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Finis Italiae

di Gianfranco de Turris - 13/11/2019

Finis Italiae

Fonte: Ereticamente

Alcuni anni fa, un acuto politologo come l’ambasciatore Sergio Romano pubblicò un pamphlet intitolato Finis Italiae (Le Lettere, 2011) sulla decadenza della ideologia nazionale e sul masochismo degli italiani. Mi chiedo cosa scriverebbe oggi. Francamente ci si dovrebbe chiedere, senza essere moralisti o nostalgici del bel tempo antico ma oggettivamente realistici, quale sarà mai il destino futuro del nostro Paese come nazione e come popolo. Imperano l’ottimismo e il buonismo ufficiali, ma pochi ragionano lucidamente in base ai fatti e quando lo fanno sono di solito condizionati dalla loro ideologia. Ci riferiamo sia al piano fattuale, sia al piano psicologico e morale. E’ presto detto: il futuro di una nazione è in mano alle nuove generazioni, e le nuove generazioni sono allevate dalle attuali, quelle nate intorno agli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso.
L’Italia si sta spopolando di giovani per molti motivi: il principale dei quali è le nascite che come ornai si sa, da un decennio sono in costante decrescita. Nel 2017 vi sono stati 15.000 nati di meno (dal 2008 sono 120.000 in meno), il tasso di natalità per donna è sceso all’1,32 per cento, e questo avvien per diversi motivi, da quelli economici al disinteresse ad avere una progenie: di conseguenza il saldo fra nati e morti in Italia è negativo da 25 anni. Ma ce ne sono altre di cause: una è paradossalmente positivo, quello dell’esodo dei migliori in genere, che se ne vanno all’estero per trovare un lavoro decente e soddisfacente: nell’ultimo Rapporto della Fondazione Leone Moressa appena uscito negli ultimi dieci hanno sono espatriai circa 500mila italiani, di cui circa 250mila fra i 15 e i 34 anni, il che corrisponderebbe ad una perdita di ricchezza nazionale parti a 16 miliardi di euro (un punto di PIL). Insomma, molti dei più bravi se ne vanno. All’opposto c’è anche uno motivo tragico: sono in aumento quelle che vennero definite le “stragi del sabato sera”: incidenti automobilistici di ragazzi che escono ubriachi o drogati dai locali e vanno incontro ad una sorte tanto tragica quanto inutile ed evitabile. Tutto questo panorama non tende a modificarsi col tempo in meglio, ma al contrario peggiora. E se ne devono trarre le conseguenze, considerando che, come tutti sanno, l’Italia è un paese di vecchi con l’aspettativa di vita che oggi supera gli 82 anni: on questa tendenza, ha calcolato l’ISTAT, fra veni anni nel 2038un terzo degli italiani avrà oltre 63 anni. Quindi sempre più anziani e sempre meno giovani, per tutte queste concause cui di solito non si fa riferimento.
Non pare che le cose vadano meglio sul piano culturale, psicologico e morale. I nostri ragazzi, nella gran parte (le eccezioni confermano la regola, come si è detto in precedenza) escono dalle scuole secondarie e superiori, di una ignoranza che non ha eguali. L’Italia è il pase che sta negli ultimi gradini europei su questo piano. Uno studio Invasi pubblicato a inizio ottobre 2019 dà un quadro sconfortante della situazione: il 7 pr ceto dei diplomati alle superiori non è in grado di comprendere un libretto di istruzioni di media difficoltà, e gli abbandoni scolastici sono tornati a crescere e raggiungono il 22 per cento come media nazionale, con punte del 37 per ceto in Sicilia e Sardegna. Di fronte a questa situazione catastrofica, forse il ministro della Istruzione dovrebbe occuparsi di cose più importanti e cogenti che quelle di proporre l’abolizione delle merendine e del crocefisso, preoccuparsi del fatto che la storia che si insegna parla troppo di guerre, o ritenere giustificati gli alunni che non vanno a scuola se manifestato per il clima e l’ambiente…… Generazioni di impreparati che crescono ed entrano nelle professioni ci daranno avvocati, ingegneri, magistrati, medici,, architetti, farmacisti e ovviamente insegnanti incapaci e incompetenti perché la cultura di base resterà sempre quella malformata alle origini. La cronaca di errori ed incidenti professionali in costante aumento lo dimostra, purtroppo.
La formazione delle giovani generazioni la fornisce la scuola, ma alle spalle ci dovrebbe essere anche una educazione familiare. Che, ahimè, non pare esserci: anche qui le cronache sono piene di genitori che difendono a spada tratta figli indifendibili, come quella mare che voleva avere a tutti i costi ragione quando i dirigenti scolastici hanno per fortuna impedito di entrare in classe al ragazzino che si era rasato la testa eccetto una coda di cavallo colorata in blu cobalto. O che aggrediscono gli insegnanti che hanno sospeso o dato un brutto voto al loro pargolo. Per non parlare del comportamento a scuola con eccessi e maleducazione inimmaginabili sino a qualche tempo fa, spesso senza punizioni esemplari, Il fenomeno ormai diffusissimo delle cosiddette baby-gang ne è un altro esempio. Le bande giovanili sono sempre esistite (ricordate la “gioventù briciata”?), ma il dramma è che oggi è in calo l’età media dei loro componenti (anche di 12 e 13 anni) ed in aumento la loro violenza ingiustificata. I ragazzini che per puro divertimento, per noia o per non saper che fare compiono atti impensabili: tolgono il bastono ad un vecchio e lo fanno cadere, e riprendono la scena e la mandano su Facebook: quelli che hanno vessato un poveretto disabile mentale in casa sino a farlo morire pensando di reste impuniti.. E quelli che hanno picchiato un autista di bus a Rona? Per non parlare delle violenze sessuali non solo a loro coetanee ma addirittura, e questo è di una incomprensibile patologia, anche ad una novantenne nonna di un loro amico dopo averla bastonata: cosa spinge un diciasettenne ed un quattordicenne a violentare una donna di quella età? Tutto ciò dovrebbe pure indicare qualcosa, o no? Ma poi su questi fatti cala il silenzio mediatico, in attesa che ne avvenga un altro, magari peggiore…
C’è chi vorrebbe portare a 16 anni l’età del voto sperando di sfruttare l’onda ecologista, o far votare a 18 anni per il Senato ed abbassare l’età dei senatori (i “padri coscritti”!) a 25 anni, ma forse sarebbe meglio far scendere l’età della punibilità penale e di altri sistemi di correzione.
E’ questo l’analisi di un laudator temporis acti, oppure semplicemente la fotografia di una realtà che tanti commentatori di giornali e televisione, tanti sociologi e psicologi della carta stampata o della Rete non vogliono vedere? Una realtà complessa fatta di tanti particolari disparati e in apparenza diversi e scollegati fra loro che invece dovrebbero essere collegati, e che quasi nessuno fa, per cercare di capire quale potrebbe essere il furo di questo povero paese.