Gli immigrati e la "deportazione"
di Mario Adinolfi - 10/11/2024
Fonte: Mario Adinolfi
State attenti ora alla ferocia con cui sarà usata persino la lingua nell’opera giornalistica di demonizzazione di Trump. Leggo oggi sul Corriere della Sera il titolo che occupa tutta la testata di pagina 6: Il piano per le deportazioni di massa. Guardavo l’altra sera una splendida serie americana appartenente al genere “ospedaliero” (The resident, ovviamente in lingua originale) dove la bravissima Nina Okafor, chirurgo nigeriano, vede scadere il suo permesso di soggiorno negli Stati Uniti e torna spontaneamente nel Paese africano per evitare di essere “deported”. Cioè, espulsa. Useranno con insistenza sui giornali italiani il termine “deportazioni” per evocare nel nostro immaginario il più terribile atto genocida della storia umana (le deportazioni degli ebrei nei campi dì concentramento nazisti). Ma si tratta solo dell’applicazione di decreti di espulsione per gli immigrati irregolari che negli Stati Uniti sono dodici milioni. Oltre un milione di decreti sono stati già emessi, ma non realizzati. Biden ha stabilito che il reato di immigrazione clandestina non è di per sé sufficiente a cacciare le persone dagli Stati Uniti, Trump ha vinto le elezioni promettendo invece di rendere operative le espulsioni. Ora sarà conseguente.
Qui si apre la questione vera, che riguarda anche noi. Come va gestita l’immigrazione clandestina? Il cancelliere tedesco Scholz il 30 agosto 2024 dopo la strage di Solingen rivendicata dall’Isis ha preso 28 afghani raggiunti da decreto di espulsione e li ha messi su un aereo direzione Kabul, li ha rimandati dai talebani. L’Afghanistan non è proprio un modello di “Stato sicuro”, anzi è l’esatto opposto. Ma se la Meloni vuole rimandare immigrati irregolari in Egitto intervengono i giudici, se Trump avesse fatto quello che ha fatto Scholz sarebbe stata una “deportazione”, insomma per giornali e magistratura nostrani dipende sempre da chi fa cosa. Scholz è di sinistra e allora la sua “deportazione” di afghani non l’avete mai trovata sui giornali. Trump non ha ancora fatto niente ma siamo già ai titoli sulle “deportazioni di massa” traducendo impropriamente il termine “deportations”, che è il termine tecnico legale americano che indica le espulsioni di immigrati irregolari.
Partiamo da un principio: un miliardo di africani, due miliardi tra asiatici e latinoamericani vivono in condizioni di povertà. Sono tre miliardi di persone che migrebbero volentieri verso Stati Uniti, Ue, Giappone, Australia. Quest’ultima ha un’estensione territoriale pari a quella dell’Ue, ma con meno di 27 milioni di residenti (l’Ue ne ha 449 milioni) eppure ha in assoluto le leggi più dure sull’immigrazione. Il Giappone ha fortemente rivisto persino i termini della concessione del diritto di asilo ai profughi di guerra. I migranti economici insomma guardano a Unione europea e Stati Uniti. Noi subiamo la pressione africana e asiatica (da Nigeria, Bangladesh, Costa d’Avorio, Egitto, Senegal, Congo, Pakistan, India, Tunisia e Marocco prevalentemente) mentre gli Usa fronteggiano quella latinoamericana, in particolare dal lunghissimo confine messicano che si estende per più di 3.100 chilometri. Per capirci, l’intera penisola italiana è lunga 1.200 chilometri.
Ora bisogna decidere cosa fare, date queste oggettive condizioni. La proposta più semplice da sostenere, quella che fa apparire subito “buoni”, è: accogliere tutti. Ci sono tre miliardi di poveri che bussano alle porte di casa nostra dai Paesi meno evoluti dei nostri? Bene, bisogna farli entrare. Basta ragionare un istante e si capisce che non si può fare. Quindi la retorica dell’accoglienza va subito a farsi benedire. Non possiamo accogliere tre miliardi di stranieri poveri, non possiamo accoglierne trecento milioni e neanche trenta milioni. Possiamo regolare dei flussi di immigrazione legale e controllata, così entrano in Ue e negli Stati Uniti un paio di milioni di persone all’anno che mirano a restare. Così facendo in Italia ad esempio si è formata negli anni una presenza di oltre cinque milioni di stranieri residenti, con altri milioni che hanno ottenuto la nostra cittadinanza. Ci sono poi circa mezzo milione di immigrati clandestini, ogni anno vengono firmati circa 40mila decreti di espulsione, l’anno scorso sono sbarcate illegalmente sulle nostre coste 145.898 persone, quest’anno ad oggi altre 57.911. Siamo il Paese Ue con il maggior sbarco di clandestini, il 90% dei decreti di espulsione non viene reso esecutivo. L’Ue paga poi la Turchia di Erdogan con svariati miliardi di euro per trattenere sul suo territorio in condizioni al limite del disumano 5 milioni di profughi provenienti dai vari contesti critici mediorientali a partire da quello siriano. L’Italia con il ministro del Pd Marco Minniti applicò un modello analogo pagando la Libia che realizzò una serie di campi dì concentramento per trattenere i migranti irregolari in transito, modello poi saltato per via del caos in cui versa il Paese nordafricano.
Insomma, l’immigrazione è il fenomeno più difficile da gestire della contemporaneità e sembra funzionare solo il modello delle regole rigide (vedi Australia e Giappone). Se apri le maglie, come hanno fatto Italia e Stati Uniti negli ultimi anni, i trafficanti di uomini ne approfitteranno e l’immigrazione clandestina provocherà tre effetti certificati: bassa manovalanza per datori di lavoro in nero che potranno così abbattere i salari di alcune mansioni a danno dei ceti medio-bassi; aumento della criminalità e della conflittualità sociale; progressiva percezione di insicurezza da parte della popolazione residente nei quartieri più poveri. Per questo Trump ha vinto a mani basse le elezioni, persino presso i latinos che sono i primi a non volere immigrazione clandestina latinoamericana dal confine messicano perché mina ciò che questo 19% della popolazione americana che neanche parla inglese ha faticosamente conquistato negli anni.
La ricetta di Trump per l’immigrazione clandestina è semplice: applicare i decreti di espulsione, oltre un milione dei quali emessi durante il quadriennio Biden ma mai operativamente realizzati. Sono queste le “deportazioni” di cui leggerete con insistenza sui giornali. Tutti ci provano, persino il cancelliere di sinistra Scholz con gli afghani, nessuno ci riesce su larga scala sapete perché? Perché espellere costa. Ma ne trarrebbe beneficio l’intera comunità: meno criminalità, meno dumping sui salari delle professioni più umili, meno insicurezza e soprattutto un messaggio forte e chiaro ai trafficanti di uomini ai quali verrebbe bloccato l’infame business. Credo che dobbiamo tutti tifare per la ricetta trumpiana e poi applicarla anche in Italia, partendo dall’applicazione di quel 90% di decreti di espulsione che non riusciamo a realizzare. Trump dice di voler usare l’esercito. A me sembra una buona idea.
E l’accoglienza? L’accoglienza è un valore decisivo, ai migranti vanno aperte le braccia ma secondo flussi determinati legalmente che siano costruiti secondo ciò che si può realisticamente fare, stroncando l’immigrazione clandestina gestita da trafficanti senza scrupoli che trasformano la migrazione in un’esperienza disumana a forte rischio morte. Chi ama i fratelli più poveri del pianeta deve odiare l’immigrazione clandestina e solo regole ferree la impediranno. La retorica dell’accogliere tutti, con tre miliardi di potenziali migranti, è insopportabile perché profondamente ipocrita e tutte le esperienze concrete lo hanno provato. Ora Trump anche su questo terreno può essere un game changer, come sulla questione delle guerre. Altro che “deportazioni di massa”, dobbiamo sperare che possa offrire al mondo un modello applicabile di gestione dell’immigrazione clandestina, per il bene di tutti e soprattutto dei più poveri.