C’è una ragione poco finanziaria e tutta politica per la quale il ministro Pier Carlo Padoan – un signor esperto ma non proprio sintonizzato con il popolo (mitologico il suo imbarazzo alla domanda su quanto costa un litro di latte) – non sa che pesci pigliare sull’idra a tre teste che popola gli incubi del governo: Monte dei Paschi di Siena, Banca Popolare di Vicenza, Veneto Banca. Bisognose come l’aria di una ricapitalizzazione per non affondare (e non terremotare il sistema bancario italiano ed europeo), in ambienti italiani e tedeschi è da un mesetto che corre una voce inquietante: fra i tecnici Ue ci si sta convincendo che l’Italia, per riuscirci, debba chiedere aiuto al fondo Esm, «che si candida a diventare in futuro», scriveva oggi il Sole 24 Ore, «il Fondo monetario europeo e forse qualcosa di più». Solo tecnicismi? Neanche per sogno.
L’European Stability Mechanism (ESM) è un mega-fondo d’emergenza inaugurato l’8 ottobre 2012. Guidato, fatalità, da un tedesco (Klaus Regling), sede in Lussemburgo, serve a soccorrere gli Stati appartenenti all’area euro in difficoltà di bilancio. I suoi membri sono 19, con un capitale sottoscritto di 705 miliardi, una disponibilità immediata di 80 e una richiamabile di 624. La quota dei singoli Paese aderenti dipende dalla corrispondente quota di capitale nella Bce. L’Italia è al terzo posto, con 14 miliardi versati (17%), dopo la Germania (27%) e la Francia (20%). Il “meccanismo” è all’opera in Grecia e Spagna, ed è proprio su questi modelli, e per l’esattezza sul secondo, che oggi si fa strada l’ipotesi di imitarli per l’Italia. In sostanza si tratterebbe di un prestito (“programma”) da 20 miliardi, concesso a patto di rispettare quelle che in gergo si chiamano “condizionalità”. Secondo un osservatore che bada al sodo della materia, Luigi Zingales, è una soluzione da abbracciare senza tanti patemi d’animo: «Una volta fatto ricorso al fondo e ricapitalizzato le banche, la Spagna ha ripreso a crescere a più del 3% l’anno. Cosa aspetta l’Italia a farlo?» (Il Sole 24 Ore, 5 marzo).
Già, cosa aspetta? L’attesa è frutto di un terrore. Politico, come si diceva. Ovvero, come ha scritto papale papale un altro economista di scuola liberista, Francesco Giavazzi, «se questo dovesse accadere, se cioè chiedessimo di entrare in un “programma”, io penso che le probabilità di una vittoria del M5S alle prossime elezioni aumenterebbero significativamente, sull’onda del risentimento antieuropeo» (L’Economia del Corriere della Sera, 20 marzo). Alimenterebbe, cioè, la rabbia popolare per ulteriori strette, altre lacrime e sangue, nuovi tagli e tasse, che getterebbero benzina sul fuoco già alto dello scontento sociale permanente. Come sarebbe interpretato, infatti, un indebitamento fuori dai trattati europei, che ha per condizione il bail-in (spauracchio di tutti i governi, perchè si fanno pagare di tasca propria obbligazionisti e clienti medio-grandi)? Come un cappio al collo da schiavi: «E’ un superministero che può contare su 700 miliardi, versati da noi, che ha anche la possibilità di emettere nuove obbligazioni sui mercati internazionali. Cioè nuovo debito che andrà ripagato. Fine pena: mai! È la fine totale della sovranità dei popoli». Vento in poppa per le forze che rivendicano la sovranità, Movimento 5 Stelle in primis (ma anche Lega, Fratelli d’Italia, parte di Sinistra Italiana).
Tutto per colpa di Siena, Vicenza e Montebelluna. E di Roma (Bankitalia), Milano (Consob), Berlino (che oggi, vedi Schäuble, è durissima con noi, ma in passato ha salvato alla grande con soldi pubblici le sue banche). Anche di Francoforte (Bce) e di Bruxelles (Ue)? Nella lettura politica che qualcuno definirebbe “populista”, anche. Dal punto di vista strettamente bancario, invece, i tecnocrati europei un merito ce l’hanno: aver costretto noi italiani a metter mano al “familismo amorale” con cui sono state gestite, per crescita abnorme e incontrollata, certe nostre banche del “territorio” (riforma Renzi delle popolari: modi e tempi sbagliati, risultato disastroso). Il prezzo, però, è stato alto: per stare alle latitutini venete, 6% in meno di credito, 220 mila risparmiatori azzerati, 11 miliardi perduti, e l’eventualità di una liquidazione di BpVi e Vb (così Danielle Nouy, a capo della vigilanza europea) che darebbe il colpo finale alla crisi di fiducia che ha messo a terra la “locomotiva” d’Italia.