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Ecologia induista. L’interconnessione con il Tutt’Uno

di Gloria Germani - 06/03/2023

Ecologia induista. L’interconnessione con il Tutt’Uno

Fonte: Pressenza

Rifaccio una domanda già fatta: l'induismo ha sviluppato una visione ecologica od è la visione ecologica che è parte integrante dell'induismo? Si può parlare di induismo ecologista o di ecologia induista?  

 Credo che  il continente asiatico da millenni ha  pensato in termini  di  relazioni, di  interconnessioni,  cioè ha sviluppato  ciò che  noi – con una prospettiva  settoriale e “ scientifica” -  chiamiamo  eco-logia.  Quindi mi sembra  molto azzeccato  parlare di  “ecologia induista”  e guardare   a questa  cultura  millenaria  per avere delle  guide per il nostro difficile  tempo. Una piccola precisazione: il termine  Hinduism  è stato  inventato dagli Inglesi nell’Ottocento per nominare una tradizione culturale, ancora vivissima, che affondava  le sue radici  nell’antichità.  Nei suoi tratti essenziali, questa civiltà molto colta  era già sviluppata   nel 3 millennio a.C  o forse prima.

 L’induismo è un insieme di credenze vibranti, niente affatto dogmatico. Per descriverlo, preferisco  prendere a prestito   un brano di Tiziano Terzani – che secondo me  - descrive l’essenza dell’induismo, meglio di  centinaia di  manuali sull’argomento.

 «L’India, a meno di odiarla al primo impatto, induce questo senso di esaltazione: fa sentire ognuno parte del creato. In India non ci si sente mai soli, mai separati dal resto. E  qui sta il suo fascino. Alcuni millenni fa i suoi saggi, i rishi, ’coloro che vedono’ ebbero l’intuizione che la vita è una. Questa esperienza rinnovata di generazione in generazione, è il nocciolo del grande contributo dell’India all’incivilimento dell’uomo e allo sviluppo della sua coscienza. Ogni vita, la mia e quella di un albero, è parte di un tutto dalle mille forme che è la vita. In India questo pensiero non ha più bisogno di esser pensato. È nel comune sentire della gente. È nell’aria che si respira».[1]

Quando, per la prima volta, ho messo piede in India, ormai  30 anni fa, ho provato  esattamente questo. Non c’è stato bisogno di nessun libro, nessuna conferenza. La certezza della non dualità era per le strade, tra la gente, nell’inscindibilità della  bellezza sublime e della bruttezza, nell’inscindibilità della vita e della morte, nell’impermanenza di tutto; tutta la vita è una.

 

 

1)     Quali sono le differenze tra ecologia induista e buddhista?

Non ritengo che ci siano differenze  sostanziali tra  le due forme di ecologia:induista e buddista.  Dobbiamo ricordare che il messaggio de l Buddha si innesta intorno al 2600 a C. come una riforma dell’induismo ma ne conserva, com’è naturale, lo schema di pensiero, l’interpretazione  essenziale della Realtà.  Molti dei concetti rimangono i medesimi.[2] La concezione  del tempo non è lineare ( come per noi)  ma circolare, e presente, passato e futuro non hanno il valore che hanno per noi. Il progresso  non è lo scopo delle azioni umane, visto che tutto si ripete  e l’avanzare è considerato  insignificante,  come le folate del vento.  Per entrambi, la  realtà percepita  dai sensi non è presa per  vera, non è la Realtà Ultima, anzi, è maya: illusione, il seducente potere  che crea l’illusione della solidità  delle cose.  Per ambedue non esiste  una separazione  tra ciò che è psichico e ciò che è fisico, perché – come ci sta insegnando oggi la fisica – sono entrambi formati da energia vibrazionale. Ogni cosa sia esterna che  interna non  è permanente, non è una sostanza, ma un aggregato di energia che  si forma e si dissolve in continuazione, interagendo tra e con tutto il resto, e non permane mai. L’induismo  parla di questa  Realtà ultima  della vita come “pienezza” ( purnam) mentre il buddismo la nomina come  “vuoto” ( sunyata),  ma è una  questione  meramente terminologica perché  sia la pienezza che il vuoto    sfuggono all’attitudine logico-linguista,  non si fanno racchiudere dalle parole o dal ragionamento.  E di questo  tanto  induisti  che buddisti sono ben consci. Infatti  è  proprio per questo  che danno  tanta importanza  alla meditazione, allo yoga,  come una pratica  che permette di andare oltre la mente  e  sperimentare l’essenza della vita. Per  ritornare all’ecologia, essa è una conseguenza  evidente e semplicissima. Se capisci  che tutto  e’ Uno, oppure - in termini  buddisti -se capisci davvero l’origine interdipendente di tutte le cose,  non puoi che essere molto  rispettoso ed attento verso l’ecosistema, verso il cosmo intero. Esseri  senzienti, animali, vegetali, minerali  fanno parte  di un unicum che è la vita. Non ci sono differenze. 

 

 

2)     Cosa si intende, nell'induismo, per "logica cosmica" (Sanathana Dharma) ?

Sanathana Dharma è la maniera in cui  gli abitanti dell’India chiamano  la loro cultura, l’induismo. E’la legge,  l’ordine  eterno, la verità che permane. Dharma  è una parola non facilmente  traducibile. Viene dalla radice sanscrita  "dhri" che significa “ sostenere”, o “ ciò che è integrale a qualcosa”( il dharma del fuoco è il suo essere caldo). Quindi il Sanathana Dharma è ciò che conduce alla vera essenza  dell’universo e, allo stesso tempo, lo mantiene in esso. 

Stando così le cose, è chiaro che  per la cultura indù non c’è nessuna ansia di progresso. La filosofia, l’”amore della saggezza”  non è  qui quel susseguirsi di idee, una che nega l’altra, che ci insegnano a scuola e all’università ( su indicazioni di Hegel), una sorta di autostrada dove l’ultimo in ordine di tempo si mette sul podio del  Più Vero e del Più Bravo!

Di nuovo, devo  prendere a prestito le parole  del mio maestro Terzani:

”In India tutti sembrano saperlo. La filosofia qui non è una forma di ginnastica,non è il monopolio dei colti, non è riservata alle accademie, alle scuole. La filosofia in India è parte della vita, è il filo di Arianna per cui uscire dal labirinto dell’ignoranza. La filosofia  è la religione grazie alla quale gli indiani contano di raggiungere la salvezza che nel loro caso è conoscenza. Non la conoscenza “utile”, quella per manipolare, possedere, cambiare, dominare il mondo ( la scienza non è mai stata il loro punto forte); bensì, come dicono i testi sacri, “ quella conoscenza che una volta conosciuta, non lascia più niente da conoscere”: la conoscenza di sé”.[3]    

Queste  non sono parole  ad effetto,  ma  Terzani tocca con molta precisione  l’essenza  della filosofia della Non-dualità- Advaita, che è il cuore eterno, il Sanathana Dharma della cultura indiana, in contrapposizione al  pensiero  moderno occidentale, che è sempre  scienza dell’utile,  sapere utilitaristico. Torneremo  su  questo  dopo,  per ora   vorrei  sottolineare come   Gandhi  si  ritenesse un indù sanathani, cioè,  fosse completamente allineato  con  questa visione del mondo per permea l’India da millenni.  La sua  dottrina della nonviolenza   ( sia nei confronti dei nemici, sia nei confronti della natura) è incomprensibile senza questa visione filosofica.

Per capire  meglio  in che cosa consista, occorre richiamare la prima  e più importante distinzione fatta dagli indù: quella dei  quattro fini  della vita.[4] Il primo scopo è artha, che significa “cosa”, ma anche “l’interesse”, “il proposito” che sempre guida l’agire umano e, in modo più concreto: l’ottenimento della ricchezza e il possesso di beni materiali, la prosperità e il successo. Il suo ambito riguarda la sfera dell’economia, della politica, della diplomazia. Accanto a questo c’è il secondo scopo: kama: l’amore e il piacere, il bisogno affettivo e la sua soddisfazione, la realizzazione dell’unione tra due persone, la sessualità, il potere della generazione. Il terzo scopo è il dharma, che comprende tutti i doveri etici considerati dal punto di vista del bene comune e rappresenta un naturale freno ai primi due scopi. Dharma riguarda perciò le usanze, le norme di comportamento, le virtù, la giustizia, la misericordia, l’imparzialità. Per noi occidentali, i primi tre scopi esaudiscono tutto quello che viene sperimentato nel mondo. Ma la tradizione indiana individua  accanto al trivarga ( il gruppo dei tre), un quarto scopo, che si pone come rivoluzione  degli altri tre. È chiamato moksha: liberazione, libertà, ma anche distacco, realizzazione, riposo, felicità. Conoscendola, si diviene saccidananda, un insieme di essere, coscienza, beatitudine, in un stato di chiara presenza al di fuori del tempo. Tutta la civiltà indiana ha questo fulcro: raggiungere lo stato in cui si abbandona l’egoità, il mondo illusorio della materia e dei possessi, quando il nostro essere profondo si dilata fino a fondersi con l’essere cosmico. E’ importante sottolineare per il pubblico occidentale, che  la filosofia indiana non è un astrazione dal mondo, una spiritualità staccata nell’ empireo, tutt’altro. Solo dopo aver realizzato e portato a compimento  i  primi tre fini-  cioè dopo aver realizzato pienamente la proprio affettività, la propria progettualità, e rispettato i propri doveri relazionali verso la comunità e i beni comuni, allora, e solo allora, si può accedere al moksha, alla vera libertà, alla vera felicità. 

Per aiutare in questo compito arduo e progressivo,  il Sanathana Dharma,  prevede che la vita di ciascuno debba  essere scandita da quattro fasi o  Ashrama. Il primo stadio è Brahmācarya la fase del discepolo, colui che deve apprendere, attendere e servire il suo guru; il secondo è quello del Grihastha, il padre  o la madre di famiglia, che si impegna nel  trivarga e consegue la propria  realizzazione matrimoniale, sociale ed insieme etica.  Il terzo  è quello del ritiro nella foresta per meditare, Vanaprastha, in cui l’uomo e la donna, una volta che i figli sono sposati, abbandonano  tutte le ansie del mondo e si ritirano nella foresta per meditare. Infine c’è lo  stradio del rinunciante, Saṃnyāsa, della ricerca individuale della saggezza ultima, per squarciare il velo dell’ignoranza che ci avvolge. Il moksha  è per gli ultimi due stadi,  non per il primo e il secondo.[5]

 

 13) Da molti anni sei una seguace dell'Advaita Vedanta, la Via della Non-dualità, il culmine del pensiero induista che afferma che tutto è Uno. Come si inserisce la visione ecologica?

La via  della Non-dualità è la filosofia  principe dell’Induismo, a cui tutte  le altre visioni convergono, come hai precisamente detto.  E’ la filosofa  dell’Uno-  senza- un -secondo, per cui tutto, assolutamente tutto ( compreso il nostro  Ego, che ha solo una realtà effimera)  fa parte  di quell’unica  essenza  che viene chiamata Brahman: il sacro potere della vita.  Non c’è un fuori  e non c’è un dentro,  perché tutto è Uno. L’induismo  riconosce infatti oltre  tre milioni di divinità, tra cui  moltissime forme animali,  ma  non è affatto un politeismo ( cosa di cui è stato  spesso  accusato)  perché quel Brahman  è identico alla parte più profonda del   tuo essere. Tat twan Asi : “Tu sei quello” , ripetono le grandi sentenze delle Upanishad, ricommentate attraverso i millenni dai maestri del Vendanta  tra  cui  forse il principale è  Sankara, vissuto nel VIII secolo d.C.  La coscienza individuale  profonda ( atman, che è diversissimo dall’Ego)  è identica alla coscienza universale, il sacro potere che genera  continuamente il cosmo. Queste posizioni sono  bestemmie per la visione cristiana, tanto che molti mistici occidentali come Eckhart, Tulero  o Giordano Bruno sono  stati condannati e anche bruciati. Eppure, come accennavo prima , questa visione è completamente ecologica,  l’ambiente, gli animali, i pesci, i vegetali, i minerali, fanno parte del sacro potere e fanno parte di una sola totalità.

 

3)     Nei riti induisti vi è molta presenza di piante e animali (vacche e topi) e l'India, grazie all'induismo, è la culla del vegetarianesimo. Alberi, boschi, laghi, fiumi e montagne sono considerati sacri. Quale ruolo rivestono?

L’Occidente è  abituato  a pensare Dio in forma antropomorfa, un dio Creatore che crea un  mondo separato. Anzi,  ancora riecheggiano nel nostro subconscio le parole della Genesi: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra».

  In India invece  le rappresentazioni del divino, di Shiva, di Vishnu, sono sempre accompagnate dalla dalla paredra o  Shakti (l’energia o potenza femminile ), tanto  che un dio senza shakti è considerato un cadavere.  In più ha sempre accanto un veicolo animale: un toro, un cavallo, un topo e tantissime  altre forme. Anche  questo  caratteristica  iconografica  non fa che sottolineare  l’unità e l’interdipendenza di tutto ciò che vive, insieme alla sua  profonda bellezza e  magica fecondità. Non solo, secondo la tradizione induista,  l’essenza divina può discendere sulla terra in qualsiasi tempo  e in  molteplici forme. Gli  avatar, appunto,  non hanno solo  fattezze umane  come  Krishna, e anche  Buddha o Cristo, ma  persino forma di cavallo, di cinghiale,di tartaruga, di  pesce, etc. (son i famosi  dieci avatar di Vishnu). In questo contesto culturale, il vegetarianesimo    non può che discendere come un necessità  semplice e naturale.  Le leggi di Manu,  il testo di  etica più importante  che risale almeno al 3 secolo a.C dichiara:” Si diventa degni della salvezza quando non si uccide alcun essere vivente" [6]e  la tradizione  non condanna soltanto coloro che mangiano la carne, ma chi uccide l'animale, chi vi partecipa, chi compra la carne, chi la prepara e chi la serve. Infatti  viene violato il principio dell’ahimsa, della nonviolenza che,  come tutti i precetti indù, non riguarda solo le azioni, ma che i pensieri, le parole e le intenzioni.  Da tempi immemorabili, il vegetarianesimo in India è praticato da gran parte della popolazione, perché  uccidere  esseri senzienti i significa macchiarsi di impurità e condannarsi ad un karma negativo nel  continuo divenire e interagire del cosmo.

La filosofia Advaita per cui tutto è Uno, trova attuazione  concretamente persino nella relazione con montagne, fiumi ,laghi. Per fare  qualche esempio tra  più famosi, il fiume Gange è sacro, è la dea Ganga,  principio femminile, portatore di vita, Il monte Kailash è sacro, è l’emanazione di  Shiva, come  l’Arunachala nel sud dell’India. Il lago  Monasarovar   fu  creato nella mente del Signore Brahma ed è venerato come fonte di purezza e di saggezza. Questo approccio non è affatto  “primitivo”, ma piuttosto  fondamentale  per  mantenere una  vera  visione ecologica. Oggi  noi abbiamo materializzato  e sfruttato  tutto  e anche Serge Latouche  parla della necessità di Reincantare il mondo.[7]

8) Nell'induismo non vi è il concetto di male, i lati negativi dell'esistenza sono visti come prodotti dall'ignoranza (avidya). Se per l'Occidente la società industriale è  il frutto  dello sviluppo economico, di prosperità e della capacità tecnica umana, per l'ecologia induista la crisi ecologica è frutto d'ignoranza?

 Grazie per questa domanda cruciale, perché  tocca un tratto  peculiare del pensiero indù ( condiviso anche dal  buddismo) molto diverso  dalle idee occidentali.  Noi pensiamo che l’uomo sia indipendente ed  abbia la libertà di scegliere, talvolta anche il male, oppure che ci sia un principio negativo –Satana -che attrae l’uomo verso il male.  

In India invece tutto si gioca solo e soltanto sul piano della conoscenza.  Ma ancora non la conoscenza dell’utile, del mondo  fuori , la conoscenza scientifica – che per l’Advaita rappresenta solo “il piano grossolano dell’esistenza” -  ma  la conoscenza ultima  per cui Tutto è Uno ( e  che coincide con la realizzazione del  vero Sé ( atman).

La crisi dell’ecosistema che si aggrava ogni anno di più non è  quindi il frutto delle azioni di  uomini cattivi ( neoliberisti, capitalisti, turbo capitalisti, massoni etc.) ma  è la conseguenza di una conoscenza  sbagliata. Aver preso il livello  fenomenico,  della percezione, come la sola Realtà.

In India, è soltanto  attraverso la conoscenza che si diventa davvero liberati e si raggiunge  quello stato di somma felicità che è il fine ultimo di tutta la civiltà indiana. Il  mondo fenomenico è  considerato  sempre un effetto dell’ignoranza ( avidya) e altrettanto lo è quell’ego  interiore ( ahankara) che ovunque  viene scambiato per il vero Sé. Maya, l’illusione, inganna le facoltà percettive e razionali. Il Sé , l’Atman è nascosto molto infondo. Ma  non appena  viene riconosciuto, scompare la nescienza, l’ignoranza, l’illusione. Allora (come  ci insegna la fisica quantistica)  il cosmo  si manifesta come un tutt’uno di energia vibrazionale in perenne movimento.

Quindi è perfettamente corretta la tua  impostazione: la crisi ecologica  è il frutto  della completa ignoranza.  La società industriale si è persa per via di una conoscenza  dualistica,  ha erroneamente creduto che il mondo fuori  fosse l’unico reale, ha creduto nel  progresso economico e nella tecnica che agisce solo a livello dello stato grossolano dell’esistenza.  Come sostengo da tempo,  la crisi  ecologica del mondo moderno è il risultato di un errore  conoscitivo.

O forse, andando ancora più a fondo  a livello psicologico,  alla base della ricerca di dominio del mondo esterno e della concezione ciecamente ego-centrica del pensiero economico, ci sarebbe un trauma collettivo che  ha posto in dubbio la possibilità di fidarsi degli altri, e di instaurare un relazione empatica e affettiva  con gli altri e con il tutto. Invece del Sé, in Occidente  abbiamo sviluppato un ego sostanzialmente narcisista e carente di principio di realtà.

12) Secondo alcuni esperti, le pratiche tradizionali indù dell'avere cura della Natura stanno per essere dimenticate in India, e di conseguenza la sopravvivenza degli uomini sta diventando più difficile. Credi che sia così? Le origini della perdita stanno nella Green Revolution?

Sicuramente  le pratiche indù si stanno perdendo e l’ho potuto vedere con  i miei occhi, nel giro di  trenta anni, viaggiando in India.  Certe usanze semplici,  la presenza onnipresente degli animali,mucche, capre, galline,  le case fatte con i sistemi antichi e materiali  biologici e funzionali, la sapienza delle erbe,  molto  di questo  sta sparendo, rimpiazzato da costruzioni di  palazzoni,  igiene, individualismo e vestiti all’occidentale. Non accade ovunque, ma l’India  legata alla Natura che ho visto  trenta  anni fa,  è molto cambiata. 

Tuttavia non credo che  la responsabile sia la Green Revolution  che pure  è stata imposta ai contadini in  molti stati indiani  attraverso  metodi di produzione industriale.  E’ un processo  ben più potente ed insidioso. E’ la scienza moderna che avanza  e che fa apparire le sapienza tradizionali come arretrate e retrograde. Fino al 1994 l’India  ha mantenuto  una certa autonomia, una sua maniera di vivere, per via della lezione di  Gandhi, per via  dei legami forti con la Russia, ma poi  ha dovuto aprire le porte alla globalizzazione. Ovunque vi sono grandi cartelloni che pubblicizzano le scuole di “Science and Tecnology”, ed i media hanno fatto il resto. Anche Terzani  che viveva in Asia dal 1971 non aveva dubbi. “Uno dopo l’altro, i vari paesi dell’Asia hanno finito per liberarsi del giogo coloniale e mettere l’Occidente alla porta. Ma ora? L’Occidente rientra dalla finestra e conquista finalmente l’Asia non più impossessandosi dei suoi territori, bensì della sua anima. Lo fa ormai senza un piano, ma grazie ad un processo di avvelenamento contro cui nessuno ha trovato per ora un antidoto: l’idea di modernità. Abbiamo convinto gli asiatici che solo ad essere moderni si sopravvive e che l’unico modo di essere moderni è il nostro: il modo occidentale.[8]

E così una civiltà  millenaria che si inchinava  davanti ai sadhu,  i rinuncianti, i liberati in vita,  si ritrova oggi a correre dietro ai conigli di plastica  del falso benessere dei consumi… innondata dalla spazzatura e dai  rifiuti del sistema industriale. La cura della Natura,  la sua sacralità, sembrano oggi  cose antiquate e sorpassate.

10) Tra i maggiori esponente dell'ecologia induista vi è l'ambientalista e scienziata indiana Vandana Shiva da sempre attiva per la sovversione del paradigma riduzionista dell'agricoltura. Come si può riassumere il suo pensiero tra ecofemminismo, ecologia femminista, ecologia sociale, ecologia profonda e fisica quantistica?

Io iniziato a seguire Vandana  dagli anni ’90, quanto  si unì al movimento delle  donne Chipko che abbracciavano gli alberi per impedire che fossero abbattuti per creare  grandi appezzamenti per l’agricoltura industriale. Aveva scritto un libro Sopravvivere allo sviluppo. Oggi  sono sua amica e  sono felice di far parte della sua organizzazione Navdanya  International.

Vandana è nata alle pendici dell’Himalaya  e suo padre  era responsabile  delle foreste per un dipartimento statale.  Alla sua formazione  indù – di cui  fa sempre mostra, sfoggiando  il  rosso  bindu  sulla fronte  -  ha aggiunto  la specializzazione in fisica quantistica. Questa  combinazione  tra fisica quantistica e  Tutto è Uno  del Sanathana Dharma, è stata  veramente  esplosiva ed  ha dato  forma ad uno degli  oratori  più importanti dell’Asia e del  mondo.  Giustamente  a suo proposito hai parlato di  eco femminismo, di ecologia femminista . Il vero senso del femminile, della Shakti,  della potenza creatrice è insisto nell’idea di Natura  che ci connette tutti( prakriti in sanscrito) e quindi  direi che l’ecologia tiene vive le istanze del femminile più autentico.      Lo stesso dicasi per l’ecologia profonda e  la fisica quantistica. Laddove ci stacchiamo dall’idea di Io separato che studia un Ambiente esterno,   allora troviamo l’Ecologia  Profonda e copiamo che  siamo parte di un tutt’Uno, che siamo completamente parte dell’Ecosfera.  Vandana  ha  spesso ripetuto che  “La visione del mondo  materialistica, specialistica e meccanicistica – che sta alla base della scienza moderna e dell’industrializzazione –è responsabile delle numerosi crisi che il mondo attuale sta vivendo”.[9] Soprattutto nell’ultimo, bellissimo  libro:  Dall'avidità alla cura[10] Vandana   sostiene con forza che è  il pensiero  baconiano-cartesiano o  cartesiano-newtoniano   ciò che sta alla base del colonialismo, dell’agricoltura industriale ma anche della  rivoluzione digitale e del machine  learning  con le loro disastrose conseguenze. Questo  pensiero separativo  che vede la natura come materia da sfruttare, che  toglie la vita per estrarre profitto,  ha prodotto  500 anni di  colonizzazione, 300 di industrializzazione e 30 di globalizzazione.   Il Big Tech è completamente figlio dello stesso tipo di pensiero  e quindi  non dobbiamo  sperare in soluzioni tecnologiche:occorre   cambiare il pensiero.  Come ci insegna l’Advaita,  dobbiamo lasciare l’ignoranza che  crede nel nostro piccolo io , fatto di attaccamento e avidità,  per  scoprire al di sotto di tutti  i veli di maya,  il nostro vero Sé – l’atman  -che è apertura, che è cura,  e che è una cosa sola che l’ immensa e pulsante  vita del cosmo.

 [1] T.Terzani, Un altro giro di Giostra, Longanesi, 2004, p. 153.

[2] Si vedano gli importanti saggi di A.Coomaraswamy, in particolare, Induismo e Buddismo, Rusconi, 1987.

[3] T.Terzani, Un altro giro di giostra, p.160.

[4] H. Zimmer, Filosofie e religioni dell’India, cit., pp. 51 sgg.

[5]  Sul quattro stadi della vita (ashramadharma), vedi le splendide pagine di H.Zimmer, cit. p. 138-146

[6] Manusmriti, 6,60

[7] S.Latouche, Come reincatareil mondo, La Decrescita e il sacro, Bollati Boringhieri, 2020

[8] T.Terzani, Un indovino mi disse,  Longanesi, 1995, p. 69.

[9]  AAVV, Manifesto sul futuro dei sistemi di conoscenza, 2009.

[10]  V.Shiva, Dall'avidità alla cura. La rivoluzione necessaria per un'economia sostenibile, EMI,  2022

a cura di Lorenzo Poli, Pressenza , 18 -21 gennaio 2023