Hanno fatto il deserto e l’hanno chiamato globalizzazione
di Rosanna Spadini - 13/11/2019
Fonte: Comedonchisciotte
Mentre siamo presi da callido ardore verso gli oligarchi della Silicon Valley, che ammiriamo come novelli redentori, coloro che ci avrebbero fornito dei presunti mezzi di produzione e del lavoro (pc, tablet, stamp3D…), immersi nella sharing economy e illusi (o collusi) di essere proiettati in una sorta di oltremondo post capitalista… sta procedendo sotto i nostri occhi la deindustrializzazione del tessuto economico italiano. Ignari però della natura camaleontica del capitalismo, sia esso produttivo o finanziario, che muta continuamente aspetto, perché mutano le condizioni predatorie, pur sempre al servizio dell’estensione massima del proprio profitto e della propria produttività.
Il sistema produttivo non serve più al capitalismo finanziario, che ormai guadagna molto più dalla speculazione che dall’industria, soprattutto in un mondo globalizzato, dove la più grande fabbrica mai concepita è il web, la più grande società di massa individualizzata della storia, dove ognuno è diventato un apparente capitalista di se stesso, nella nuova divisione internazionalizzata del lavoro, entro un inedito fordismo generalizzato.
Processo di deindustrializzazione governato dall’ordoliberismo, la politica economica espressa dall’Europa dell’austerity, del fiscal compact, delle riforme strutturali per il potenziamento del capitalismo, ma destrutturanti per la società, la democrazia e i diritti civili, politici e sociali… ad immagine e somiglianza di August von Hayek e la Scuola di Friburgo, con una mano più o meno invisibile che lascia piena libertà di movimento ai mercati, i quali, come ci ha spesso ricordato il presidente Mattarella: “Possono far bene o male, ma hanno sempre ragione”.
L’evoluzione ha provocato naturalmente da tempo uno scontro tra due poteri, da una parte gli europeisti/globalisti, espressione dell’aristocrazia finanziaria, che sfrutta, dissangua, spreme e impoverisce, dall’altro i sovranisti, che vogliono riprendersi la propria identità e sovranità. Poco importa che i diversi sovranismi siano veri o presunti, importa invece ritagliarsi una buona fetta di elettorato da parte di entrambe le fazioni politiche, in questo gioco al massacro che sta sgretolando lo Stato Nazione, ridotto a livelli da obitorio.
Dominante anche in UE, un organismo sovranazionale, unione monetaria e non politica, ampiamente antidemocratico, dove esiste un Parlamento che non legifera (caso unico al mondo), una moneta che gli stati non possono stampare (caso unico al mondo), un regime di austerity, in cui governa una banca privata, Bce, che somministra finanza alle banche ad libitum, presso le quali gli stati dovranno rifornirsi, vendendo i propri titoli di stato, su cui naturalmente graveranno grossi interessi per il sistema bancario (da qui il debito pubblico, che non potrà mai diminuire).
Di conseguenza l’attuale UE è il massimo della mistificazione della democrazia, che per alcuni versi riporta ad un fascismo internazionalizzato o meglio denazionalizzato, dove lo Stato Nazione è costretto a confluire nel grande contenitore plutocratico, dove esistono paradisi fiscali (Olanda, Lussemburgo, Irlanda, Malta), in cui le multinazionali si rifugiano per eludere miliardi di tasse (mentre da noi si fa la guerra ai piccoli commercianti rovinati da un ventennio di crisi).
In un contesto in cui uscire dall’UE è assolutamente vietato (i trattati non lo prevedono, guarda caso), e l’impossibilità della Brexit più l’ostracismo per i dissidenti dimostrano il conflitto in atto, s’innesta la Commissione Segre, il cui statuto (europeista/globalista) è formulato in termini vaghi, soggettivi e discrezionali (… intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza nei confronti di persone o gruppi sociali sulla base di alcune caratteristiche quali l’etnia, la religione…), in modo che essa possa censurare e reprimere soprattutto la divulgazione di informazioni e analisi obiettive che possano frenare il processo di desertificazione in atto.
Il totalitarismo neoliberista è onnipervasivo, egemonizza l’intrattenimento, i media, la cultura e la stessa ingegneria sociale (vedi il fenomeno Greta). Non è sostanzialmente diverso da altri totalitarismi, perché deve reprimere la libertà di espressione, di professione, i diritti sociali e civili, così da impoverire il tessuto economico e industriale (vedi ArcelorMittal, Almaviva, Whirpool, Mahle…) del morente Stato-Nazione, unico organo nella storia che ha generato, alimentato, nutrito, sostenuto la democrazia.
Gli stati uniti d’Europa non potranno mai sorgere in un Unione costruita ad uso e consumo della Germania, che si è fatta una moneta sottostimata per il marco, che ha fatto negli ultimi 20 anni un surplus commerciale superiore a quello cinese, mettendo in difficoltà non solo gli stati del sud, Piigs (maiali), ma anche e addirittura gli Usa.
Da tempo ArcelorMittal intende ridurre la propria produzione d’acciaio in Europa, e dopo aver ridimensionato le produzioni degli stabilimenti polacchi e spagnoli nelle Asturie, ora sta pensando all’Ilva di Taranto, dato che la crisi dell’auto ha colpito duro i volumi di vendita, mentre l’import da mezzo mondo ha fiaccato non poco la capacità competitiva dell’acciaio europeo.
Da parte sua Arcelor lamenta come vaga e contraddittoria la posizione dell’UE in materia d’acciaio, per aver di fatto aperto le proprie porte a produttori protetti nei loro paesi, che hanno garantito il loro gigantismo mondiale proprio alle loro politiche protezioniste. L’acciaio turco dilaga, insieme a quello ucraino e quello cinese, mentre gli export degli ultimi anni rallentano per le incertezze economiche e per quelle politiche.
Nell’immediato dopoguerra l’ex partigiano Enrico Mattei fu incaricato dallo Stato di smantellare l’Agip, creata nel 1926 dal regime fascista, però invece di seguire le istruzioni del Governo, riorganizzò l’azienda, fondando nel 1953 l’ENI, di cui l’Agip divenne la struttura portante. Mattei diede un nuovo impulso alle perforazioni petrolifere nella Pianura Padana, avviò la costruzione di una rete di gasdotti per lo sfruttamento del metano e aprì all’energia nucleare. Sotto la sua presidenza l’ENI negoziò rilevanti concessioni petrolifere in Medio Oriente e un importante accordo commerciale con l’Unione Sovietica, iniziative che contribuirono a rompere l’oligopolio delle ‘Sette sorelle’, che allora dominavano l’industria petrolifera mondiale.
Al contrario nel 1993 quando Romano Prodi diventò Presidente dell’Iri, gli affidarono il compito di privatizzare l’industria pubblica italiana, compresa l’Italsider, che includeva l’Ilva. Come Mattei, Prodi disse di sì, ma il patrimonio pubblico italiano lo vendette davvero. Iniziava l’era delle privatizzazioni, inaugurate l’anno precedente da Mario Draghi sul Britannia, per liquidare, cedere a interessi privati multinazionali, alcuni dei patrimoni industriali e bancari più prestigiosi del nostro paese.
L’obiettivo vero dell’ordoliberismo è quello di socializzare il mercato, di farlo penetrare appunto negli altri ordini dello stato e di subordinare ad esso l’intera società, così che debba conformarsi completamente alle sue regole. Non si tratta dunque di democratizzare il capitalismo, quanto di renderlo costitutivo dell’antropologia sociale. Dove lo stato deve restare sotto la sorveglianza del mercato, anziché viceversa.
Lo stato non certo inteso come arbitro tra capitale e lavoro, non certo quello del New Deal di Roosevelt, come imprenditore pubblico che fa ciò che il capitalismo non sa o non vuole fare o quello delle politiche keynesiane.
Ed oggi l’ordoliberismo della società globale dilaga in una mera economia della sopravvivenza, secondo il modello Airbnb e Uber e grazie alla crescente uberizzazione del lavoro, che ha causato tali sperequazioni economico sociali da provocare proteste in tutto l’occidente, dai Giles Jaunes francesi al fiume di persone riversatosi nelle strade di Santiago del Cile, culla del neoliberismo di Milton Friedman degli anni ’70.
Tutto negli ultimi anni è stato ordoliberismo, Mario Monti si autodefiniva ordoliberale, Draghi lo ha detto di se stesso e della Bce (“La costituzione monetaria della Banca centrale europea è saldamente ancorata ai principi dell’ordoliberalismo”), Renzi lo è stato con il JobsAct, e quando Sergio Marchionne portò la Fiat all’estero, lui disse: “La globalizzazione è una risorsa”.
Invece di difendere la nostra economia dagli squali, l’abbiamo data loro in pasto. Ed ora si prospetta l’assurdità di un Mario Draghi prossimo Presidente della Repubblica.
Da tempo membro di un club esclusivo e discreto, il Gruppo dei Trenta, un gruppo di trenta decisori super-influenti sul denaro e sul potere. Accanto a lui un numero sorprendentemente alto di funzionari o ex funzionari della finanziaria americana Goldman Sachs. Poco adatto dunque secondo la Tv pubblica tedesca a ricoprire incarichi pubblici.
Facciamo quindi un applauso ai volenterosi sicari della democrazia e del benessere degli italiani, oscenamente responsabili del massacro dell’industria italiana e della nomina della volpe a guardia del pollaio.