Fat-checking e potere: la struttura visibile della censura
di Pino Cabras - 09/01/2025
Fonte: Pino Cabras
FACT-CHECKING E POTERE: LA STRUTTURA VISIBILE DIETRO I PUENTE
Il proprietario di questa baracca feisbucchiana ha annunciato dunque di voler smantellare il suo ignobile, insopportabile, paternalistico apparato di censura. Lo aveva appaltato a una rete di mediocri invasati, che venivano investiti del ruolo immeritato di verificatori di fatti (fact-checkers). In realtà a ogni persona di buon senso e buona fede i fact-checkers sono apparsi sin da subito nella loro veste meschina e reale: sono dei censori al servizio del potere, dei manipolatori che in nome delle “regole della community” usano la violenza sorda dei passivo-aggressivi, il fanatismo glaciale e ipocrita dell’eterno leccapiedi piccoloborghese che deve anche sentirsi buono, il perfetto soldatino stronzo della nuova violenza “woke”, finto-inclusiva e finto-antifascista. Il potere capitalistico occidentale, in vista di nuove sfide, ha tuttavia cambiato i suoi equilibri. Intorno a Trump e Musk si raccoglie una corrente che teme uno snaturamento eccessivo dell’Occidente, nel momento in cui la libertà di parola è stata posta sotto attacco fino a farla quasi morire. Il proprietario della baracca feisbucchiana si è dovuto adeguare. In pochi mesi ha praticamente dovuto ammettere in due occasioni solenni (prima in audizione parlamentare e poi con la nuova dichiarazione d’intenti) che ha gestito per anni una macchina della menzogna e della censura che prendeva ordini dalla Casa Bianca. Il cambiamento di inquilino lo porta a obbedire in modo paradossale, ossia liberando (per ora) la rete sociale dalla zavorra di mentitori a contratto.
I pianti delle vedove del fact-checking sono tragicomici e disperati. Tra le vedovanze più inconsolabili troviamo quella di David Puente, pupillo di Mentana. Che in un post difende così il suo lungo lavoro a ridosso delle briciole sotto la tavola dei potenti: «In merito all'imparzialità e trasparenza, i partner seguono un Codice di principi certificato dall’International Fact-Checking Network (IFCN, ndr), con verifiche annuali rigorose». Uno penserà: l’IFCN è una roba neutrale, super partes, scientifica, equanime. Neanche per sogno. La finanziano i soliti giri tentacolari delle solite fondazioni dei Gates e dei Soros. Quei soliti filantropi che puoi leggere – nero su bianco - nei bilanci, ma se anche li leggi ti dicono che sei un cospirazionista terrapiattista. Fa comodo chiamare complottismo una semplice analisi del capitalismo per come è, con i suoi nomi e le sue scatole cinesi onnipresenti. E fra i finanziatori dell’IFCN troviamo anche Pierre Omidyar della Omidyar Network, Omidyar è anche uno dei principali sostenitori di NewsGuard, un’agenzia di valutazione dei media su cui vale la pena notare che tipo di relazioni coltiva. Ne abbiamo parlato assieme, Enrica Perucchietti e io, in un lungo articolo sul penultimo numero di Visione (“Big Data”, mi raccomando, ordinatelo, è molto istruttivo!):
«Le accuse di conflitti di interesse valgono anche contro NewsGuard, un'altra agenzia di fact-checking, che ha stretto accordi con governi e istituzioni come la CIA e la NATO per “monitorare la disinformazione online”. Un bravo giornalista di un medio giornale del mainstream, se proprio si trovasse costretto ad affrontare questa notizia, scriverebbe adottando il consueto stile riduttivo del giornalismo moderno quando inciampa in una notizia vera. Direbbe che il fatto che NewsGuard riceva finanziamenti da queste organizzazioni “solleva interrogativi sulla sua obiettività”, soprattutto quando valuta fonti di informazione alternative che “potrebbero” sfidare le narrazioni ufficiali. Quando ci sarebbe invece da saltare sulla sedia: la notizia nuda e cruda è che le strutture dominanti dell’Occidente sono al centro dei meccanismi che poi portano a presentare o offuscare i messaggi su cui si fonda la pubblica opinione, con una pervasività votata al controllo totale delle menti e dei cuori dei cittadini. NewsGuard, dunque. Con chi abbiamo a che fare?
Ops, guardate un po' chi c’è dietro le quinte di questo meccanismo! NewsGuard, stiamo parlando del vero “sceriffo” della disinformazione online. Questa agenzia, nata nel 2018 negli Stati Uniti e finanziata da fondazioni americane, ha radici che affondano in profondi legami con il CFR, la CIA, la NSA e nientemeno che il Dipartimento di Stato USA. Ma aspettate, perché il divertimento comincia davvero quando diamo un'occhiata al loro advisory board.
Qui troviamo un cast da film di spie: Tom Ridge, primo segretario alla Sicurezza Interna dell’amministrazione Bush; l’ex direttore della CIA Michael Hayden; l’ex segretario generale della NATO Anders Fogh Rasmussen; Arne Duncan, che è stato il segretario all’Istruzione sotto Obama, e Don Baer, ex portavoce della Casa Bianca di Clinton. E, non da ultimo, il nostro Gianni Riotta, che dalle colonne di “Repubblica” aveva fornito, il 3 marzo 2022, un “identikit dei putiniani d’Italia”. Ma non è finita qui: c’è anche Jimmy Wales, co-fondatore di Wikipedia, che, stando a quanto dice Mike Benz, direttore della Foundation for Freedom Online, avrebbe collaborato con l’Unione Europea su un codice anti-disinformazione che, udite udite, potrebbe mandare in bancarotta i siti di notizie alternative. E Benz non si ferma qui: secondo lui, NewsGuard combina “servizi contro la disinformazione” con leggi di censura che essa stessa sponsorizza. Interessante, no?
Ma c’è di più. Nel 2021, NewsGuard ha guadagnato un bel contrattino di quasi 750 mila dollari dal Pentagono per un progetto dal titolo accattivante: “Impronte digitali della disinformazione”. Non contenta, ha pure chiesto fondi alla DARPA.»
Riepilogando: ci sono cointeressenze di finanziatori che partecipano a un medesimo ecosistema di fact-checker pieno di porte girevoli con l’intelligence atlantista. I garanti dell’«imparzialità e trasparenza» vantata da Puente & C. sono tutti dentro un circuito interamente manovrato da finanzieri pescecani (pardon, filantropi) e dalle spie legate agli interessi USA. Anche qui: non è un complotto, ma una struttura di potere perfettamente visibile agli occhi di chi voglia diradare il fumo dei fact-checker, dei maccartisti al servizio di Pina Picierno e voglia invece leggere i bilanci.
Il fact-checking richiede risorse significative per poter funzionare influendo marginalmente sul sistema della comunicazione. Gli accertamenti dei puntigliosi verificatori di notizie devono offrire al grande show delle procedure che appaiano rigorose e accurate, e ciò implica investimenti in risorse umane, tecnologia e infrastrutture che stiano istantaneamente “sul pezzo”. Per sostenere queste operazioni, i principali siti di fact-checking dipendono da finanziamenti esterni, provenienti da grandi fondazioni e donatori privati. Se viene meno questa giostra, dovranno cercarsi un lavoro finalmente legato alla verità.