Elezioni europee: un plebiscito totalitario della UE
di Luigi Tedeschi - 31/05/2024
Fonte: Italicum
L’Europa è la grande assente. Nelle imminenti elezioni del parlamento europeo è infatti del tutto assente un dibattito in cui, data l’attuale crisi della UE, si prefigurino riforme sistemiche e/o eventuali progetti di rifondazione di una istituzione che sia rappresentativa dei popoli e degli stati europei.
Non sussiste pertanto alcuna idea dell’Europa alternativa alla UE: non avrai altra Europa all’infuori della UE. Gli stessi movimenti sovranisti e/o euroscettici, sono rappresentativi di istanze legate ad interessi regionali o di classe, che spesso degenerano in etnicismi dissolutori, non solo dell’Europa, ma degli stati stessi.
La UE non è uno stato, una costituzione europea non è stata mai varata, ma sussiste in virtù del Trattato di Lisbona del 2007, mai sottoposto peraltro ad approvazione popolare. La UE dunque, è una istituzione priva di sovranità politica, che tuttavia è sorta in base ad un patto tra stati, che ha comportato la devoluzione ad essa della sovranità economica, monetaria e in larga parte politica da parte degli stati membri. Questi ultimi hanno quindi rinunciato alla propria sovranità a favore, non di uno stato sovranazionale che integrasse gli stati membri, ma ad una UE fondata su accordi internazionali privi di legittimità popolare.
Il parlamento europeo non è dotato del potere legislativo, che è invece esercitato dalla Commissione, ed è quindi una istituzione pletorica, atta a legittimare politicamente i poteri oligarchici di una entità tecnocratico – finanziaria rappresentata dagli organismi della UE. Le coalizioni di maggioranza che si costituiscono in seno al parlamento europeo non assumono la funzione di un potere esecutivo per il governo politico della UE, ma sono predisposte per la mera ratifica di leggi e regolamenti emanati dalla Commissione, in conformità dei trattati istitutivi della UE. Pertanto, tali coalizioni risultano prive di una linea politica propria e sono blindate, in quanto è del tutto irreale la possibilità che si costituiscano maggioranze ostili alla Commissione.
Infatti, i partiti sovranisti nel contesto delle prossime elezioni europee, per aspirare ad accedere alle maggioranze parlamentari europee, dovranno effettuare radicali revisioni delle proprie linee politiche, al fine di renderle compatibili con l’establishment che esercita la governance effettiva della UE. Soprattutto nella politica estera, in cui la UE non dispone di una soggettività politica autonoma, ma è parte integrante dello schieramento atlantico. E’ infatti la Nato a legittimare l’esistenza stessa di una UE che, i caso di disimpegno americano in Europa, non avrebbe più ragion d’essere. L’Europa ha il ruolo geopolitico di una piattaforma territoriale inserita nel contesto strategico della egemonia mondiale americana. In questa ottica è pertanto comprensibile la subalternità europea alla Nato, emersa nella rescissione dei rapporti economici ed energetici con la Russia di Putin (che ha comportato il declino della potenza tedesca), nel conflitto russo – ucraino e nell’incondizionato sostegno europeo ad Israele riguardo alla guerra di Gaza (che ha peraltro il suo fondamento morale nel irredimibile senso di colpa collettivo tedesco ed europeo scaturito dalle vicende storiche dell’olocausto). Democrazia, indipendenza, sovranità popolare, sono valori estranei alla UE. Le elezioni europee somigliano sinistramente alle ritualità plebiscitarie degli stati totalitari. In realtà, la classe politica insediatasi al parlamento europeo sussiste quale mandataria della direttive della Commissione.
Le elezioni per il parlamento europeo assumono un rilevo politico come una competizione tra i partiti interna agli stati, non come un confronto sulle politiche europee né tantomeno, su diverse idee dell’Europa. Gli stessi stati europei, privati della loro sovranità economica, conformemente alle regole del patto di stabilità, non possono implementare politiche espansive negli investimenti pubblici, salvaguardare il welfare e gli interessi dei cittadini. La politica estera degli stati europei è subordinata alle strategie della Nato.
Si rileva inoltre, che nel contesto dei profondi mutamenti che si stanno verificando nella geopolitica mondiale, in cui si fa sempre più aspra la competizione tra USA e Cina con ingenti investimenti nella tecnologia e nell’innovazione, l’Europa ha ripristinato il patto di stabilità, che impone politiche di bilancio restrittive, a discapito della crescita e dei consumi. Nel nuovo ordine multipolare che si sta affermando, l’Europa risulterà marginalizzata e soggetta alla dipendenza tecnologica, energetica e militare americana.
La UE non ha integrato i popoli, ha istituito solo una unificazione monetaria. Non si è rivelata una unione inclusiva delle politiche fiscali, del lavoro, del welfare. L’assenza di un governo politico sovranazionale dell’Europa ha determinato l’emergere di una governance finanziaria autoreferente, del tutto estranea agli interessi degli stati e dei popoli. Basti pensare che il sistema bancario europeo, nella crisi inflattiva dovuta ai rincari energetici, con la politica degli aumenti dei tassi varata dalla BCE, ha conseguito profitti per 140 milioni annui. Aggiungasi poi che sia il sistema bancario, che quello assicurativo (nella fase post pandemica), che quello energetico (a seguito dei rincari causati dall’interruzione delle forniture russe), non sono stati assoggettati alla tassazione sugli extraprofitti, che peraltro sono stati realizzati a danno dei popoli europei. Questa UE è dunque il destino ineluttabile dell’Europa o la causa della sua irreversibile dissoluzione?
La crisi della UE coincide con il tramonto del modello tedesco. La UE è stata unione asimmetrica in cui si è imposto il dominio economico della Germania, in virtù dell’unificazione monetaria che ha abolito i tassi di cambio, della delocalizzazione industriale nei paesi del’est europeo, della svalutazione dell’euro rispetto al marco che ha incrementato la competitività dell’export, delle forniture energetiche a basso costo dalla Russia. Allo sviluppo della Germania ha corrisposto la recessione dei paesi europei più deboli, peraltro destrutturati economicamente e socialmente dalle politiche di austerity imposte dalla UE. La fine delle forniture energetiche russe ha inciso profondamente sulla competitività dell’export tedesco e sulla Germania, così come sulla intera Europa incombe un processo di deindustrializzazione favorito dalla politica protezionista degli incentivi e delle agevolazioni fiscali previste dal piano I.R.A. messo in atto dagli USA. Il modello tedesco ispirato all’ordoliberismus è ormai in fase di avanzata decomposizione.
In questo contesto di declassamento economico e geopolitico dell’Europa, occorre rilevare la sorprendente presa di posizione di Mario Draghi, che auspica un “cambiamento radicale” della governance europea con “nuove regole e più sovranità condivisa” e proclama che per “raggiungere una trasformazione dell’economia europea, dobbiamo essere in grado di fare affidamento su un sistema energetico decarbonizzato e indipendente, una difesa integrata europea, una produzione domestica nei settori più innovativi e una posizione leader nel deep-tech e nell’innovazione digitale”.
Alla conversione di Draghi alla politica keynesiana di espansione degli investimenti fa riscontro quella di Francesco Giavazzi, che sostiene l’istituzione di un debito comune europeo per il rilancio dello sviluppo, in aperta contraddizione con le teorie neoliberiste della scuola di Chicago, che contemplavano tagli alla spesa pubblica e riduzione del debito da lui da sempre professate. Così si è espresso in un articolo del 21/04/2024 sul “Corriere della Sera”: “Occorre abbandonare l’idea che il debito sia solo un onere trasmesso alle generazioni future. Se indebitarsi oggi per investire, consentirà ai nostri nipoti di vivere in un continente libero e che cresce perché collocato sulla frontiera della tecnologia, ripagare il debito sarà un onere minore. Anche perché il debito pubblico non deve necessariamente essere ripagato: l’importante è ridurre il rapporto tra debito e PIL e questo dipende dalla crescita. Alla scadenza il debito pubblico può sempre essere rimborsato riemettendo altri titoli”.
Tali conversioni simultanee a politiche espansive di Draghi e Giavazzi, sono del tutto strumentali. Infatti si prospettano in sede UE politiche espansive messe in atto mediante debito comune, finalizzate al riarmo dell’Europa imposto dal disimpegno americano, con la relativa devoluzione delle spese per la sicurezza nell’ambito della Nato agli stati europei, in funzione antirussa. Gli USA vogliono comunque scongiurare il sorgere di una Europa quale potenza autonoma ed indipendente dall’Occidente. In tale prospettiva, l’Europa sarà resa dipendente dagli USA, non solo nel settore energetico, ma anche in quello militare, dato il conclamato deficit tecnologico europeo in tema di armamenti. E’ comunque del tutto impensabile la costituzione di un esercito europeo senza uno stato unitario.
La UE si è rivelata un organismo burocratico irriformabile, affetto da congenito immobilismo. Le elezioni europee si configurano come una sorta di acclamazione incondizionata del sovrano, rappresentato dall’establishment tecnocratico – finanziario preposto alla governance della UE. L’esito di queste elezioni si prefigura peraltro scontato, con la conferma della coalizione tra popolari e socialisti. Il parlamento europeo altro non è che uno strumento di legittimazione politica dei poteri oligarchici dominanti: appare del tutto ridicola la presunta superiorità morale vantata dall’Occidente, quale sistema democratico contrapposto alle autocrazie di Russia e Cina.
La UE è l’espressione della dimensione post storica in cui l’Europa è stata relegata dalla fine della seconda guerra mondiale. La UE è ormai condannata al fallimento perché si è dimostrata del tutto inadeguata ad affrontare le sfide del nostro tempo, rappresentate dalle trasformazioni di portata storica in atto nella geopolitica mondiale. Una Europa politica può nascere solo dalle ceneri della UE. Occorre creare un nuovo europeismo dei popoli che si contrapponga alle oligarchie euroinomani di Bruxelles: una nuova Europa è possibile solo a fronte della dissoluzione della UE, che potrebbe essere ormai imminente.