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Economia politica del Coronavirus. Il banco vince sempre.

di Roberto Pecchioli - 20/04/2020

Economia politica del Coronavirus. Il banco vince sempre.

Fonte: Ereticamente

La Cina accusa gli Usa di aver diffuso il coronavirus attraverso gli atleti dei campionati militari tenuti a Wuhan alla fine del 2019. E’ sotto accusa un laboratorio statunitense dove si sarebbero verificate fughe di agenti chimici. Gli americani rivolgono analoghe accuse ai i rivali orientali. Da giorni la versione ufficiale, l’origine zoonotica del Covid 19 traballa vistosamente. Anche Luc Montagnier, scopritore del virus HIV dell’AIDS, sembra convinto di un’errata manipolazione del virus in ambiente di ricerca cinese. La verità è lontana, ma sembra probabile che il disastro sia di origine umana. Resta da stabilire chi, dove e perché, se esiste un perché.
Intanto, si possono trarre le prime conclusioni su chi vince e su chi perde al tempo del coronavirus. I perdenti, una volta di più, sono i popoli, falcidiati, esposti alla sofferenza, alla paura, alla morte; in più colpiti dalla perdita di verità e libertà. Chi vincerà lo scopriremo vivendo, se avremo la fortuna di sfuggire al contagio. Si può già prevedere, tuttavia, che la partita la stiano vincendo i soliti, ovvero le grandi corporazioni tecnologiche. Sulla vittoria di Big Pharma, il cartello dei giganti chimici e farmaceutici, non vi erano dubbi sin dall’inizio.
Ecco lo stato dell’arte: leggiamo le notizie attraverso i gruppi di WhatsApp, cerchiamo informazioni o articoli di giornale su Google, conosciamo persone attraverso Facebook o Instagram, guardiamo film e serie su piattaforme digitali come Netflix, ordiniamo merci da Amazon o Glovo. Chi ha la fortuna di mantenere il suo impiego, spesso lo deve al telelavoro, ossia la possibilità di svolgere da remoto – dalla casa in cui ci hanno confinato- le nostre mansioni. Il confinamento ha reso le corporazioni legate alla tecnologia informatica ancora più indispensabili alla nostra vita quotidiana. Chi non c’era abituato, volente o nolente, si deve adeguare. È ovvio l’immenso, ulteriore potere che tali processi fanno assumere a chi ne dispone. Potere sulla società e su ciascuno di noi. I giganti di Silicon Valley e gli altri attori tecnologici stanno raccogliendo più di prima enormi masse di dati sui nostri comportamenti e modi di pensare, da cui traggono vantaggio, potere e denaro. Le grandi aziende tecnologiche appaiono come i trionfatori di questo blackout globale; per loro, si spalancano le porte di lucrosi affari nella sanità e nella finanza.
Il blocco generale diventa un esperimento generale, un test tecnico ed esistenziale sul futuro. Innanzitutto, sta mutando l’atteggiamento pubblico nei confronti di Big Tech. Tutte le preoccupazioni pre-coronavirus relative alla privacy e all’uso dei nostri dati, alla concentrazione aziendale in pochi super colossi, alle somme spese per fare pressioni politiche sono scomparse. Tutti ci concentriamo, giocoforza, sui servizi che offrono, dalla consegna di generi alimentari, al telelavoro, alle app di ausilio alle autorità sanitarie. Le aziende più grandi stanno sfruttando il momento per lucrare potere e assumere il controllo di nuove aree economiche collegate ai dati. Un esempio è l’alleanza tra Google e Apple per un’applicazione che fa sapere se siamo stati esposti al virus, monitorando movimenti e contatti. Prima della crisi c’era un esteso rifiuto contro l’ingresso di Big Tech nel settore della salute. Ora nessuno protesta.
Le super corporazioni penetreranno in settori nuovi, come la sanità e la finanza, e diverranno più grandi e più potenti di prima. Se non limiteremo i loro poteri e non riusciremo a esercitare un controllo pubblico- sociale, civile, etico- sui dati e metadati ottenuti, entreremo in uno Stato di sorveglianza in stile cinese affidato a pochi attori privati. Le grandi aziende tecnologiche, I GAFAM e i loro vassalli, ogni qualvolta si è cercato di imporre loro regole, hanno obiettato che senza un accesso illimitato ai dati, saranno in svantaggio con i concorrenti cinesi. In altre parole, sostengono che se le aziende venissero spezzettate o fossero posti limiti alla raccolta, elaborazione e compravendita dei dati e dei metadati aggregati, ciò danneggerà gli Stati Uniti nella competizione contro la Cina.
La maggior parte delle industrie strategiche del futuro (intelligenza artificiale, robotica, Internet delle Cose) richiede l’elaborazione di grandi quantità di dati. La Cina è una dittatura che pratica apertamente la sorveglianza e ignora la dimensione privata, ma le corporazioni tecnologiche americane sostengono che, senza un accesso illimitato ai fatti nostri, saranno in svantaggio nella competizione planetaria. Al di là di ogni considerazione politica e morale, si tratta di un falso argomento: in passato le aziende piccole e decentralizzate sono state molto più innovative di quelle grandi e non c’è motivo per cui non dovrebbe continuare a essere così. L’ultima importante misura antitrust negli Stati Uniti, oltre venti anni fa, fu presa contro Microsoft e permise la nascita di Google. Eterogenesi dei fini….
In questi giorni c’è altresì preoccupazione per il possesso dei nostri dati da parte dei governi. Sembra chiaro che la sorveglianza tecnologica dei cittadini aumenterà grazie al coronavirus e ciò spaventa molti. Tuttavia, si tratta di dati già in possesso delle grandi aziende tecnologiche. Curiosa dissonanza cognitiva: siamo preoccupati di essere sorvegliati dai governi, ma molto meno del controllo delle multinazionali private. Le democrazie liberali, anche su questo tema, sembrano dichiarare fallimento, o trasformarsi nel contrario di ciò che affermano di essere. Il fatto è che entrambe le forme di sorveglianza sono odiose, e le sedicenti democrazie liberali non dovrebbero consentire la raccolta e lo sfruttamento dei dati che riguardano i nostri comportamenti, propensioni, modi di pensare. I popoli devono sapere che cosa avviene alle loro spalle, chi e perché entra nella loro vita, nell’intimo dei pensieri e della sfera personale, a scopo di guadagno e di dominio. Esiste uno stato di sorveglianza “cinese”; un sistema americano di laissez-faire in cui le aziende possono raccogliere e monetizzare i dati in alleanza con gli apparati riservati dello Stato profondo; e una via europea indefinita.
I rapporti riservati del Pentagono e del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti mostravano grande preoccupazione, prima del coronavirus, sulla debolezza americana nella catena di approvvigionamento dei settori strategici. Oggi assistiamo alla mancanza di dispositivi medici urgentemente necessari nella pandemia, dalle maschere facciali ai respiratori. Questo dovrebbe condurre a un’accelerata reindustrializzazione degli Usa e, a rimorchio, dell’Europa. Potrebbe essere un passo verso la deglobalizzazione, o almeno la rilocalizzazione di filiere industriali improvvidamente abbandonate.
La reindustrializzazione è richiesta per ricentrare l ‘economia sul produttore più che sul consumatore. La geopolitica chiede la stessa cosa per ragioni di sicurezza: le catene di approvvigionamento non devono dipendere dalla Cina. Pensiamo non solo al vantaggio del Dragone nella fibra 5G, ma anche alla posizione di monopolio nell’estrazione e lavorazione delle cosiddette Terre Rare, i minerali senza i quali la catena delle comunicazione, l’informatica, la cibernetica si bloccano. Motivi legittimi di sicurezza consigliano di costruire catene di approvvigionamento nazionali.
Intanto, Google, Facebook e vassalli sono diventate le reti di trasmissione delle informazioni dominanti nel mondo e stanno monopolizzando il mercato pubblicitario. Sono altresì i principali motori della diffusione di notizie e contenuti sensazionali. Nel futuro, sarà cruciale orientarsi verso un modello in cui le ricerche siano un servizio pubblico, così come l’accesso alla banda larga. Si dovrà trattare la nuova pubblicità personalizzata, “profilata”, somministrata in dosi sempre più massicce via computer o telefono mobile, imponendo almeno le stesse norme e limiti di quella tradizionale, per rendere meno dominate la posizione di Facebook e Google. Occorre cambiare il modello del “capitalismo della sorveglianza”, per usare la felice definizione di Shoshana Zuboff.
Avanza la proposta di una sorta di new deal digitale. La banda larga è una necessità moderna, da trattare come bene comune, non diversamente dall’acqua o dall’ elettricità. Negli Stati Uniti, ne dispone meno della metà di chi ha un reddito inferiore a 30 mila dollari annui. È diventata un elemento essenziale della divisione tra ricchi e poveri esacerbata dall’ascesa dell’economia digitale. Se non si lancia un importante programma di infrastrutture pubbliche per garantire un accesso generale alle tecnologie basate sull’informatica e soprattutto se non si ridistribuisce una parte rilevante del valore generato dal mercato dei dati raccolti gratuitamente da Facebook, Amazon, Netflix Apple e Google su tutti noi, correremo verso un’ulteriore trasferimento di ricchezza nelle mani di pochissimi. Il sistema diventerà ancora più insostenibile sia dal punto di vista politico ed economico sia sotto il profilo della dominazione e della sorveglianza.
Il mondo rischia di diventare un monopolio dei più ricchi e meglio connessi, con i cittadini ridotti al ruolo di impotenti spettatori, donatori di sangue di quella che Marco Della Luna ha chiamato “oligarchia estrattiva”. La tendenza rischia di aumentare a causa del coronavisus, che sta colpendo soprattutto i più deboli, indifesi e poveri. Sotto il profilo economico, sta gettando sul lastrico piccolo e medio commercio, artigianato, professioni libere, il turismo, datori di lavoro e dipendenti. Sono i settori meno garantiti, spesso a bassa remunerazione e con indici di precariato e rischio d’impresa elevatissimo. L’ Europa, in particolare il Sud e l’Est dell’Unione, rischia di essere la grande perdente. Nata come area di libero scambio, può funzionare solo nei tempi buoni, a parte il problema aggiunto dell’eurozona, in cui la moneta unica beneficia solo le economie più forti.
Ci piaccia o meno, il dilemma non è tanto lo strumento finanziario migliore per affrontare la crisi (Mes, eurobond, coronabond o altro) ma la scelta di una comune politica fiscale, un’unione bancaria, strutture impositive e tributarie comuni. Fu la grande incompiuta del mercato unico del 1993, cui doveva corrispondere, entro il 1997 (!!!) una fiscalità europea omogenea.  In assenza di tali scelte – che sarebbero la pietra tombale sull’esistenza in vita dell’Italia, ma avrebbero almeno il senso di concretizzare la mutualizzazione dei rischi – molto meglio che ciascuno segua la sua strada, mantenendo in comune poche strutture di coordinamento. La terza possibilità è la peggiore: permanere nell’equivoco di finti accordi, faticosi, estenuanti compromessi tra interessi nazionali, lobby, poteri finanziari, tutela americana e la libertà assoluta di estrarre ricchezza in assenza di limiti, senza pagare imposte e nessun controllo pubblico per i colossi tecnologici.
A questo punto della partita, stanno vincendo alla grande i giganti di Silicon Valley, in alleanza con la cupola finanziaria, ma anche con un altro protagonista dei tempi: Big Pharma. C’è un gigantesco trait d’union nella figura di Bill Gates, della sua fondazione e dei miliardi della sua creatura, il quinto Gafam, Microsoft. Bill Gates è il grande sostenitore della ricerca per un vaccino anti coronavirus. Un benefattore dell’umanità, dunque? Per niente, non soltanto perché le somme sborsate dalla fondazione intitolata a lui stesso e alla moglie Melinda, torneranno abbondantemente in caso di successo degli esperimenti, ma perché il guru di Microsoft è praticamente ossessionato dai vaccini, a cui intende aggiungere, per il nostro bene, non si dubiti, la tracciatura personale attraverso chip a radio frequenza. Lo denuncia un membro influente dell’iperclasse mondialista, Robert Kennedy Jr, figlio del candidato alla presidenza americana assassinato nel 1968 e nipote di John, il presidente ucciso nel 1963.
Kennedy conduce da tempo una battaglia contro i vaccini obbligatori. Non abbiamo né la capacità né l’intenzione di difendere o giudicare le sue posizioni, ma che l’agenda di Bill Gates, uno dei super ricchi del mondo, abbia come obiettivo l’industria farmaceutica e la vaccinazione obbligatoria è un fatto. La sua filantropia, come quella di altri squali alla George Soros, è altamente sospetta e nasconde a stento l’ambizione di controllare un’impresa mondiale di identificazione vaccinale. In più, il suo denaro gli ha fornito un formidabile potere sull’Organizzazione Mondiale della Sanità, il gigantesco carrozzone mondialista. Gates sembra posseduto dalla volontà di salvare il mondo attraverso la tecnologia.

Gli esiti, finora, non sono stati pari alle attese. Il suo vaccino anti polio, imposto all’India, è stato, secondo i detrattori, all’origine di una devastante epidemia di Paralisi flaccida acuta (NPAFP). A seguito di tale disastroso esito, il governo indiano ha richiamato il vaccino e cacciato l’ONG di Gates, sembra con una brusca caduta dell’epidemia. La Fondazione Gates finanziò nel 2014 ricerche sul papilloma virus umano (HPV), un’infezione assai diffusa a trasmissione sessuale, in collaborazione con due colossi di Big Pharma, Glaxo Smith Line e Merck. Ben 1.200 ragazze sottoposte a sperimentazione su 23mila soffrirono di gravi effetti collaterali. Anche in quel caso, il governo indiano mosse gravi accuse ai ricercatori finanziati da Gates, all’esame della Corte Suprema dell’India.
Ribellione anche in Sudafrica, dove i giornali lo accusano di considerare il continente nero “cavia per i test”. Un economista locale, il professor Patrick Bond, ha definito le pratiche filantropiche di Bill Gates “spietate e immorali”. Dal 2010, ha impegnato dieci miliardi di dollari nell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che possiamo considerare cosa sua. In quell’anno, affermò di voler inaugurare “il decennio dei vaccini”. In una trasmissione televisiva, ammise che i nuovi vaccini “potrebbero ridurre la popolazione”. Nel 2014 fu accusato dall’associazione dei medici cattolici del Kenya di aver sterilizzato chimicamente milioni di donne in una campagna di vaccinazione antitetanica. Dei laboratori indipendenti avrebbero scoperto sostanze che inducono sterilità in ciascun vaccino testato, rilanciando accuse provenienti dal Messico e da altri paesi.
Uno studio del 2017 mostrerebbe che il vaccino DTP (difterite, tetano, pertosse) uccide più bambini africani delle malattie che previene, ma l’OMS rifiuta di ritirarlo. Possono essere, ovviamente, menzogne, campagne diffamatorie in un ambiente dagli interessi enormi in cui la lotta è senza esclusione di colpi. Fatto sta che molti accusano Gates di orientare il lavoro dell’OMS in direzione opposta a progetti di natura igienica anti infettiva: acqua potabile, nutrizione e sviluppo economico, impegnandovi somme modeste. L’accusa è di utilizzare le risorse dell’agenzia per servire la sua personale filosofia secondo cui una buona sanità proviene soltanto dall’ago e dalla siringa del vaccino. In più, di usare i suoi enormi mezzi finanziari per controllare, oltre all’OMS, l’Unicef, l’organizzazione internazionale dell’Onu a protezione dell’infanzia, il GAVI , un’ ONG “creata nel 2000 per assicurare ai bambini che vivono nei paesi più poveri del mondo l’accesso a vaccini nuovi o sottoutilizzati ( fonte: <gavi.org>), e il PATH, organizzazione con sede a Seattle , come Microsoft, con 70 uffici nel mondo, impegnata nel campo della salute, dei vaccini, della nutrizione e della “salute riproduttiva”, un termine sinistro che evoca ingegneria sociale, aborti selettivi, eugenetica.
Attualmente, Gates sta finanziando una società farmaceutica che produce vaccini e sostiene largamente dodici altre imprese impegnate nello sviluppo di un preparato anti coronavirus. In recenti apparizioni televisive, ha dato l’impressione di confidare che la crisi nel Covid-19 fornisca l’occasione di forzare programmi di vaccinazione massiccia e obbligata in America di adulti e bambini. Auguriamo a lui e a tutti coloro che lavorano a soluzioni farmacologiche del coronavirus di avere successo in tempi brevi, ma non possiamo tacere il rischio di rafforzare il già immenso potere delle multinazionali tecnologiche, di Big Pharma, di Bill Gates, Zuckerberg, Jeff Bezos, consegnando loro il dominio della nostra mente e del nostro stesso corpo. Chi controllerà gli effetti e la vera composizione di certi vaccini, chi potrà impedire ai Gafam di orientare i nostri gusti, le idee, i comportamenti attraverso tecnologie quasi onnipotenti?
Si avvera la profezia filosofica di Michel Foucault: il potere diventa biopotere, controllo sulla vita, sul corpo biologico e sulle condotte individuali e collettive. Non sappiamo se siamo ancora in tempo a rovesciare la road map dei padroni universali. Ma non dica, l’opinione pubblica più attenta, di non essere stata messa in guardia. Se non ora, quando?