Eutanasia, meno leggi più buonsenso
di Marcello Veneziani - 21/02/2025
Fonte: Marcello Veneziani
L’eutanasia alla fiorentina. Arriva a spizzichi e bocconi, per via regionale e rateale, la legge sul suicidio medicalmente assistito, attraverso l’autosommistrazione di un farmaco letale. Ad approvarla è stata la Regione Toscana guidata dalla sinistra che l’ha votata insieme ai rappresentanti del Movimento Cinque Stelle, mentre hanno votato contro le opposizioni di centro-destra. Esulta l’associazione Luca Coscioni che ha promosso il testo, si rammaricano i vescovi toscani per una legge che gli oppositori ritengono disumana e anticostituzionale. E si annunciano altre regioni pronte a seguire la linea toscana, incluso il Veneto guidato da Zaia e dal centro-destra. Con la pressione conseguente sul governo Meloni per colmare il vuoto legislativo e produrre una legge nazionale sul tema.
Cosa c’è che non va nella legge che liberalizza il “fine vita”?
Lasciamo da parte i toni perentori delle crociate con i relativi anatemi, congediamo le certezze assolute e i manicheismi applicati a un tema così delicato e cruciale come la vita al cospetto della morte. Poniamo invece due questioni pratiche, di buon senso
La prima di ordine generale riguarda l’assurda situazione che in una stessa nazione, in uno stesso stato, questioni così importanti come il diritto alla vita o all’eutanasia, possano variare da regione a regione. Mi aspetterei che per ritorsione le regioni a guida cattolica limitino la possibilità di abortire interpretando diversamente la legge sull’interruzione di gravidanza. È uno degli effetti perversi di quell’infame modifica al titolo V della Costituzione che dette alle Regioni sovranità in materia di sanità, sicurezza e istruzione; questioni che invece dovrebbero essere trattate allo stesso modo su tutto il territorio nazionale, senza diseguaglianze. Una follia, che l’autonomia differenziata vorrebbe ulteriormente acuire. Questa è l’eutanasia della Nazione, con la vivisezione regionale della salute degli italiani tra regioni liberomortiste e antimortiste.
Col paradosso di far nascere un’altra possibile migrazione sanitaria transregionale: se vuoi curarti e salvarti la vita vai in Lombardia, se vuoi invece morire con un regolare suicidio assistito vai in Toscana.
Non trovate aberrante questo nomadismo sanitario, questo relativismo regionale della salute?
Ma c’è un’altra questione più importante per le persone. Il tema vero in gioco che tocca l’umanità dei malati e la loro dignità, è l’accanimento terapeutico. Ha senso accanirsi a mantenere in vita, tra sofferenze perduranti, malati terminali che non hanno alcuna possibilità di sopravvivere, anche al minimo delle loro condizioni? Ha senso mantenere in vita malati in stato vegetativo di cui è certa l’irreversibilità del male? In un articolo in favore della legge toscana sul fine vita, Luigi Manconi cita l’esempio di Michele Brambilla, un giornalista cattolico, che dopo aver criticato l’eutanasia a proposito del caso Englaro nel nome della difesa della vita, si è trovato poi a scegliere per sua madre tra un intervento chirurgico estremamente rischioso e la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale, e ha optato per la seconda ipotesi. L’esempio citato da Manconi doveva servire a sostenere la bontà della legge sul fine vita. Invece dimostra esattamente il contrario: non c’è bisogno di una legge per stabilire una scelta di questo tipo, succede già, basta il buon senso, la pietà dei propri cari, l’umanità e la coscienza dei medici per adottare sul piano pratico una decisione del genere. È possibile dunque evitare l’accanimento terapeutico senza mobilitare norme e procedure complesse, senza il supporto di leggi in favore del suicidio assistito. Qual è il rischio o il sottinteso ideologico della legge? Quello di stabilire la norma del suicidio assistito, e il principio che ciascuno è padrone della sua vita e della sua morte e può dunque liberamente decidere di farla finita. Il diritto alla vita che diventa diritto alla morte. Si comincia partendo dai casi pietosi, malati in stato vegetativo e in coma irreversibile da anni, e poi si arriva come già accade in alcuni paesi del nord Europa a estendere il diritto di suicidarsi anche a coloro che sono in stato depressivo e decidono, magari in giovane età, di farla finita.
Peraltro, nella legge varata dalla regione Toscana, si legge sui giornali, si parla di “autosomministrazione” del farmaco letale. Ma se è autosomministrazione non c’è bisogno di nessuna legge che ne dia il permesso, dal momento che il diretto interessato non è più perseguibile in quanto è morto. È evidente che il discorso si sposta su chi lo aiuta – medico, infermiere o famigliare; ma questo già succede di fatto; non c’è bisogno di una legge per decidere qualcosa che la pietà, il buon senso, l’umanità, la coscienza di famigliari e sanitari risolvono direttamente. E un giudice illuminato e pietoso, comprende la situazione, non infierisce.
Certo, non sempre tutto va secondo il verso giusto, non tutti hanno la stessa sensibilità e responsabilità; ma ancor peggio vanno le cose sui temi sensibili e cruciali quando si pretende di sostituire agli affetti, al buon senso, alla responsabilità e alla coscienza professionale, gli articoli di legge, le algide procedure e la decisione dei tribunali. Il tema vero è di sottrarre il più possibile questi temi così delicati al freddo e indifferente rigore della legge (rigor mortis, si direbbe). Lasciamo che siano le leggi non scritte, quelle che della vita, dell’esperienza, del cuore, a prevalere.