Geopolitica del trumpismo
di Daniele Perra - 10/02/2025
Fonte: Daniele Perra
Le prime settimane della presidenza Trump hanno ben delineato gli obiettivi geopolitici della "nuova" amministrazione.
1) L'esclusione dell'Europa dalle rotte artiche;
2) scaricare sulla stessa Europa il peso e la distruzione provocata dal conflitto in Ucraina;
3) acquisire una posizione di forza nel Mediterraneo orientale, a Gaza (in prossimità di importanti bacini gassiferi e del Canale di Suez, in modo da poter controllare direttamente i flussi energetici verso l'Europa);
4) disarticolare totalmente l'esistenza del Messico come Nazione e pieno controllo su Golfo del Messico e Mar dei Caraibi (soluzione finale dei "problemi" Venezuela e Cuba);
5) riappropriazione totale del controllo sul continente iberoamericano.
In riferimento al punto 5 mi sembra importante tenere in considerazione i concetti di "sincronia" e "asincronia" tra Argentina e Brasile. È chiaro che l'obiettivo USA, in questo caso, è quello di fare in modo che non vi sia in alcun modo "sincronia" geopolitica tra i due Paesi. Una loro eccessiva vicinanza è infatti considerata assai rischiosa per l'egemonia nordamericana nell'area (Alberto Burla docet). Di conseguenza, paradossalmente, è sempre preferibile per Washington che i due Stati siano governati da governi reciprocamente ostili (Lula contro Milei, Bolsonaro contro Fernandez prima). Tale sistema, tra l'altro, era evidente anche all'epoca delle dittatura militari (da non dimenticare che la dittatura "anticomunista" argentina venne sostenuta da URSS, Cuba, Perù, Libia e Angola nel corso della guerra contro il Regno Unito per le Malvinas - avamposto fondamentale per il controllo dello spazio marittimo del Sudamerica).
Altrettanto interessante, il fatto che il periodico rinnovo dell'interesse USA per l'Iberoamerica venga sempre accompagnato da una crescita dell'influenza israeliana nell'area (i casi Bolsonaro, sostenuto dalla mafia ebraica in Brasile, e Milei, in questo senso sono evidenti). Da tenere a mente, inoltre, il fatto che Israele punti alla regione come nuovo bacino demografico. Di conseguenza, la sua destabilizzazione è gradita (sostegno a gruppi paramilitari colombiani, ad esempio, utile a generare flussi migratori verso Israele).
Importante anche il fatto che l'espansione USA sia sempre accompagnata dal rilevante ruolo delle sètte evangeliche giudaico-protestanti.
Curioso il fatto che Trump sia stato indicato come "il primo Presidente ebreo degli Stati Uniti".
In questo caso, l'obiettivo è limitare il ruolo della Chiesa cattolica in Iberoamerica ed il rischio che questa eserciti influenza sulla popolazione latina (crescente) degli stessi USA. Come insegna Carl Schmitt, l'anticattolicesimo è caratteristica primaria dell'insediamento coloniale anglosassone in Nord America. Per tutto il XVIII, infatti, vennero promulgate leggi anticattoliche. E nell'Ottocento, l'essere cattolici era considerato alla stregua di etichetta infamante. D'altronde, larga parte dei migranti italiani arrivati nel "Nuovo Mondo" finirono per sostituire la manodopera schiavistica.
Ad ogni modo, appare sempre più evidente l'alleanza tra il fondamentalismo evangelico e quello ebraico. Laddove, il primo cerca di ritrovare una "perduta" volontà di potenza attingendo a piene mani alle fondamenta religiose degli Stati Uniti (si pensi ai fenomeni dei ricorrenti "grandi risvegli" che contraddistinguono la storia USA ed all'idea di un contatto diretto tra Dio e primi coloni); mentre il secondo cerca di controllare e indirizzare a proprio vantaggio l'enorme capacità economica e militare nordamericana.
Va da sé che l'obiettivo del "fondamentalismo", in tutte le sue forme, è sempre quello di eliminare in primo luogo i "nemici interni". Così, il trumpismo si manifesta come prima fase di una "guerra civile occidentale" che fa da preludio ad un successivo e più ampio "conflitto globale tra civiltà".