I dazi di Trump: minaccia o opportunità per l’Europa?
di Luigi Tedeschi - 20/03/2018
Fonte: Italicum
Debole reazione europea alla minaccia dei dazi voluti da Trump: una Europa ventre molle dell’Eurasia
Protezionismo trumpiano: riaffermare la leadership mondiale americana
Donald Trump può essere un angelo o un demone, ma l’unica realtà oggettivamente constatabile è quella di una Europa che, alle soglie ad una potenziale guerra commerciale americana, resta genuflessa dinanzi agli USA, invocando la grazia dell’esenzione dai programmati dazi americani.
Sono noti i vaniloqui isterici del gotha degli economisti liberal che, quali teologi della globalizzazione economica, denunciano l’eresia protezionista trumpiana. Introdurre i dazi, è come compiere un sacrilegio negazionista del dogma neocapitalista del libero mercato globale. Il protezionismo infatti provocherebbe una guerra commerciale distruttiva con danni enormi alla economia globale e in primis agli USA. I dazi comporterebbero il rincaro di tutti i beni colpiti dazi e costituirebbero un ostacolo alla libera concorrenza. Pertanto, si invoca si invoca il giudizio del tribunale dell’inquisizione mondiale del WTO, detentore ortodosso della dottrina liberal della concorrenza globale, che dovrebbe condannare gli USA e imporre loro sanzioni. Vi immaginate il WTO sanzionare ed emarginare gli USA dal commercio mondiale? Fantapolitica ai confini della realtà, anzi ben oltre la realtà.
Ma forse non si è compreso abbastanza che in un mondo globalizzato esiste una superpotenza dominante, quali sono gli USA, che hanno imposto il mercato globale onde abbattere le barriere commerciali e quindi conquistare i mercati e destrutturare politicamente interi continenti attraverso il dilagare del debito e le conseguenti politiche di austerity. L’imperialismo economico e quello politico degli USA avanzano su binari paralleli. Oggi, dato che i paesi emergenti hanno oscurato il primato americano, i dazi divengono lo strumento per la riaffermazione della leadership mondiale statunitense.
Le crisi americane le scontano da sempre gli alleati
I dazi e la politica protezionista americana non sono eventi futuribili, ma sono elementi costanti nella politica economica degli USA, sotto qualsiasi presidenza. Infatti, nelle trattative per l’istituzione del libero mercato transatlantico (TTIP), poi naufragate, emerse il veto europeo all’importazione di carni americane contenenti fitormoni. L’America reagì imponendo dazi sull’export europeo, che penalizzarono il made in Italy. Già Obama impose dazi sulle importazioni dalla Corea del Sud.
Trump vuole imporre dazi del 25% sull’import dell’acciaio e del 10% su quello dell’alluminio. Le conseguenze di tali misure protezioniste sarebbero per l’Europa assai rilevanti. L’Europa sarebbe costretta, perdendo rilevanti quote di export verso gli USA, a ridurre la produzione siderurgica di oltre 10 milioni tonnellate: verrebbero meno 20.000 occupati nel settore sugli attuali 320.000. Inoltre, potrebbero prodursi altri effetti negativi per l’Europa legati alla contrazione dell’export di paesi terzi verso gli USA. Tali paesi (in primis la Cina), potrebbero compensare il decremento dell’export in America dirottando le proprie esportazioni verso l’Europa, per un ammontare stimato in 36 milioni di tonnellate (30 miliardi di dollari), esponendo l’Europa ad una ulteriore compressione della produzione e a deficit commerciali.
E’ tuttavia imputabile all’Europa il fatto di non aver messo in atto fino ad oggi adeguate misure di salvaguardia al fine di contrastare la concorrenza selvaggia dell’import dai paesi asiatici.
In Italia i dazi americani inciderebbero per circa un miliardo l’anno. La nostra bilancia commerciale nei rapporti con gli USA nel 2017 ha registrato un attivo di 25 miliardi. Ma la maggiore preoccupazione per il settore siderurgico è costituita soprattutto dalla concorrenza selvaggia che l’Europa potrebbe subire per il riversarsi dell’export asiatico nei mercati europei. Si ipotizza che l’afflusso di importazioni cinesi potrebbe provocare un ribasso dei prezzi intorno al 35% per i prodotti siderurgici. Nella siderurgia siamo i secondi esportatori europei negli USA, dopo la Germania. Sarebbe inoltre gravemente colpito il settore farmaceutico, in cui l’Italia è il primo paese europeo esportatore negli USA. I dazi colpirebbero inoltre il settore tessile, quello dell’arredamento – design che già sconta dazi del 12%.
La politica protezionista di Trump ha lo scopo di ridurre il deficit commerciale USA (specie con l’Asia), e incentivare, anche attraverso i tagli fiscali, il ritorno in patria della produzione americana delocalizzata. I popoli dell’Occidente hanno scontato i costi sociali dell’avvento della globalizzazione sia in termini di deficit commerciale che di disoccupazione. La politica protezionista americana esporrà tuttavia gli USA alle contromisure che i paesi esportatori adotteranno nei confronti dell’export americano.
Trump ha giustificato la politica dei dazi, facendo leva su esigenze legate alla sicurezza nazionale. Infatti, l’industria degli armamenti richiede largo impiego di acciaio ed alluminio, che vengono importati in larga parte dall’estero. E pertanto, trovandosi gli USA in una condizione di dipendenza verso i paesi esportatori, secondo Trump, gli Stati Uniti potrebbero non essere in grado di garantire la propria difesa in caso di conflitto armato.
Occorre tuttavia rilevare che i principali paesi esportatori di acciaio e alluminio negli USA sono paesi alleati. Verrebbero infatti esentati dai dazi Messico e Canada, già partners commerciali degli USA nell’area nordamericana di libero scambio del NAFTA. E’ comunque in corso una revisione del NAFTA e gli USA hanno posto come condizione per la concessione della esenzione di Messico e Canada dai dazi, che le trattative per la riforma del NAFTA si concludano con successo, cioè con esito favorevole agli Stati Uniti.
Gli altri stati, anche quelli della NATO, potrebbero essere esentati dai dazi, quali “paesi amici”, nel senso che dovrebbero dimostrare che le loro esportazioni non costituiscano una minaccia per la sicurezza degli USA. L’amicizia con gli Stati Uniti potrebbe essere dimostrata mediante il rispetto della clausola imposta dalla NATO che prevede l’investimento negli armamenti da parte di ciascun paese membro di una quota del PIL pari al 2%. Né l’Italia né la Germania rientrano in tali parametri e quasi nessuno in Europa. Potrebbero inoltre essere esentate quelle merci la cui mancata importazione danneggerebbe le imprese americane, non essendovi una “adeguata produzione domestica”. Situazione tutta da verificare.
In realtà gli USA vogliono ripristinare il loro primato mondiale a discapito degli alleati. Questa politica commerciale aggressiva è in perfetta continuità con la politica economica e militare americana, che ha posto gli alleati in condizione subalterna. Possiamo citare la fine degli accordi di Bretton Wood voluta da Nixon all’inizio degli anni ’70, che ha comportato la non convertibilità tra dollaro e oro. Da allora l’economia mondiale fu condizionata dalla libera fluttuazione del dollaro, quale valuta di riserva mondiale. La politica degli alti tassi di interesse messa in atto da Regan, che incise gravemente sul debito dei paesi europei. Gli Stati Uniti hanno devoluto i costi delle loro crisi sull’Europa e sui loro alleati nel mondo. La politica di potenza americana è rimasta di fatto incontrastata in Occidente.
Una Europa ventre molle dell’Eurasia
Sono state annunciate dalla UE, pur timidamente, misure di ritorsione nei confronti delle importazioni americane per un valore di 2,8 miliardi di euro. La condizione di totale subalternità dell’Europa agli USA appare evidente. La UE si trova ad essere minacciata nei settori strategici della propria economia dall’imposizione dei dazi americani sulle sue esportazioni, mentre il suo commercio estero risulta penalizzato dalle sanzioni economiche alla Russia imposte dagli USA (con l’avallo della UE), in occasione della guerra in Ucraina.
L’Europa si ritrova ad essere stretta nella morsa del conflitto geopolitico tra gli Stati Uniti e la Russia: l’Europa è il ventre molle dell’Eurasia.
L’Europa ha demandato la propria sicurezza agli USA in cambio della cessione della propria sovranità: questo è il prezzo della sua alleanza subalterna nella NATO. In questi giorni, in occasione dell’avvelenamento di una ex spia russa in Gran Bretagna, si è ripetutamente affermato che Putin avrebbe avuto il “merito” indiretto di aver ricompattato l’unità dell’Occidente nella geopolitica anglo – americana antirussa. Ma non sarà stato l’Occidente, con la propria aggressività antirussa ad aver invece favorito il rafforzamento del nazionalismo russo che ha determinato una nuova riconferma plebiscitaria di Putin alla presidenza russa?
Le responsabilità di Putin nell’attentato sono tutte da dimostrare. Eppure l’Europa non è stata in grado neppure di porre come condizione al suo assenso alla politica aggressiva dell’Occidente contro la Russia, la cessazione di ogni politica commerciale americana ostile all’Europa.
Guerra commerciale americana: una minaccia o una opportunità per l’Europa?
Il protezionismo americano potrebbe sortire effetti del tutto contrari alla politica di dominio economico americano. Il decremento dell’export europeo verso gli USA potrebbe infatti rappresentare l’incentivo a potenziare gli investimenti nelle infrastrutture interne nei paesi europei. Il mercato interno europeo potrebbe infatti riassorbire le quote di mercato perdute dall’export americano. Il mercato mondiale non è più dipendente come nel ‘900 dall’economia americana e pertanto, l’export americano potrebbe essere compensato dalla diversificazione delle esportazioni in altri mercati senza eccessivi danni.
Per quanto concerne l’industria degli armamenti, l’Europa non ha mai realizzato il pluridecennale progetto di difesa comune. Tali investimenti, oltre che necessari sul piano strategico e della sicurezza contro la minaccia terroristica, costituirebbero un rilevante incentivo allo sviluppo economico europeo, dato il ruolo trainante di tali investimenti.
L’Italia ad esempio, come rilevato nel 2017 dalla Corte dei Conti, ha sopportato oneri eccessivi per l’acquisto degli F35 dalla azienda produttrice, l’americana Lockheed Martin, nel contesto della “Partecipazione italiana al Programma Joint Strike Fighter F35 Lightning II”: 3,5 miliardi di euro fino a fine 2016 e più di 600 milioni ulteriori previsti nel 2017. L’efficientamento di tali velivoli, richiede inoltre una ulteriore spesa di 40 milioni per ogni aereo da parte dell’Italia. E’ evidente che l’Italia in un programma integrato europeo potrebbe finanziare la propria difesa con effetti benefici sull’economia e sull’innovazione tecnologica.
Con l’avvento della politica protezionista trumpiana emergono chiaramente i deficit strutturali su cui è stata impostata la costruzione della UE. Si è imposta, con l’influenza dominante della Germania, una politica economica basata sull’export e dei surplus commerciali, con la contemporanea compressione degli investimenti e dei consumi interni Oltre alla messa in atto di politiche di accentuata decrescita salariale, in nome della competitività sui mercati. Pertanto una guerra commerciale imposta dagli USA, potrebbe determinare una crisi sistemica dell’Europa, con il suo epicentro in Germania, paese che sarebbe maggiormente colpito. Senza che l’Europa sia in grado di opporre alla aggressività americana le contromisure necessarie .
L’Europa inoltre non è in grado di porre in atto programmi di riconversione industriale e commerciale atti a fronteggiare crisi che crisi che colpiscano alle fondamenta le strutture di un sistema economico già rivelatosi fragile, in specie per quanto concerne il settore bancario, in occasione della crisi del 2008.
Una crisi potrebbe però, dato anche il dilagare del dissenso populista in Europa, comportare la messa in discussione di una UE dalla struttura oligarchico – finanziaria costruita a danno degli stati e dei popoli.