Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Federalismo e sussidiarietà

Federalismo e sussidiarietà

di Martino Mora - 21/06/2024

Federalismo e sussidiarietà

Fonte: Martino Mora

Occorre riconoscere che dopo due anni di nulla cosmico (o, peggio ancora, di scelte suicide) la maggioranza di governo con l’Autonomia differenziata ha realizzato,  almeno sulla carta,  una buona riforma.
 Essa si basa sul principio di sussidiarietà o competenza sufficiente, secondo il quale il livello regionale di governo potrà svolgere ciò che in grado di fare  da solo (richiedendo ulteriori competenze) senza l’intervento del livello superiore , cioè dello Stato centrale.
Ben lungi dall’essere la “secessione mascherata” additata dalla più becera  propaganda assistenzial-sinistroide, l’Autonomia non è nemmeno quella seria riforma  federalista di cui ci sarebbe bisogno.
Il regionalismo differenziato, infatti resta un gentile concessione (revocabile unilateralmente dopo 10 anni) dello Stato centrale.  Resta nell’ambito del regionalismo , non certo del federalismo, che prevederebbe  l’introduzione in Costituzione  della condivisione  della sovranità tra Stato e Regioni (o Macroregioni), come in Germania, in Svizzera, in Austria, negli Usa e in qualunque  altro Stato federale.
Inoltre la presenza dei prefetti in ogni Provincia italica è del tutto incompatibile con qualsiasi federalismo.
L’Italia resta uno Stato unitario regionale, con in aggiunta  la presenza ingombrante dei prefetti, e non diventa  un vero Stato federale.  Con l’Autonomia  vi sarà semplicemente una più completa applicazione del principio di sussidiarietà.
 Meglio di niente: ("piutost che niente, l’è mei piutost." si dice  a Milano). Non è una riforma epocale,  come sostiene la Lega, ma tantomeno è una “secessione” come l’addita la solita demagogia  sinistroide. E’ una buona riforma non epocale.
Meglio il regionalismo, basato sull'amore delle piccole patrie, del centralismo giacobino.  
Amore per le piccole patrie che, detto per inciso, ha sempre fatto infuriare i sovversivi di qualsiasi colore.
E' anche interessante constatare  come la sinistra, per reagire ostruzionisticamnete all’Autonomia,  abbia  riscoperto il Tricolore, cioè quella  che fu la prima bandiera della sua storia. Quando la  sinistra era massonica, carbonara, borghese, mazziniana o liberale.  Quando il Tricolore voleva dire la triade rivoluzionaria del 1789, la presa della bastiglia, Il terrore giacobino e il grido nazionalista degli straccioni di Valmy.  Poi l'invasione napoleonica, le "Repubbliche sorelle", la repressione degli Insorgenti, il rapimento di due  Pontefici (d cui uno, Pio VI ,morto in prigione)  e infine il Risorgimento.  
Un vessillo  che invece la sinistra social-comunista  amava molto poco,  considerandolp  il simbolo giacobino della Rivoluzione del  Terzo  Stato e di quel nazionalismo moderno superato dalla Storia e dall’avvento del proletariato.
Oggi la sinistra liberal, non più rossa ma fucsia e arcobaleno, non più antiborghese e anticapitalista ma ultraborghese e ultracapitalista, non più antiliberale  ma superliberale, anzi liberal, riscopre (in nome del "piagni e fotti") la sua bandiera originaria, la bandiera dell’adesione ai principi massonici e giacobini della Francia rivoluzionaria e del Risorgimento anticattolico.
Per chi non lo sapesse, il primo Tricolore italiano, copiato da quello francese del 1789, venne adottato dal Congresso della Repubblica  cispadana del 1796, a Reggio Emilia, su proposta dell’ex sacerdote spretato e massone Giuseppe Compagnoni (1754-1833) in segno di solidarietà con gli invasori d’Oltralpe e di condivisione dei loro valori. Poi ripresi dal Risorgimento laicista e anticattolico.
La sinistra ha ritrovato la sua prima bandiera.