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Finché c'è guerra c'è speranza

di Andrea Zhok - 08/03/2025

Finché c'è guerra c'è speranza

Fonte: Andrea Zhok

Alcune indiscrezioni da parte degli organizzatori hanno fatto trapelare lo slogan che sintetizza l’agenda della manifestazione del 15 marzo “Una piazza per l’Europa”:
“Ripartiamo-da-una-grande-alleanza-antifascista-per-battere-le-destre-e-coltivare-il-sogno-europeo-di-pace-e-prosperità-difendendo-orgogliosamente-i-valori-di-libertà-democrazia-e-diritti-umani-perché-c’è-un-aggressore-e-un-aggredito-e-dobbiamo-ridare-nerbo-alle-virtù-guerriere-degli-antenati-costruendo-un-esercito-europeo-di-professionisti-che-spezzino-le-reni-alla-Russia-e-alle-plebi-ignoranti-negazioniste-refrattarie-al-lavoro-e-riottose-ai-valori-occidentali-ma-in-modo-inclusivo-e-rispettoso-della-parità-di-genere.”
Si sta ancora cercando il jingle adatto, ma Calenda garantisce che la ricerca è a buon punto.
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Chiedo scusa per la garbata presa in giro (per gli abbonati di Repubblica: no, non era il vero slogan, era uno sfottò).
Ecco, proviamo ora a parlare seriamente.
La situazione è in effetti drammatica e che si cerca di alleviare l’amarezza e la preoccupazione come si può. Personalmente capisco il dramma, la reazione disperata di quelli che si sentono attratti in buona fede dalla chiamata alle armi (sic!) di Michele Serra. Lo capisco almeno con riferimento ai nati prima del 1970. Per molti di quella generazione il “sogno europeo” è stato il surrogato aspirazionale dell’infrangersi del sogno di palingenesi socialista/comunista. Ci si costruì l’idea che l’Europa possedesse per virtù intrinseche un modello di sviluppo alternativo al capitalismo feroce dei liberisti. Si immaginò un’Europa colta, umana e umanistica, democratica, socialmente orientata, che non condivideva né le frenesie del capitalismo anglosassone, né l’autoritarismo dello stato di polizia sovietico. Sulla scorta dell’idea berlingueriana di “terza via” si fantasticò di un’Europa come potenza capace di svolgere un ruolo di contrasto e alternativa agli USA. Orfani del PCI, orfani dell’URSS, orfani di tutte quelle promesse di un mondo altro e migliore (e fanno male quelli che non hanno vissuto quel percorso ad irriderlo), milioni di persone riversarono la propria “fede laica” sulle istituzioni europee.
E come sempre accade alle fedi in cui vi è stato un significativo investimento affettivo, come negli innamoramenti, si tende a chiudere un occhio, talvolta due, spesso entrambi gli occhi e pure il naso, alle mancanze dell’amato. Così, quando ci dà buca una volta, sarà perché è sempre così occupato, quando ci dà buca la seconda volta, sarà perché gira questa brutta influenza, quando ci dà buca la terza volta, sarà perché ha forato una gomma,… e però, ad un certo punto, prima o poi, il dubbio che ti abbia messo le corna dovrà pur balenare all’orizzonte, no?
Ma è un’ammissione non facile per chi sente di non avere altri progetti possibili, per chi preferisce stare con il vecchio amore fedifrago, piuttosto che affrontare un salto nel buio.
Per lo scrivente la scoperta delle corna politiche è stata tarda. Si erano accumulati segni per lungo tempo, ma per raggiungere la certezza ci è voluta la crisi subprime e la sua scandalosa gestione. Dopo tutto ciascuno di noi è coinvolto in mille altre attività e interessi, e non può star dietro a tutto, tanto meno a quel guazzabuglio esoterico che è la legislazione europea. Per lo scrivente solo con il 2008 è cominciato a divenire chiaro che il 100% delle prese di posizione europee rientravano nel paradigma neoliberale, e che di “terze vie” non c’era traccia. A quel punto, con buoni 16 anni di ritardo dal Trattato di Maastricht, anche ai più distratti, come il sottoscritto, doveva apparire chiaro che il modello sociale perseguito era, puramente e semplicemente, da un lato quello dell’idealizzazione utopica del “mercato perfetto” e dall’altro quello della gestione oligarchico-tecnocratica del potere. Altro che “sistema misto”, altro che “welfare europeo”, altro che “democrazia reale”.
Da allora sono passati altri 16 anni e l’ampliamento della forbice tra ricchi e poveri, il mercatismo astratto, il moralismo autoritario, il burocratismo ottuso, lo snobismo oligarchico sono diventati sempre più evidenti, costantemente confermati e ribaditi.
Con la crisi pandemica l’accelerazione in senso autoritario è stata brusca. Certo, molti credono ancora che quell’esplosione di emergenzialismo autoritario fosse solo un accidente, una necessità fatale di fronte all’imponderabile.
E d’altro canto esiste ancora chi giura che Elvis è vivo e lotta insieme a noi.
Dal 24 febbraio 2022 l’emergenzialismo autoritario pandemico è stato sostituito dall’emergenzialismo autoritario bellico.
Ora, siamo di fronte ad un’altra possibile svolta, perché la pace incombe minacciosa sul fronte orientale. Come recitava quel film di Alberto Sordi: “Finché c’è guerra c’è speranza”, e di fronte alla temibile ombra della pace, l’oligarchia europea teme di perdere la propria leva emergenziale, quella leva che nel nome di pericoli collettivi supremi attribuisce poteri sostanzialmente arbitrari al nucleo di comando europeo. Invece una prospettiva di guerra perennemente incombente è il sogno bagnato delle elite, non da oggi: consente di drenare qualunque risorsa pubblica senza rispondere a nessuno, consente di mettere la mordacchia a qualunque protesta nel nome della sicurezza pubblica, consente di silenziare le voci del dissenso ogni qual volta acquisiscano rilievo (bisogna essere uniti contro il Nemico).
Ecco, di fronte a questa situazione, il sospetto che l’Unione Europea abbia sempre più somiglianza con il Nuovo Ordine Europeo vagheggiato dal Terzo Reich e sempre meno con i vagheggiamenti della “terza via” potrebbe cominciare a farsi strada persino nelle menti più impermeabili.
Dopo tutto, come ricordava sempre, con flautata voce da sagrestia, Prodi, “l’Europa è ciò che ci ha garantito 70 anni di Pace” – certo, omettendo dettagli come la guerra in Jugoslavia (1990-2001) e la cesura (1992) tra il mercato comune della CEE e l’Unione Europea di Maastricht. Ma di fronte ad un’Europa il cui unico merito plausibile è stato il mantenimento della Pace, l’attuale piglio bellicistico crea forme di disagio e dissonanza cognitiva persino nei fedeli più rocciosi.
È per mettere a tacere questa condizione di disagio che nascono iniziative come quella della manifestazione del 15 marzo: si tratta di correre al più preso ai ripari, rinforzando i processi di negazione, rimozione e repressione, in modo che la realtà non possa mai bucare il velo di Maya.