Globalizzazione ultimo atto, ovvero ballando sul Titanic
di Sonia Savioli - 16/07/2022
Fonte: Sonia Savioli
La cosiddetta "globalizzazione" capitalista, cioè la liberalizzazione dei mercati con l'eliminazione delle barriere doganali-fiscali e con l'eliminazione del cosiddetto "protezionismo", che non era altro che la protezione delle proprie economie da parte degli Stati, è stata l'ultima fase di un processo di dominio economico e di competizione economica fondata sullo sfruttamento illimitato e parossistico delle risorse naturali e dei lavoratori. "La libera circolazione delle merci è garantita dall'eliminazione dei dazi doganali e delle restrizioni alle importazioni".
Libera circolazione delle merci ha voluto dire libertà illimitata di sfruttare i paesi poveri, di licenziare nei paesi ricchi.
"In molti paesi del terzo mondo i salari reali negli anni ottanta hanno subito una flessione di oltre il 60 percento" (La globalizzazione della povertà – Michel Chossudovsky)
La globalizzazione si è avviata in maniera "spontanea" negli anni ottanta, quando i capitalisti hanno cominciato a spostare parte delle produzioni nei paesi del terzo mondo, dove la manodopera costava una miseria e non esistevano regole e limitazioni ambientali.
Negli anni ottanta però c'erano ancora poche opportunità per tale sfruttamento, perché vi si prestavano solo una parte limitata dei paesi cosiddetti "sottosviluppati": quelli, e non erano allora la maggioranza, governati dai corrotti burattini dell'Occidente. Inoltre, le benedette barriere doganali, con le loro tasse sulle importazioni, limitavano il vantaggio economico della delocalizzazione.
Poi ci fu il crollo dell'URSS e del blocco socialista europeo, e il venir meno di una sponda economica e politica per i paesi di Africa, Asia, America Latina, oltre che l'apertura allo sfruttamento selvaggio dell'est Europa. Subito dopo, ecco la nascita del mostro: l'Organizzazione Mondiale del Commercio o WTO.
L'Organizzazione Mondiale del Commercio è stato lo strumento basilare della globalizzazione economica, ovvero della eliminazione di ogni ostacolo alla delocalizzazione delle produzioni, allo smantellamento dei poteri statali e delle sovranità nazionali, al dilagare dell'impero capitalista delle multinazionali nei paesi del terzo mondo, all'abbattimento di tutti gli ostacoli posti al globalcapitalismo da tasse e limiti regolatori alle importazioni.
Abbattute le mura delle cittadelle di Africa, Asia, America Latina ed est Europa, anche con il decisivo aiuto di: colpi di stato, invasioni e aggressioni militari, assassinii mirati di capi di stato, ecco che l'orda capitalista ha potuto dilagare in quei paesi, dettandovi le condizioni per lo sfruttamento delle risorse, per i salari e per le leggi sul lavoro.
Dagli anni novanta il saccheggio continua indisturbato e aumenta progressivamente.
Oggi, in Etiopia, un'operaia delle serre olandesi della multinazionale Sher, lavorando nove ore al giorno per sei giorni alla settimana, senza alcuna protezione dai pesticidi irrorati quotidianamente nelle serre, prende un salario corrispondente a 29 dollari al mese. Mentre la Sher, multinazionale olandese, consuma gratuitamente l'acqua delle falde e del lago Ziway, butta i suoi reflui impestati nel lago, avvelenando acque, pesci e bestiame e rovinando pescatori e contadini, e non paga pegno. Non deve nemmeno mettere un depuratore.
Piccolo esempio di globalizzazione, per realizzare la quale globalizzazione in Etiopia la Salini Impregilo ha costruito tre enormi dighe sul fiume Omo, mentre il "democratico" governo etiope deportava centinaia di migliaia di contadini e piccoli allevatori, usando la forza e la violenza, distruggendo villaggi, massacrando. Il fiume Omo e le sue esondazioni cicliche fornivano cibo, vita quotidiana, territori a migliaia di comunità e villaggi. Adesso l'acqua delle dighe fornisce irrigazione a coltivazioni intensive delle multinazionali, elettricità alle città, dove potranno in questo modo svilupparsi le industrie-subappalti delle multinazionali. Piccolo esempio di globalizzazione.
Ma c'era un particolare a cui bisognava porre rimedio: quelle operaie etiopi a paghe da miseria hanno sostituito operai olandesi ben pagati. Così come i bambini pachistani, le donne bengalesi, gli operai rumeni hanno sostituito le nostre operaie tessili, i nostri metalmeccanici, gli operai delle segherie e dei mobilifici, gli impiegati, i tecnici dell'industria, eccetera.
I loro salari miserabili hanno rischiato di eliminare i consumatori.
Il capitalismo del consumismo illimitato, diventato anche capitalismo neoliberista, stava divorandosi le viscere. Distruggeva il lavoro nei paesi ricchi mentre rendeva ancora più poveri gli abitanti del terzo mondo.
Come rimediare?
La soluzione trovata fu il debito allegro. Bassi tassi di interesse, mutui accordati senza guardare troppo per il sottile. Fu questa la scelta di cui le banche centrali si fecero promotrici. La competizione sociale, ormai diventata cultura e sentimento, fece il resto.
Milioni di aziende piccole e grandi decisero di ingrandirsi, di "investire", indebitandosi; milioni di famiglie chiesero mutui per comperare prime, seconde, terze case; per aprire negozi, ristoranti, bar, pizzerie, piccole imprese artigianali, industriali, commerciali, di servizi.
I governi e le amministrazioni pubbliche furono spinti, incentivati politicamente, corrotti monetariamente, per investire in infrastrutture, grandi opere.
I debiti degli Stati, delle aziende, delle famiglie facevano marciare l'economia: edilizia, cemento, bitume, ristorazione, cibi industriali, agricoltura industriale... i soldi giravano, i consumi crescevano.
Le banche trasformavano i crediti in titoli e obbligazioni e li rivendevano, e tutti continuavano felici e contenti. Indebitati, intossicati, inquinati e leggermente arrostiti dal riscaldamento globale ma felici e contenti.
Il primo scossone globale e globalista nel 2008: i debiti non venivano pagati e, allora, il crollo dei titoli subprimes, cioè quei titoli e obbligazioni in cui erano stati trasformati e rivenduti i mutui erogati dalle banche. I primi fallimenti di banche e aziende finanziarie, che seguivano i fallimenti di aziende, piccole e medie imprese, attività commerciali. Lo sgomento. La recessione.
Il globalcapitalismo si accorse di essere in crisi.
"Cosa facciamo stasera, prof?"
"Dobbiamo studiare come continuare a tenere in pugno il mondo, Mignolo".
In una mandria ottusa che corre verso il precipizio liberamente, dato che si ritrova nel tanto auspicato libero mercato del neoliberismo, in cui Stati e politicanti hanno l'unico compito di obbedire e assecondare il globalcapitalismo-libero mercato, chi tenta di fermarsi o deviare viene travolto e calpestato.
Così, l'ottusa mandria del globalcapitalismo, dopo aver calpestato tutti quei capitalisti che non delocalizzavano, non esternalizzavano, non subappaltavano e parassitavano, non corrompevano, ha continuato la sua corsa verso... la crisi economica globale.
Perché, dopo la crisi del 2008, per mantenere vivo il consumismo, non ha saputo trovare niente di meglio che continuare sulla strada dell'aumento dei debiti, con i relativi fallimenti.
Nel 2018 le multinazionali della finanza suonano le sirene d'allarme: prevedono che nel 2020 il pallone gonfiato dell'economia globale scoppierà. Lo scenario per impedire lo scoppio era già stato scelto? Sicuramente era già stato preso in considerazione, dato che lo si trova in un documento ufficiale della Fondazione Rockefeller del 2010: "Scenari per il futuro della tecnologia e dello sviluppo internazionale".
Tra gli scenari possibili per un globalcapitalismo che vuole continuare a svilupparsi all'infinito, o meglio fino alla fine del pianeta, esattamente come un cancro globale, c'era la pandemia in cui siamo ancora immersi, con "... strette regole, restrizioni, obblighi, controlli autoritari..." e "in tutto il mondo... regimi più rigidi". (1)
Perché l'unico modo di continuare a imperare, per un capitalismo che non ha più nulla da offrire ma solo da togliere, è una dittatura.
Solo che non si può imporre con la forza una dittatura che fa gli interessi dell'uno per mille dell'umanità, e che per tutti gli altri, cioè il novantanove e nove per cento, significa restrizioni, miseria, perdita di privilegi per alcuni, di diritti per tutti. Bisognava imporla con l'inganno, con l'ipnosi del ritmo ossessionante dell'apparato mediatico.
Gli scopi?
Ottenere una valanga di soldi dagli Stati, trasformandoli nei sovvenzionatori di tutti gli investimenti necessari alla sopravvivenza del globalcapitalismo; eliminare qualsiasi barriera legale e ambientale che contrasti gli interessi delle multinazionali; eliminare la concorrenza delle piccole e medie attività di ogni tipo; attuare una trasformazione tecnologica che elimini i lavoratori dipendenti, sostituendoli con macchine cibernetico-digitali e, nello stesso tempo, permetta un controllo totale sulla popolazione, attraverso l'eliminazione del contante, l'obbligo di utilizzare strumenti digitali in tutte le attività istituzionali ed economiche, e la presenza su tutto il territorio di strumenti di controllo digitale come videocamere e droni, il tutto naturalmente veicolato dal sistema 5G.
In una parola, quella che il capitalismo e i suoi distopisti chiamano "La grande ristrutturazione" del capitalismo o "Great Reset".
Sta funzionando?
Dipende dai punti di vista. Intanto, il debito globale, che nel 2020 ammontava a 226.000 miliardi di dollari, è arrivato nel 2021 a 303.000 miliardi di dollari. A quando lo scoppio?
La dittatura è sempre stata la risposta del capitalismo alle sua crisi economiche a politiche, ma quest'ultima dittatura doveva essere accettata volontariamente da popoli inebetiti dal terrorismo pandemico, perché era impossibile imporla altrimenti.
Tuttavia, quando può durare l'inganno, di fronte all'evidenza che lo sconfessa?
Quanto all'eliminazione della forza-lavoro, cioè di uomini e donne necessari alla produzione e al suo indotto, è il sogno da sempre perseguito dal capitalismo e al cui scopo è finalizzato il "progresso" tecnologico.
Ma, ancora una volta, eliminando i lavoratori dei settori "avanzati", si eliminano i consumatori.
Per quanto tempo i soldi degli Stati elargiti alle imprese private potranno sostituire quelli dei popoli consumatori?
Forse bisogna rassegnarsi al fatto che è impossibile ristrutturare un sistema marcio e fatiscente. Solo un delirio di onnipotenza poteva condurre a crederlo. La competizione e l'avidità senza regole e freni selezionano i peggiori al vertice. Sanciscono la vittoria della follia.
Le migliaia di miliardi stanziati da Stati e superstati come l'Unione Europea, e rovesciati nei forzieri di multinazionali e grandi industrie, stanno creando un'inflazione che ha pochi precedenti, che determinerà contrazioni dei consumi, altre valanghe di fallimenti e chiusure.
L'eliminazione di tutte le barriere regolatorie per la sperimentazione e la messa in commercio di farmaci ha permesso alle multinazionali del farmaco risparmi e guadagni stratosferici ma sta facendo crescere, con il suo corollario di morti e malattie indotte da farmaci, sfiducia e diffidenza verso la medicina "ufficiale" e verso il criminale sistema medico-farmaceutico-sanitario finalizzato al profitto.
Le privatizzazioni dei beni pubblici, che la dittatura pseudosanitaria sta permettendo senza che ci sia alcuna opposizione, darà poco profitto in paesi impoveriti e indebitati, la cui economia andrà in malora come mai prima.
Cosa resterà dopo il saccheggio? Non certo quella distopica e raffazzonata "ristrutturazione del capitalismo" progettata dai globalisti e dai loro ottusi centri di studio.
Resterà invece l'ennesima, ulteriore, abnorme degradazione del pianeta e della società umana.
Mentre la catastrofe ambientale e climatica, verso la quale ci stiamo dirigendo a tutta velocità, richiederebbe una vera rivoluzione: economica, sociale, culturale, spirituale; un cambiamento radicale di trasformazione profonda, che ci faccia ritornare all'essenza dell'umanità, a quei valori che ci legano alla vita naturale e a tutti gli esseri viventi e i fenomeni del pianeta in cui dovremmo essere grati di vivere.
Richiederebbe dialogo e collaborazione, uguaglianza e solidarietà, riflessione e confronto.
Richiederebbe la disintegrazione del capitalismo, la fine della globalizzazione, il ritorno a un'economia locale e nazionale di autosufficienza.
Richiederebbe di riallacciare quei legami con la natura, col territorio, con le sue caratteristiche e con tutti gli altri esseri viventi che lo abitano, di ogni specie e regno, che sono invece distrutti o minacciati dalla società di conflitto, rapina, avidità competitiva in cui viviamo.
Richiederebbe una acquisizione di responsabilità e conoscenza che renda chiaro ad ognuno le conseguenze di ogni sua scelta, di ogni suo comportamento.
Richiederebbe di conformare tutta l'economia e la società all'obiettivo di riparare, ritessere quelle trama della vita che la società capitalista e industriale ha distrutto in gran parte, che la globalizzazione e la società dei consumi stanno finendo di distruggere.
Distruggendo anche i legami di amore, compassione, immedesimazione tra tutti noi e tra noi e gli altri esseri viventi.
Se non saremo in gradi di attuare in breve tempo questa rivoluzione, continueremo a ballare frenetici mentre il Titanic, col suo equipaggio di mentecatti globalcapitalisti, trascinandoci tra guerre e grandi opere e più che mai energivore e inquinanti transizioni energetiche e cibernetiche, si avvia a sfracellarsi contro l'iceberg del degrado ambientale e del riscaldamento atmosferico.
L'uomo non ha tessuto la trama della vita, in essa egli non è che un filo. Qualsiasi cosa fa alla trama la fa a sé stesso. (Capo Seattle)
1)https://www.academia.edu/43023323/Scenarios_for_the_Future_of_Technology_and_International_Development