Gli intellettuali, oggi, si sono adattati alla direzione del vento come foglie morte
di Alain de Benoist - 18/11/2024
Fonte: Primatonazionale
“Quali etichette potrei accettare per definirmi (io, che le etichette le odio)? Uomo di destra di sinistra? Socialista conservatore? Comunitarista? Conservatore di sinistra? Socialista orwelliano? Federalista proudhoniano? Un po’ di tutto questo, probabilmente”. Chi parla è Alain de Benoist e lo fa dalla sua proscrizione personale, una proscrizione intima e spirituale: i tipi di Bietti, all’interno della collana l’Archeometro diretta da Andrea Scarabelli, hanno pubblicato recentemente il testo L’esilio interiore. Quaderni (340 pp.; 24,00€). Il volume segue l’edizione originale francese, pubblicata lo scorso anno, con l’introduzione di Giuseppe Del Ninno e la postfazione di François Bousquet. Un taccuino che diventa appunti scritti, frasi che si inseguono attorno ai temi di questi tempi, attorno al politicamente corretto, alla crisi europea, alla globalizzazione e all’immigrazione. Pensieri individuali che diventano comuni e comunitari in un esilio “di chi vede la politica alla luce delle idee e non viceversa”.
Un monologo a due voci
De Benoist, in Italia è appena uscito il suo ultimo testo L’esilio interiore. Possiamo definire il libro un dialogo a una voce sola?
“Forse sarebbe meglio definirlo un monologo a due voci! Ma mi piace anche l’idea di un dialogo a una voce. All’interno di noi stessi, c’è sempre qualcuno di diverso da noi. Quando ci rendiamo conto che esiste, vogliamo parlargli”.
Camus scrisse: “L’intellettuale è chi sa resistere allo spirito del tempo”. Questo assioma sembra non avere più validità oggi…
“È ancora valido, solo che gli intellettuali sono cambiati. Si sono adattati alla direzione del vento, come le foglie morte”.
“Quando sento parlare italiano, mi sento già meno misantropo”. Il volume, qualora ce ne fosse bisogno, dimostra il suo profondo legame con l’Italia…
“Ci sono molti posti che amo nel mondo, ma l’Italia è (insieme alla Germania) l’unico Paese in cui, quando varco un confine, mi sento a casa. Non chiedetemi di spiegarlo: il cuore ha le sue ragioni che la ragione ignora”.
L’esilio interiore, oltre alle citazioni riportate dell’apolide romeno, ricorda la forma tipica degli aforismi di Emil Cioran…
“Conoscevo bene Cioran e amo i suoi aforismi. Ma il suo esilio interiore era accompagnato da un esilio esteriore, poiché era nato in Romania e morto in Francia. Per me, il mio esilio è interno, in tutti i sensi”.
Alain de Benoist, esce in Italia “L’esilio interiore”
Lei scrive: “Più passa il tempo e più constato che, da un punto di vista politico, la mia vera famiglia spirituale non è Maurras e Joseph de Maistre, né fondamentalmente Bardèche o Brasillach, e ancor meno Gustave Thibon e Pétain, ma Sorel e Proudhon, Eugène Varlin e i comunardi, Christopher Lasch e George Orwell, Pasolini e Walter Benjamin, il sindacalismo rivoluzionario e il movimento operaio”. Un ritorno alle origini del ‘900?
“No, non proprio. È piuttosto un ritorno ad autori del passato che ci parlano del nostro presente e del nostro futuro”.
“L’identità di un popolo è la sua storia. Né più, né meno”. Sembra impossibile, nonostante la crisi dell’Europa e gli abbagli dell’Occidente, fare a meno delle proprie radici…
“Hai ragione, ma devi ancora specificare fino a che punto risalire le radici. Per quanto mi riguarda, risalgono all’Europa protostorica e poi si perdono nella notte dei tempi”.
Prima di lasciarci un’ultima domanda. È veramente convinto, alla maniera di Nietzsche, che i suoi lettori non siano ancora nati?
“Quando sono molto pessimista, penso addirittura che non nasceranno mai”.
Lorenzo Cafarchio