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Flessibilità nella società aperta

di Federico Zamboni - 28/11/2017

Flessibilità nella società aperta

Fonte: Il giornale del Ribelle

       

Venerdì scorso ci abbiamo ironizzato sopra. Oggi bisogna che ne parliamo sul serio. Venerdì scorso è stata la volta di Emma Marcegaglia che “tuonava” contro qualsiasi norma in tema di welfare che possa aumentare il costo del lavoro. Oggi – su un tema diverso ma nella medesima prospettiva (nella medesima strategia) – ci spostiamo in Germania.  Dove, riferisce Tonia Mastrobuoni di Repubblica, “Il presidente dei cinque consiglieri economici del governo, Christoph Schmidt, ha spiegato che «ormai l’idea che la giornata lavorativa inizi la mattina in ufficio e si concluda con l’abbandono pomeridiano dell’azienda, è obsoleta». Nell’epoca digitale, ha aggiunto, alcune tutele dei lavoratori sono troppo rigide: «le aziende hanno bisogno della certezza che non infrangono la legge se un impiegato partecipa di sera a una conferenza telefonica e se a colazione legge le mail». Nel rapporto presentato all’inizio di novembre, i “cinque saggi” hanno dunque suggerito di cancellare i limiti giornalieri – al momento sono otto ore, massimo dieci, con obbligo di recupero del riposo nel semestre – e lasciare soltanto il tetto settimanale di 48 ore”.  La chiamano “flessibilità”, in modo da rendere il cambiamento accattivante per il fatto stesso che il termine utilizzato si contrappone a “rigidità”. Così come le società “aperte” appaiono di per sé più desiderabili delle società “chiuse”.

Per giustificare l’innovazione, inoltre, si appellano alle mutate condizioni del quadro internazionale. Dice Clemens Fuest, direttore dell’Ifo di Monaco (l’Institute for Economic Research fondato, guarda caso, nel 1948), «c’è bisogno di una maggiore flessibilità, in un mondo globalizzato e flessibile». Come se questo “mondo globalizzato e flessibile” fosse un fenomeno naturale che si è determinato da sé, invece di essere stato perseguito scientemente dai potentati economici sovrannazionali. Ma ancora non basta. Nel tentativo di indorare la pillola, ecco la consueta favoletta dei vantaggi per tutti. Il cambiamento non serve «solo per venire incontro agli interessi delle imprese. Molti lavoratori vogliono una maggiore libertà per organizzarsi il lavoro. Perché non concedere loro di lavorare un giorno più di otto ore e altri giorni meno?». Lo avete notato, il verbo? “Concedere”. Dite grazie, schiavi. Dite “danke”, in tedesco. Dite “thank you”, nella lingua ufficiale dell’Impero.