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I figli ora capiscono di aver bisogno di un testimone, il padre

di Massimo Recalcati - 30/10/2016

I figli ora capiscono di aver bisogno di un testimone, il padre

Fonte: La Repubblica



«Ciò che irrompe nelle nuove narrazioni non è il padre, ma la mancanza del padre». Da tempo lo psicanalista Massimo Recalcati si interroga sulle conseguenze di quello che Jacques Lacan chiamava l’evaporazione del padre: la scomparsa della Legge, il tramonto dell’autorità. Per lui non si tratta di una eclissi temporanea, ma di un fatto ormai avvenuto, strutturale e insuperabile.
Chi è dunque il padre che torna al centro della scena letteraria e cinematografica?
«Di sicuro non è il padre-padrone, il padre-Dio, il padre-bussola che ha l’ultima parola sul senso della vita e guida in modo infallibile i propri figli. In Occidente questa figura si è esaurita dopo il trauma virtuoso del ’68. Solo i fondamentalisti cercano di recuperare quella immagine attraverso il Dio folle che comanda la morte dell’infedele riabilitando una rappresentazione padronale della paternità».
Cosa significa “evaporazione del padre”?
«È una espressione che Lacan usava per spiegare come le contestazioni giovanili del ‘68 avessero demolito l’autorità simbolica del padre nella vita della famiglia e in quella della società. La sua previsione era che il vuoto lasciato dal padre venisse colmato dal carattere feticistico delle merci, dall’oggetto di consumo. Era una previsione corretta».
Con quali conseguenze?
«La funzione del padre in psicoanalisi è quella di testimoniare che la vita umana è attraversata dal limite mentre per il discorso del capitalista tutto è possibile: acquistare, consumare, evitare la morte. In Italia lo sappiamo bene: il ventennio che ci siamo lasciati alle spalle ha visto la degenerazione dell’idea di paternità. Uomini afflitti dalla sindrome di Peter Pan, eterni ragazzi che diventano compagni di gioco dei figli, padri ridotti a pupazzi…».
Dobbiamo avere nostalgia della stagione precedente?
«No. Dobbiamo distinguere il ritorno nostalgico del padre-padrone, la cui espressione più drammatica sono i fondamentalismi di vario genere, dalla giusta esigenza che la vita ha di liberarsi dai padri. Ma il lutto del padre è complicato, non si può solo rifiutare il padre. L’odio verso i padri ostacola la vita dei figli, non libera affatto dalla sua ombra. Per liberarsi dal padre bisogna riconoscere il suo valore».
Nei libri e nei film sembra che i padri vengano convocati dai figli per un dialogo, una resa dei conti, un’alleanza. Che cosa si sta evocando?
«Quello che resta del padre nel tempo della sua evaporazione non è il padre-padrone e nemmeno il padre-perverso, ma il padre- testimone. I figli hanno bisogno di testimoni che dicano loro non qual è il senso dell’esistenza, bensì che mostrino attraverso la loro vita che l’esistenza può avere un senso. Un esempio è Papa Francesco: a differenza dei suoi predecessori non rappresenta il padre glorioso simbolo di Dio in terra o l’infallibilità della dottrina, ma è un padre che non teme la sua povertà».
Il concetto di paternità quanto ha a che fare con la biologia?
«Generare un figlio non è essere un padre, ma accogliere la responsabilità che la nascita di un figlio comporta. Nel dibattito pubblico questo concetto viene spesso dimenticato. Ricordo le polemiche che si sono scatenate dopo la scelta di Nichi Vendola e del suo compagno di diventare genitori. Ho dei dubbi sulla maternità surrogata. Ma da una parte c’era una coppia che si amava e aveva deciso di avere un figlio, dall’altra c’erano persone che criticavano quella scelta avendo seminato figli nel mondo senza mai occuparsene. Da un lato una paternità biologica senza responsabilità etica, dall’altra una paternità extra biologica fondata su una responsabilità etica».
La scomparsa del padre ha tra le sue conseguenze la nascita di una inedita figura di figlio che lei ha descritto nel saggio “Il complesso di Telemaco”… «Il tempo dei nostri figli è il tempo di Telemaco che non è solo una figura della nostalgia. Telemaco è il figlio giusto che ha il coraggio di mettersi in moto, di compiere il proprio viaggio. È il viaggio del figlio che rende possibile il ritorno di Ulisse. Per questo ho ribattezzato la generazione di oggi, “generazione Telemaco”. Se i padri non hanno lasciato niente ai figli, tocca ai figli fare il viaggio, diventare eredi, interpretare in modo nuovo quello che hanno ricevuto. Anche se non hanno ricevuto Regni ma solo debiti! Da questo punto di vista possiamo dire che nelle nuove narrazioni irrompe anche e soprattutto una nuova figura di figlio».