Famiglia: ingegneria sociale o bombardamento?
di Roberto Pecchioli - 23/08/2020
Fonte: Accademia nuova Italia
Gli anziani ricorderanno un delizioso Carosello degli anni 60 e 70, la pubblicità della TV in bianco e nero. Un poliziotto risolveva un caso criminale nel breve tempo dello spot e il suo aiutante lo complimentava così: Ispettore, lei non sbaglia mai. Il funzionario allora si toglieva il cappello mostrando la calvizie e sospirava: anch’io ho commesso un errore, non ho mai usato la brillantina Linetti! Anche chi scrive ha commesso un errore: incontrando un ex collega, ha chiesto notizie della moglie. Seccato, costui ha risposto di essersi separato. Una brutta figura. La famiglia, come tutto, è diventata “liquida”, provvisoria. Lo stesso conoscente si dispiaceva che la figlia non pensi al matrimonio, ma sia già alla seconda convivenza. La famiglia è stata oggetto, nell’ultimo mezzo secolo, di un vero e proprio bombardamento. Ingegneria sociale, sì, ma distruttiva. Le termiti hanno lavorato perfettamente e l’agonia dell’istituto familiare – matrimonio, maternità e paternità, comunità di generazioni diverse unite dal sangue – è la prova più grande della fase terminale di una civilizzazione al capolinea.
In Italia nel 2018 sono stati celebrati circa 195 mila matrimoni, un lieve aumento sugli anni precedenti, ma nel passato erano 300 mila le nozze annue. I divorzi, dopo il picco del 2015 in coincidenza con il “divorzio breve”, si assestano intorno ai 55 mila, mentre aumentano le separazioni. I divorziati sono oltre un milione e settecentomila, quadruplicati in venticinque anni; la percentuale di coniugati sull’intera popolazione è scesa al 47 per cento, dal 54 per cento del 1991. Il numero di divorziati è quadruplicato. Aumentano esponenzialmente le libere unioni, difficili da quantificare nella società liquida. E’ la Caporetto della famiglia naturale, che adesso è obbligatorio chiamare tradizionale, benché la tradizione sia esaurita da tempo.
La crisi della famiglia travolge la società, poiché anche il contratto –base dell’idea di società – perde importanza a favore dell’unione provvisoria, revocabile a piacimento, estranea alla legge dello Stato. Oggi qui, domani là, io vado e vivo così, io amo la mia libertà, cantava a cavallo del Sessantotto Patty Pravo. La libertà significa da allora, tra le altre cose, una sessualità disordinata, compulsiva, avulsa dai sentimenti, il cui elemento principale è lo sganciamento dalla procreazione. Il calo delle nascite inizia in tutto l’Occidente nello stesso periodo, in coincidenza con l’introduzione della contraccezione farmacologica.
Inutile formulare prognosi: il destino dei malati terminali è chiaro. Più interessante è l’anamnesi, la riflessione sulle cause. L’esempio è la Svezia, il paese nordico una volta luterano che nel corso del XX secolo si è trasformato in laboratorio di ingegneria sociale per iniziativa della socialdemocrazia, che ha unito il marxismo “culturale” , in particolare la passione per l’uguaglianza, il liberalismo libertario individualista e l’inclinazione nordica per la solitudine.
La figura chiave fu Olof Palme, capo di governo fautore di un marxismo individualista, che lanciò una parola d’ordine: indipendenza soggettiva. Nel manifesto La famiglia del futuro, programmò una nazione di figli che non dovevano dipendere dai genitori e viceversa, di coniugi distaccati l’uno dall’altro, di malati che non dovevano aspettarsi nulla dai parenti. Un paradiso per solitari, eremiti e misantropi, anticipato dalla letteratura da Arthur Strindberg e dall’angosciante cinema di Ingmar Bergman.
Il risultato: metà degli svedesi vive in da sola; oltre una donna su quattro concepisce i figli senza un compagno fisso (non si dica un marito…) attraverso l’inseminazione artificiale, per evitare relazioni sentimentali, definite inutili o fastidiose. I cosiddetti “donatori” sono addirittura convinti di svolgere un benefico ruolo sociale e rinunciano senza porsi domande al destino e alla responsabilità di padri. Morire nella più completa solitudine è comunissimo; non pochi versano denaro all’ente preposto per saldare in anticipo le spese funerarie. Un suicida ha pagato per tempo, da bravo cittadino, il costo del disturbo arrecato dal suo gesto alle pubbliche istituzioni. Si vive da soli, si muore nell’indifferenza di tutti, si esce dalla famiglia (quando c’è) da adolescenti.
E’ la “teoria dell’individualizzazione” o “indipendenza individuale” promossa dallo Stato, diventata molto popolare nelle scienze sociali. Fino a poco tempo fa, molti “esperti” la sostenevano con fervore, poiché significava l’indebolimento delle strutture sociali tradizionali di classe, genere, religione e famiglia. Non vi erano più traiettorie di vita predefinite, ma l’autonoma decisione soggettiva. Quell’ ingegneria sociale mirava a smantellare gli elementi centrali della famiglia naturale e promuovere invece nuove forme di convivenza per scelta, sotto l’equivoco ombrello della famiglia democratica.
Nella “famiglia democratica” tutte le questioni sono soggette a negoziazione nel processo decisionale. La famiglia tradizionale, che si basa sulla divisione per sesso/genere (uomini e donne) e sulla divisione generazionale (genitori e figli), è stata sostituita dalla “famiglia negoziata”, in cui scompaiono i ruoli preesistenti. Nella famiglia democratica non ci sono regole su chi dovrebbe fare che cosa, quando e come, a seconda del genere o della generazione a cui si appartiene. Secondo gli esperti, autentici sicari della comunità naturale, la famiglia si è trasformata in un sistema di pura relazione, a cui ogni individuo, privo di dipendenze e imposizioni, partecipa liberamente come membro a pieno titolo. Nella versione dell’ottimismo progressista, è uno schema basato sulla democrazia e l’uguaglianza emotiva e sessuale, caratterizzato da apertura, partecipazione, reciprocità e vicinanza.
Gli esperti lamentano che dietro questa trasformazione per loro benefica, e al di là della sua accettazione formale nella società svedese, persistano i vecchi schemi. Vale a dire, paradossalmente e fortunatamente, le persone nelle loro decisioni pratiche sembrano allontanarsi da quel modello sociologico. Forse i popoli alla fine hanno riflessi di vita. Già prima degli anni Sessanta la Svezia aveva iniziato ad attuare misure per fornire una maggiore indipendenza alle donne e contrastare il ruolo della casalinga, con un’enfasi fortissima sui diritti individuali, l’autonomia e l’uguaglianza di genere. Tuttavia, le madri erano ancora viste come insostituibili nell’educazione dei figli. La figura maschile come supporto economico rimase invariata. La promozione (imposizione) del principio di autonomia individuale non si è fermata, ma si è estesa anche ai bambini
Alla fine degli anni Sessanta il discorso sulle “pari opportunità” tra uomini e donne divenne un processo normativo. Ciò ha significato un cambiamento cruciale, poiché il progetto socialdemocratico ha cambiato direzione e soggetto: dalla lotta contro la disuguaglianza di classe è passato alla lotta contro la disuguaglianza di genere. Furono commissionate un gran numero di indagini governative sul problema della famiglia e delle pari opportunità. Nel 1965 fu istituito il Comitato per la politica familiare, quattro anni dopo venne insediata la Commissione di esperti per la famiglia Negli anni Settanta esistevano ben 74 commissioni dedicate all’analisi di famiglia e genere. Queste commissioni pubblicarono nel 1972 un rapporto congiunto la cui conclusione era la necessità di promuovere “una società in cui ogni individuo adulto può assumersi la responsabilità per se stesso senza dipendere dai suoi familiari e in cui l’uguaglianza tra uomini e donne è una realtà”. L’uguaglianza di genere diventava anche autonomia individuale: dal collettivismo economico al soggettivismo liberal.
Da allora, le riforme legislative svedesi si sono susseguite a ritmo sostenuto, tutte volte a garantire autonomia e indipendenza finanziaria, nonché a promuovere la responsabilità individuale dei coniugi. Nel 1971 è stata istituita la tassazione separata nel matrimonio: una bomba a orologeria che porta all’ineguaglianza tributaria contro la famiglia con figli, scoraggia la madre dal restare a casa e, di fatto, spinge a non sposarsi. Nel 1974 è stato facilitato il processo di divorzio, abolendo la questione della colpa; nel 1975 l’aborto è diventato gratuito, eliminando la limitazione a determinati presupposti e situazioni; nel 1976 la convivenza è stata legalmente riconosciuta come equivalente al matrimonio.
Tutte queste riforme, aggiunte agli aiuti pubblici agli asili nido, l’attenzione statale ai bambini, il congedo di paternità e l’orario ridotto, hanno trasformato il matrimonio, in termini legali, nell’unione provvisoria di due individui completamente indipendenti. Nel 1982 la legislazione fu modificata in modo che ogni lite domestica diventasse questione di diritto penale. Nel 1993 fu creata la Commissione sulla violenza contro le donne, a comprova che il paradiso socialdemocratico, istaurato dal primo Novecento, non era affatto tale. Il lavoro della commissione ha portato nel 1998 a un incremento delle ipotesi di reato e un inasprimento delle pene. Nel testo si legge che “la base e il prerequisito per l’emergere della violenza da parte degli uomini contro le donne è la struttura della società basata sul dominio degli uomini e la subordinazione delle donne.” Poiché la Svezia continua a essere ai vertici delle statistiche negative in materia, evidentemente il problema non è stato risolto neppure dalla sua ideologizzazione.
La promozione del principio di autonomia individuale non si è fermata, estendendosi ai bambini. Già nel 1972 era stata istituita una commissione il cui scopo era mostrare che “la società non può accettare che la violenza fisica sia usata contro i bambini come mezzo di educazione o punizione”, il che ha portato nel 1979 al divieto delle punizioni corporali e al loro inserimento nel codice penale nel 1982. Da allora, l’assistenza pubblica ai bambini è concepita in Svezia come un mezzo per affrontare la disuguaglianza sociale e fornire ai minori un ambiente sociale e pedagogico migliore, affermando che la partecipazione dello Stato alla cura dei bambini riduce i “vincoli strutturali” sulle loro scelte future. Di conseguenza, è stata stabilita l’idea che non è bene per un bambino trascorrere troppo tempo con i genitori. L’assistenza pubblica all’infanzia è vista come una “risorsa d’amore”: attraverso l’amore e la cura del pubblico potere, i bambini devono diventare indipendenti dai loro genitori.
In tal modo, l’autonomia individuale e la famiglia democratica non hanno solo separato le donne dagli uomini, ma anche i figli dai genitori. Come ha affermato la Commissione per la proibizione delle pene corporali del 1978, “il processo decisionale indipendente e la responsabilità volontaria sono requisiti fondamentali per mantenere l’ordine sociale democratico”. Tutte le utopie nascono per fondare la società perfetta, dal tempo di Platone ai giorni nostri. L’esito è generalmente infausto, come lo sfacelo attuale, chiamato liberazione, emancipazione, autonomia. Nel caso svedese, assordante è stato il silenzio della chiesa luterana e della monarchia, istituzione che dovrebbe essere il simbolo visibile della continuità familiare e nazionale.
Lo Stato svedese ha realizzato un enorme processo di ingegneria sociale che, sulla base di idee maturate attorno al 1920, ha preso la sua forma definitiva nel 1969 attraverso riforme legislative che sono state intensificate negli anni ’70 e consolidate negli anni ’80 e 90. Per più di mezzo secolo, la Svezia ha legiferato e creato istituzioni sociali per sostenere l’autonomia individuale, l’uguaglianza di genere, la responsabilità condivisa per i bambini, la cosiddetta genitorialità attiva, la cittadinanza per i minori, la libertà di fronte alla violenza e l ’“autorità negoziata”.
Tuttavia, mentre l’accettazione formale di queste riforme da parte della società svedese può sembrare inequivocabile, le scelte individuali mostrano la persistenza dei vecchi costumi. Che fossero davvero “naturali”, come asseriscono gli ultimi reazionari? Secondo le statistiche, di cui in Scandinavia vi è il culto, esiste ancora una marcata disuguaglianza di genere nella divisione del lavoro e delle responsabilità familiari. I ruoli tradizionali sussistono nonostante i sudditi godano di una libertà individuale assoluta garantita dallo Stato. La Svezia è uno dei paesi con i più alti tassi di divorzi, partecipazione femminile alla forza lavoro, migliori guadagni per le donne rispetto a uomini, coppie di fatto e nascite fuori dal matrimonio. Eppure, volontariamente, molti uomini e donne sembrano tornare ad organizzarsi secondo vecchi ruoli e le loro preferenze individuali, nella scelta della professione o del mestiere, esprimono una netta distinzione tra i sessi.
Per i soliti esperti – vil razza dannata – questo paradosso non è frutto delle scelte libere e volontarie dei “soggetti “. Fedeli all’idea della tabula rasa, secondo cui il sesso/ genere è un costrutto sociale, affermano che la negoziazione familiare continua ad essere asimmetrica perché mediata dall’ambiente e dal genere predeterminato (dalla natura). A loro avviso, questo nasconderebbe lo spettro della violenza maschile. La resistenza al nuovo sarebbe una conseguenza della riproduzione e dell’adattamento delle norme familiari preesistenti alle nuove circostanze. Se la cantano e se la suonano; se la realtà dà loro torto, al diavolo la realtà: la soluzione è somministrare dosi più massicce della terapia fallita.
Insomma, nonostante lo Stato garantisca non solo l’indipendenza materiale, ma finanche quella emotiva; sia stata avocata al potere l’educazione dei bambini, riducendo il più possibile l’influenza dei genitori; siano incoraggiati fortemente non solo modelli di matrimonio alternativi, ma la famiglia monoparentale e la maternità surrogata à la carte, con sovvenzioni per l’inseminazione artificiale, la natura cacciata dalla porta rientra dalla finestra.
Se tutte le barriere, gli ostacoli, le dipendenze e le discriminazioni sono stati eliminati attraverso un’ingegneria sociale intensiva di oltre mezzo secolo, come è possibile che molti insistano nell’organizzarsi in modo contrario alle linee guida dello Stato? Niente lega più gli individui, niente li obbliga o li costringe. Eppure non sembrano disponibili a tanta felicità. La comica spiegazione dei soliti esperti è di avere sottostimato le condizioni strutturali e i loro effetti sulle scelte personali. Esisterebbe una forza invisibile che sottomette le persone, portandole a decidere – stavolta davvero – in autonomia, in modo diverso dal previsto.
Questa forza invisibile non è oscura e malvagia, si chiama legge naturale ed è l’espressione spontanea della condizione umana attraverso le decisioni di milioni di persone. Il dramma è che gli ingegneri sociali non sembrano disposti ad affrontare il fallimento. Al contrario, sono determinati a raddoppiare il bombardamento sulla casa in frantumi.