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Esercito europeo: armatevi e partite

di Roberto Pecchioli - 09/03/2025

Esercito europeo: armatevi e partite

Fonte: EreticaMente

Anche un orologio rotto segna due volte al giorno l’ora esatta. Come dare torto a Crudelia Demon travestita da contessa Von der Leyen quando afferma che la pace si costruisce sulla forza? E’ il vecchio detto romano si vis pacem, para bellum, se vuoi la pace, prepara la guerra. Ma non ci piace affatto che la nuova parola d’ordine sia riarmo. L’Europa, ovvero il suo simulacro con sede a Bruxelles (succursale della centrale politica di New York e di quella finanziaria di Londra) chiama alle armi, parlando addirittura di formare un esercito unico europeo, dopo oltre settant’anni di disarmo morale oltre che materiale ed aver lasciato agli Stati Uniti il ruolo di unica potenza militare in nome di un pacifismo codardo, punteggiato da fuga dalle responsabilità, indifferenza, bandiere arcobaleno e sermoni moraleggianti. Pessima cosa quando i mercanti imbracciano il fucile.
E sia, lo facciano, a patto che siano le oligarchie ad armarsi, pagare il conto e partire per il fronte. Loro, i figli, i famigli, i leccapiedi e l’armata giornalistica pagata da Bruxelles, da Soros e dall’Usaid. Armatevi e partite, i popoli d’Europa non ci stanno. Lo diciamo con la tristezza del fallimento personale. Chi scrive appartiene a una generazione che sognava un’Europa Nazione unita dall’Atlantico agli Urali, non l’accozzaglia di burocrati e di servi. Prima ci hanno disarmato nell’anima, facendoci uscire dalla storia: l’ Europa – come tale – è un fantasma dal 1945. Adesso riscoprono il linguaggio della guerra. Alle parole prima o poi seguono i fatti. E l’Europa dimezzata – propaggine estrema di una categoria non più geografica chiamata Occidente – ha trovato il nemico, l’orso russo.
Contro di esso Frau Ursula chiede il riarmo, invoca l’ aumento delle spese militari, da escludere dal famigerato vincolo esterno che ci soffoca da Maastricht in poi. Per le spese sociali il denaro manca, per la politica industriale pure, ma per i cannoni i soldi li trovano sempre, parola dei loro padroni banchieri, adusi a finanziare le guerre. Per questo Crudelia 2.0 rispolvera le parole della guerra con la bava alla bocca, in compagnia dello spelacchiato leone britannico, del vanesio galletto francese e dei baltici a cui si attaglia la definizione di botoli ringhiosi che Dante affibbiò agli aretini. No, non ci stiamo. La Russia non è nostra nemica. E’ parte dell’Europa geograficamente, culturalmente, spiritualmente. Non dispiega missili contro di noi, non è in grado di invaderci innanzitutto per evidenze demografiche (i mandarini di Bruxelles leggano La sconfitta dell’ Occidente di Emmanuel Todd) non ci colonizza da tre quarti di secolo. Questo lo fa l’amicone a stelle e strisce.
La Russia forniva – ed ancora fornisce a costi più elevati, poiché l’economia reale funziona così – energia buon prezzo. Un’interdipendenza vantaggiosa per entrambe le parti che poteva diventare alleanza a lungo termine. Ne sanno qualcosa l’industria tedesca in panne, quella italiana e il nostro portafogli svuotato dai costi delle bollette domestiche. Intendiamoci: un esercito ci vuole, deve essere efficiente e capace di difendere il territorio dalle minacce esterne. E’ ragionevole spendere (bene) per rafforzarlo. Ma non sulle spalle delle spese sociali, non dopo avere foraggiato Kiev di armi e denaro che non riavremo, andato in parte a ingrassare le corrotte classi dirigenti della sfortunata Ucraina. Non dopo aver inventato la trappola del rapporto del tre per cento tra debito e PIL, non dopo aver messo in ginocchio interi comparti industriali con la politica della lesina e con il demenziale pareggio di bilancio. Non dopo aver chiamato aiuto di Stato ogni politica economica attenta agli interessi nazionali.
Soprattutto, gridiamo no all’esercito europeo, un no grande come il grattacielo incompiuto sede dell’UE, imitazione della torre di Babele. Niccolò Machiavelli scrisse che uno Stato esiste se batte la propria moneta e ha un esercito indipendente. Della moneta euro conosciamo il carattere privato, gestita da una banca centrale che risponde a logiche e comandi da cui i governi (e la Commissione UE) sono esclusi. Se mettiamo in mano alla cupola di Bruxelles un esercito, saremo disarmati dinanzi al nemico. Interno, non esterno. Rammentiamo la definizione di Stato di Max Weber: la struttura che ha il monopolio dell’uso della forza. Ne esistono già i presupposti giuridici nei trattati dell’Unione, che ha un abbozzo di strumento militare di pronto intervento nell’ Eurogendfor, il cui compito reale è la repressione del dissenso.
Immaginiamo per un momento l’armata europea. Chi la comanderà? Quali saranno i suoi compiti? Chi prenderà le decisioni, dalla produzione e dall’acquisto dei materiali sino al dispiegamento di truppe e alle regole d’ingaggio? Chi gestirà i codici che significano guerra o pace? E che ne sarà dei governi nazionali? Se uno o più Stati volessero svolgere una politica autonoma, l’esercito europeo dichiarerà loro guerra? Chi farà parte delle forze armate dell’Unione? Quasi dovunque è stata abolita la leva, quindi dovremo ricorrere a mercenari, che chiamiamo contractor perché fa più fine. Diventerà normale servirsi di compagnie di ventura, come nei secoli XIV e XV. Abbiamo odiato la compagnia Wagner al servizio dei russi, ma il suo capo, il defunto Evgenij Prigozhin, era l’Erasmo Gattamelata o il Giovanni dalle Bande Nere del presente, un imprenditore della guerra, come la multinazionale occidentale (quindi buona per definizione) Academi, ex Blackwater.
I popoli europei sono stati educati alla mollezza, alle comodità, a un’esistenza priva di regole, disabituati alla disciplina e al confronto fisico. In più sono in gravissima crisi demografica. Non è difficile immaginare che sarà impossibile formare i ranghi, ricreare una mentalità perduta da generazioni, organizzare una struttura efficiente dopo aver lasciato agli Usa ogni responsabilità per mezzo secolo. Dovremo ricorrere largamente a truppe straniere. Non ci potrà essere amore per la bandiera europea in cui nessuno crede. I professionisti tengono soprattutto alla paga e, vivaddio, alla pellaccia. I comandanti potrebbero diventare, come i generali del basso impero romano, soggetti politici. In possesso di armi e con soldati che risponderanno a loro, non a Ursula o a chi per lei, saranno una casta potentissima. L’esercito sarà una grande Legione Straniera al soldo di un’oligarchia estranea ai popoli. Chissà in quale lingua verranno impartiti gli ordini.
Il nemico designato, la Russia, è è l’avversario storico della geopolitica imperiale britannica e americana, non dell’Europa, il cui interesse è l’amicizia con il vicino orientale, che rappresenta la metà del nostro continente. La russofobia è alimentata dall’attivismo francese e britannico (ma Londra è una tigre di carta, militarmente) e dalle improvvide parole di Kaja Kallas, vice di Ursula e Alto (??) Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Sicurezza. Guerrafondaia scatenata, la signora proveniente dall’ Estonia (1,4 milioni di abitanti, compresa la minoranza russa) si domanda inquieta come potrà l’Europa sconfiggere la Cina se non ce la fa con la Russia. Chi la controlla le tappi la bocca. O forse no, affinché l’opinione pubblica comprenda in che mani siamo caduti. E’ incredibile che le posizioni belliciste più accanite siano oggi rappresentate da donne, Erinni che giocano con il sangue altrui. Oltre alla Kallas, la verde tedesca Annalena Baerbock, la finlandese Sanna Marin, la moldava Maia Sandu, la neocons americana Victoria Nuland, in passato Madeleine Albright. Vengono riposte le bandiere arcobaleno nel momento in cui servirebbe una mobilitazione per la pace in Ucraina e in Medio Oriente, mentre cresce la tensione nella Repubblica Serba di Bosnia. Aumenta il distacco tra le oligarchie, i governi e le opinioni pubbliche. Che farebbe l’esercito europeo dinanzi alla mobilitazione rumena a favore di Calin Georgescu, arrestato pretestuosamente?
E’ triste pensare in questi termini: da giovane chi scrive cantava “né vodka né Coca Cola”. Abbiamo avuto l’una e l’altra: la sottomissione agli Usa con relativa deculturazione, e la dipendenza non dall’arcigno marxismo sovietico, ma dalla sua velenosa deriva occidentale progressista, i cui simboli sono le droghe, l’alcolismo di massa, il deserto morale, l’odio di sé. Ovvero il disarmo generale della civiltà di cui oggi verifichiamo gli effetti anche sul piano militare. Si è detto che l’Europa è un gigante economico (sempre meno, peraltro), un nano politico e un verme militare. E’ con queste generazioni che l’Europa si riarmerà?
Evidentemente no; saremo in balia di una nuova casta militare di mercenari indifferente ai nostri popoli. Oppure, l’esercito di Ursula dovrà fare i conti con quote etniche, rosa e LGBT, come i pompieri californiani che dipingevano di arcobaleno le bocche anti incendio, incapaci di spegnere il fuoco che ha divorato Los Angeles. O mercenari efficienti senza patria, o un sistema di quote: tre generali alla Francia, due alla Germania, un paio di colonnelli al Belgio, uno al Portogallo, un sergente a Malta e al Lussemburgo, dopo aver verificato che sia stato arruolata una percentuale di non bianchi, di “non binari” omo e transessuali. Quanto agli armamenti, li produrremo noi o li compreremo dal Big Fellow americano? Le politiche dell’Unione unite alle paturnie green fanno crollare l’industria automobilistica: l’ ultimo caso è un contrappasso, la chiusura degli stabilimenti Audi di Bruxelles. Forse al posto delle autovetture fabbricheranno carri armati.
Da qualunque punto di vista si valuti, l’esercito europeo è una follia. Una tragedia lasciarlo nelle grinfie di una classe dirigente di imbarazzante mediocrità. Specie se lo scopo è trascinare tutti nel buco nero di una guerra catastrofica. Sarebbe, dopo le due del Novecento, la terza guerra civile europea. L’ultima, probabilmente.