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Funzione psicologica del 25 aprile

di Marco Della Luna - 08/05/2019

Funzione psicologica del 25 aprile

Fonte: Marco Della Luna


Celebrare la liberazione dall’occupazione nazista copre il fatto che essa è stata sostituita da un’altra occupazione, che perdura militarmente a tutt’oggi
Ogni sistema di potere, anche quello detto liberaldemocratico, rappresentando interessi della élite che lo esprime, tende a rendersi definitivo, non delegittimabile, non resistibile nemmeno culturalmente, plasmando e imponendo un pensiero unico più o meno apertamente obbligatorio. Tende, cioè, a farsi autocratico (similmente a come qualsiasi grande attività imprenditoriale tende a farsi monopolio ponendosi sopra il libero mercato). Così è giustificato ad imporre ciò che di volta in volta gli conviene: t.i.n.a., there is no alternative. Cionondimeno, tutti i sistemi di potere, prima o poi, decadono o crollano.
I mezzi per raggiungere e mantenere tale condizione di dominanza variano in ragione dei contesti storici, degli ambienti ideologico-religiosi, e degli strumenti tecnologicamente disponibili nei vari contesti storici; alle volte sono credenze soprannaturali, alle volte sono credenze economiche; alle volte sono rozzi e materiali, alle volte sono sofisticati e microscopici; ma tutto ciò non toglie che i vari regimi tendano all’identico, suddetto obiettivo; né implica che essi siano giudicabili e classificabili in termini etici.
Ciascun regime ufficialmente insegna e sostiene che i mezzi usati dai regimi precedenti o concorrenti fossero abietti e che quei regimi fossero ingiusti e immorali. E di essere sorto per porre fine a quegli abusi. E di usare metodi etici e legittimi.
Celebrazioni come il 25 Aprile hanno la funzione di creare l’illusione che la tendenza al dispotismo e al totalitarismo sia non un tratto generale di ogni sistema di potere in quanto strumento di un interesse elitario, ma circoscritta a determinati regimi, legata a caratteristiche (im)morali dei medesimi; e che quindi possa essere vinta definitivamente abbattendo quei regimi e, dopo, continuando ad attaccare i loro apologeti reali o inventati. Celebrare la Resistenza al regime fascista serve a legittimare il regime italiano attuale, che è almeno altrettanto corrotto, che causa sul piano economico disastri paragonabili a quelli compiuti dal fascismo, e che non usa i suoi grossolani strumenti, ma ne usa altri, oggi resi disponibili dalla tecnologia, e che possono fare danni molto più profondi alla libertà, alla sicurezza e alla salute.
Celebrare la liberazione dall’occupazione nazista copre inoltre il fatto che essa è stata sostituita da un’altra occupazione, che perdura militarmente a tutt’oggi (assieme alla perdita della sovranità nazionale), e che persegue le solite mire di dominio mondiale, anche con l’uso delle guerre.
Siffatte celebrazioni servono quindi ad accreditare come esenti da quella tendenza autocratica i regimi di volta in volta in sella e le forze che in essi si collocano ed operano. Servono a far credere nella democrazia, quindi nella responsabilità del popolo per le scelte prese da altri sopra la sua testa. Servono a identificare-separare i buoni, dagli altri, i malvagi (quindi sono necessariamente divisive, perché ogni identità sociale consiste nel distinguere l’ingroup dall’outgroup). Svolgono insomma funzioni rassicuranti, identificanti, legittimanti, che sono indispensabili per tenere insieme un vasto corpo sociale di persone ordinarie che non sosterrebbero la consapevolezza della realtà.
Credo che il bisogno di celebrazioni quali il 25 Aprile, con le suddette funzioni, sia destinato ad acuirsi, via via che il regime si farà più duro e afflittivo, più simile nei metodi ai regimi che esso definisce “male assoluto”, per le ragioni che seguono, esposte qui in estrema sintesi, e più ampiamente nei miei saggi Tecnoschiavi e Oligarchia per popoli superflui.
Abbiamo da un lato un mondo le cui risorse si stanno rapidamente esaurendo e in cui un crescente inquinamento da parte di una sovrappopolazione crescente sta compromettendo la biosfera in modo irrimediabile.
Abbiamo dall’altro lato un sistema globale centralizzato e finanziarizzato di profitto e potere che, anche grazie all’automazione e all’intelligenza artificiale, non ha più bisogno di masse di lavoratori, consumatori, combattenti; sicché i popoli sempre più divengono superflui e ininfluenti, quindi passivi.
Con queste premesse, è evidente quale sarà il percorso per il futuro: decrescita infelice, riduzione dei diritti individuali, aumento del controllo manipolatorio sulla ente, riduzione consistente della popolazione mediante gli strumenti biologici già disponibili e legalizzati o legalizzabili.
Per le medesime ragioni è irragionevole pensare che si possa uscire dalla “crisi” con una ripresa generalizzata delle economie, della produzione e dei consumi. L’attuale, interminabile crisi, e il malessere dei popoli sono ciò che meglio asseconda gli interessi di chi possiede il potere reale. Sono il modo attuale di governare e modificare le nazioni.