentalità, con le nostre leggi. Persone che non c’entrano niente e che niente vogliono entrarci: per il semplice fatto che le nostre cose non interessano loro, anzi, sovente le disprezzano, mentre la sola ed unica cosa che gl’importa è di trovare una sistemazione, di avere una sicurezza economica, per quanto precaria (almeno all’inizio), insomma di avere il frigorifero pieno e qualche cosa da mandare a casa, in attesa di essere raggiunti dalle mogli (che metteranno incinte almeno quattro o cinque volte, al preciso scopo di soverchiare la nostra popolazione), dai figli, dai genitori, dai cugini e chissà da quanti altri parenti, amici e conoscenti. Tutto, da pare nostra, in nome dell’ospitalità, dell’accoglienza, della solidarietà e di altri nobili sentimenti, zuccherosi e a senso unico, perché nessuno si prende la briga di vedere se realmente si tratta di persone bisognose, cioè se realmente fuggono da situazioni insostenibili, o se, invece, vengono qui semplicemente perché si è sparsa la voce che l’Italia è accogliente, che l’Europa è generosa, che i cristiani sono abbastanza fessi da ospitare tutti, e da non capire che una tale generosità all’ingrosso viene accetta, sì, del resto come cosa pressoché dovuta, forse in riparazione dei crimini del colonialismo, e quindi senza neanche perder tempo a ringraziare, anzi, gettando in terra con disprezzo il patto della pastasciutta, se il menu dei centri di accoglienza non risulta soddisfacente; ma, nello stesso tempo, viene letta come una prova della loro debolezza, della loro paura, della loro volontà di arrendersi, di alzare bandiera bianca, di sottomettersi al primo che voglia prendersi il loro vecchio e stanco continente.

Tutto questo è accaduto in tempi molto brevi: meno di una generazione. In meno di una generazione, l’Italia degli italiani si è svegliata in un altro Paese, un Paese che è di chi ci vuol venire, una terra di facile conquista, dove la gente gira per la strada ostentando il massimo disprezzo per le nostre consuetudini e anche per le nostre leggi: donne velate e irriconoscibili, con il burqa che nasconde interamente i viso e il corpo, se ne vanno tranquillamente in giro per la strada, spingendo la carrozzina con l’ultimo nato, e portandosi dietro gli altri due, tre o quattro bambini più grandicelli; e uomini che le seguono a distanza, con lo sguardo truce, di sfida, pronti ad attaccar lite con il primo che osi, non diciamo chiedere perché non rispettino la legge, che vieta, in teoria, persino di girare in strada con il casco da motociclista, ma anche solo di guardare con aria interrogativa. I nostri vigili, i nostri poliziotti, i nostri carabinieri, si guardano bene dal fermare queste persone che girano in maniera illegale, e domandar loro i documenti; proprio come i controllori dell’autobus o del treno si guardano bene dal domandare il biglietto ai viaggiatori stranieri. Oltre al fatto che rischiano di farsi staccare un braccio a colpi di machete, come è avvenuto e non una sola volta, la loro preoccupazione è quella di beccarsi anche un’accusa, aperta o velata, di razzismo e d’intolleranza; di vedersi sconfessati dai loro superiori, o dai politici di turno; e di assistere alla beffa del solito magistrato di sinistra che rimette in libertà le persone da loro arrestate, magari in flagranza di reato – spaccio di droga, prostituzione, furto o rapina – e di trovarsi davanti gli stessi personaggi, per la strada, pronti a rider loro in faccia, o a denunciarli a loro volta, per maltrattamenti immaginari. Analogamente, maestre e professori, nelle scuole, subiscono quotidiane umiliazioni davanti a gesti e parole di sfida dei figli di stranieri, i quali, sentendosi spalleggiati dai loro genitori, e anche, paradossalmente, dai loro stessi colleghi progressisti, o dagli stessi presidi, tutti presi dalla grande ubriacatura buonista e tutti accecati dalla loro ideologia internazionalista e immigrazionista, davanti al minimo contrasto che insorga fra un alunno straniero e un insegnante italiano, non perdono neanche tempo a far domande, a cercar di capire cosa sia successo, ma passano direttamente a fare le scuse al povero ragazzino e ai suoi familiari, e a sanzionare quell’insegnante così palesemente inadeguato, per il quale non di rado, oltre a infliggergli una ritenuta sullo stipendio e una nota di biasimo professionale, arrivano a domandare una visita psichiatrica, per appurare se costui, per caso, non sia diventato pazzo. E tutto questo mentre si fanno sparire dalle aule i crocifissi, si sopprime l’usanza del presepio, si rinuncia alle canzoni di Natale, per non parlare della santa Messa, in quelle scuole che avevano l’abitudine di osservare tutte queste tradizioni, o anche alcune solamente: non sia mai che gli arroganti italiani si permettano d’imporre ad altri i loro modi di pensare e di vivere; non sia mai che manchino di rispetto  e di tatto verso i musulmani, o i sikh, o gli indù, o i giudei, o ai buddisti, o magari, cosa più grave di tutti, verso gli atei inveterati e anticlericali. Siamo un Paese moderno e civile, cioè laico e liberale: facciamolo dunque vedere, censurando tutto ciò che ci appartiene, tutto ciò che fa parte della nostra identità, delle nostre radici, dei nostri cromosomi culturali (e anche biologici; ma specialmente questo, per carità, guai a dirlo, anche solo sottovoce!), e accogliendo invece a braccia aperte e con grandissimi sorrisi di benvenuto tutto ciò che è straniero, e che, per il solo fatto di provenire dall’Asia o specialmente dall’Africa, continenti infinitamente più civili del nostro, sarà certamente assai migliore, tanto che dovremmo solo ringraziare tutte queste brave persone che vengono finalmente a portarci un po’ di civiltà, a noi barbari, a  noi cattivi, figli dell’oscurantismo e dell’Inquisizione, dell’intolleranza e delle Crociate, dei campi di concentramento e delle camere a gas.

E ora proviamo a rispondere alla domanda che ci eravamo fatta, se sia possibile scippare un intero continente ai suoi legittimi abitanti; e proviamo a rispondere, se davvero ne abbiamo il coraggio, che no, non è possibile, che si tratta di una cosa assurda e inverosimile soltanto a pensarla. Ma sì che è possibile, invece; e non solo possibile, ma reale ed attuale; e non solo attuale, ma già in gran parte compiuta; non solo compiuta, ma ormai pressoché impossibile da modificare, da rimediare, da correggere. Chi fermerà il flusso incessante alle frontiere? Chi rimanderà indietro tutti quanti non hanno alcun titolo, alcun diritto di rimanere? Chi indurrà quelli già presenti a tornare nei rispettivi Paesi di provenienza, e sia pure sovvenzionandoli, cioè pagando migliaia di euro, purché facciano le valigie? Chi proteggerà i nostri pensionati che vivono nei quartieri degradati, i nostri ragazzi che escono la sera per un po’ di legittimo svago, i nostri bambini che frequentano le scuole ove fra poco saranno in minoranza? Chi aiuterà i nostri piccoli commercianti, i nostri artigiani, i nostri piccoli imprenditori a reggere la concorrenza implacabile di questi stranieri che tengono aperti i locali notte e giorno, ma che non investono un euro nella nostra economia? È così: ci hanno scippato l’Europa...