I Minibot, la rana e lo scorpione
di Roberto Pecchioli - 13/06/2019
Fonte: Ereticamente
La reazione del potere finanziario, sostenuto dai settori mediatici, accademici e politici di servizio, alla possibile emissione dei cosiddetti Minibot somiglia all’antica favola della rana e dello scorpione. L’aracnide dal pungiglione velenoso doveva attraversare un torrente e chiese alla rana di trasportarlo sul dorso. Prudente, questa rifiutò, temendo di essere punta durante il tragitto. Rassicurante, lo scorpione osservò che non avrebbe potuto pungerla senza morire a sua volta annegato. Convinta dall’argomento, la rana decise di accogliere l’insetto, il quale, però, a metà del guado, la trafisse. Prima di morire, l’anfibio chiese allo scorpione il motivo del suo assurdo comportamento. La risposta fu semplice: è nella mia natura.
Lo scorpione punge ed avvelena, il potere finanziario vuole, per sinistro istinto di onnipotenza, possedere tutto, controllare tutto. E’ indifferente alle sorti dell’economia, delle persone, dei popoli, degli Stati. Regna assiso sulle montagne di denaro (virtuale) che crea dal nulla. Ha vinto la partita dagli anni 80 del secolo passato, un pesante cappotto ai danni di tutti, cittadini privati, imprenditori, produttori, poteri pubblici, sottraendo agli Stati l’emissione monetaria, decretando di fatto la fine della loro sovranità. Gli uomini del denaro detengono le chiavi del potere e non intendono cedere di un millimetro. E’ nella loro natura, che importa se segano il ramo su cui essi stessi sono seduti, che importa se presto regneranno sul deserto.
La risposta di Mario Draghi alla possibilità di far circolare i minibot è stata la seguente: o sono altra moneta, e sarebbe illegale, o sono altro debito, e allora il debito sale. La seconda affermazione, corollario della prima, sarebbe vera se i minibot fossero valuta. Draghi è troppo esperto per non sapere di mentire, ma è nella sua natura, come lo scorpione. Cerchiamo allora di vederci chiaro. Il primo equivoco, alimentato dagli inventori, nasce dal nome. I minibot, infatti, non sono buoni del Tesoro, ma titoli di pagamento da emettere in formato cartaceo in tagli uguali a quelli della banconota euro, dal valore pari a quello della valuta comune, da erogare a saldo di debiti già contabilizzati dalla pubblica amministrazione. Tutto nasce dall’enorme somma che le amministrazioni pubbliche devono ai loro fornitori: si tratta di almeno trenta miliardi, più probabilmente cinquanta o più.
Da un problema, insegna la dogmatica liberale, bisogna trarre un’opportunità, tanto più in una situazione in cui non si fallisce per debiti, ma per crediti. L’idea è di soddisfare i creditori attraverso certificati da emettere in quantitativi non superiori all’avanzo di bilancio al netto degli interessi sul debito pubblico, impegnando lo Stato ad accettarli a pagamento di tasse ed imposte future. Sembra una partita di giro, ma non è così, poiché, come ricorda un grande economista non conforme, Nino Galloni, si tratta di dare luogo all’erogazione. E’ dunque un’immissione di liquidità, pagando il dovuto ai creditori con un mezzo, per così dire, creativo, in grado di circolare e alimentare il sistema. I minibot sono la cartolarizzazione in forma nuova di debiti esistenti, che lo Stato ha contratto nell’ambito del pareggio di bilancio di cui all’articolo 81 della Costituzione.
I destinatari iniziali potranno utilizzarli per effettuare normali acquisti sul mercato. Pensiamo a un’impresa edile che ha in mano diecimila euro in minibot a saldo dei lavori eseguiti. Se prevede solo di versarci le tasse di domani, il cerchio si chiude senza vantaggi per alcuno, ma se paga il cemento al fornitore con il nuovo titolo è come se circolasse denaro, quella liquidità che manca ed asfissia l’economia reale. A sua volta, il ricevente potrà regolare nello stesso modo i suoi pagamenti e così tutti noi.
Il meccanismo potrà funzionare per due ragioni note anche agli studenti: un mezzo di pagamento viene accettato se chi lo riceve prevede di poterlo a sua volta utilizzare. La circolazione monetaria è un fatto essenzialmente fiduciario; nella fattispecie, l’impegno dello Stato ad accettare il pagamento delle imposte in minibot, oltreché in euro o in opere d’arte. Sovrastante, sussiste la garanzia “sovrana” della Repubblica Italiana, simboleggiata dallo stemma impresso sui certificati. E’ come nel passato: indipendentemente dal contenuto in oro o altri metalli delle monete coniate, ovvero del valore intrinseco del simbolo monetario, ciò che gli attribuiva valore era l’effigie del sovrano, la garanzia del potere politico.
Tecnicamente e giuridicamente, i minibot non sono BOT e neppure moneta. Non sono BOT perché mancano della scadenza e non producono interessi. Non sono moneta in quanto non hanno corso forzoso, la loro accettazione è volontaria, un po’ come buoni pasto estesi all’intero sistema di scambio. Come Draghi sa perfettamente – mente in quanto scorpione – non aumentano il debito. Si innalza il debito contabilizzato ai fini statistici di Eurostat, ma diminuisce del medesimo importo un altro debito – di fornitura o d’imposta precedentemente contabilizzata – quindi il saldo complessivo è neutro. Dal punto di vista giuridico, l’illegalità sorgerebbe se venisse violato il comma 1 dell’articolo 128 del trattato di Lisbona (che ha consolidato i vari trattati dell’Unione), il diritto esclusivo della BCE a emettere banconote, le uniche a corso legale nell’Eurozona. La norma tace su strumenti di pagamento e scambio diversi dalle banconote. E’ ancora Galloni a fare chiarezza, rilevando che Draghi (“forse perché non è un giurista”) crede che ciò che la legge non vieta debba essere regolato. “Ciò che la legge proibisce è, ad esempio che uno Stato emetta euro o moneta a corso legale, ma ciò di cui la legge non parla è ammissibile”. Si tratta di un principio base di cui si vanta il liberalismo: è lecito tutto ciò che non è espressamente vietato.
La verità non detta è che tutta la liquidità creata dalla BCE negli ultimi anni, le somme rilevantissime create per anni con un clic per combattere la deflazione, la scarsità di moneta liquida, non è andata dove avrebbe dovuto andare, ossia a rinforzare l’economia reale, ma è rimasta nel sistema bancario, lanciata come la pallina della roulette nel vortice della finanza speculativa.
Non ci nascondiamo dietro il dito del nominalismo: i minibot non sono moneta, ma lo scopo è che funzionino come tale, immettendo sangue (liquidità) nel corpo dell’economia e dei cittadini, passando dal patto leonino “tutto alla finanza” alla logica della rianimazione dell’economia, che può avvenire o immettendo denaro (ciò che non è riuscito alla BCE con il Quantitative Easing) o creando debito. C’è di più, nelle dichiarazioni di Draghi, ed è il riconoscimento implicito che si può creare “moneta non a debito”. La domanda è scontata: perché il sistema delle banche centrali, organismi privati investiti di funzione pubblica, crea solo moneta a debito? Soprattutto, perché non può farlo lo Stato, anche attraverso strumenti innovativi come i minibot, da accettare e spendere su base volontaria e non forzosa come l’euro?
Interessante è anche l’opinione di un altro economista non ortodosso, Fabio Conditi. Egli sembra andare oltre il ragionamento di Galloni, sottolineando che nelle parole di Draghi, la frase “[i minibot] o sono altra moneta, e quindi sono illegali “ha una valenza opposta al significato che le viene attribuito. La Commissione Europea dichiarò nel 2011 che “l’articolo 128 del Trattato sul Funzionamento dell’UE specifica che le banconote dell’euro emesse dalla BCE devono essere le sole banconote di questo tipo ad avere lo status di valuta legale all’interno dell’Unione”. Una valuta parallela sarebbe dunque contraria alle regole comunitarie esclusivamente “se ci fosse l’obbligo legale di pagare o accettare pagamenti in questa valuta, anche solo a livello nazionale “. Non è il caso dei minibot, la cui circolazione è volontaria, talché Conditi legge il monito di Draghi come un’accettazione mascherata dello strumento individuato dagli economisti governativi.
Un altro inganno è quello della novità dell’idea, con buona pace di Zingaretti, che ignora o finge di dimenticare la proposta di Pierluigi Bersani, responsabile della politica economica dei governi di sinistra, padre nobile del post comunismo in salsa emiliana, promotore di uno strumento assai simile, ribattezzato Bersani Bond, destinato a saldare i debiti della P.A. Il fratello del commissario Montalbano è poco informato, come la signora Gelmini di Forza Italia, per la quale i Minibot sarebbero “un pericolo per il Paese”. Peccato che facessero parte del programma del centrodestra per le elezioni politiche del 2018, sottoscritto dal suo partito.
Grottesche sono le esternazioni di alcuni vertici confindustriali che evocano il gioco del Monopoli. A costoro va rammentata la presa di posizione pragmatica dell’ABI, l’associazione bancaria, per una misura definita “sufficientemente logica e semplice se avvenisse, come doverosamente dovrebbe, con cosiddetti minibond in euro”. Per i banchieri, gente concreta, essenziale era (e, a fari spenti, ancora è) che i minibot siano denominati in Euro. Di quale spaventosa rivoluzione stiamo dunque parlando, se non sussiste il corso forzoso e i nuovi titoli sono denominati nella valuta comune? Torniamo allo scorpione-finanza, la cui natura è spargere veleno attraverso il pungiglione.
Il potere finanziario, di cui le banche centrali creatrici di moneta sono magna pars, teme di perdere un po’ dell’influenza acquisita negli ultimi decenni in cui ha soppiantato e sostituito gli Stati. Per questo mobilita i propri canali d’influenza e diffonde falsità, o meglio, fumisterie travestite da legalismo. In più, mantiene un assunto mendace, ovvero il principio che la moneta sia una merce come le altre, della quale fare commercio e da controllare attraverso la superiore saggezza di una casta di esperti infallibile e indiscutibile, le “autorità monetarie.” Grande merito del dibattito attuale è avere svelato il gioco e smascherato agli occhi dell’opinione pubblica quello che tenaci studiosi, a partire da Giacinto Auriti, avevano sempre sostenuto: la moneta si crea come esercizio di sovranità e non è assolutamente vero che lo si debba fare a debito nei confronti di soggetti privati – i banchieri – che si arrogano la proprietà di un simbolo fiduciario, la moneta, appunto.
I soldi, intesi come strumento da utilizzare come mezzo di pagamento (…) possono essere creati dallo Stato, non solo prestati dai mercati finanziari o reperiti attraverso l’aumento delle tasse (Fabio Conditi- Moneta positiva). Lo Stato mantiene il potere sovrano di decidere con quali strumenti possano essere pagate le tasse che impone, creando appositi strumenti, con l’eccezione delle banconote euro, competenza esclusiva della banca centrale a mente del citato art. 128 del Trattato di Lisbona. Tanto meglio se il certificato detto minibot si trasforma in liquidità immessa a costo zero nel sistema, bypassando la scarsità “ideologica” di denaro, eredità fallimentare della febbre monetarista.
Non si possono tacere alcune criticità del sistema Minibot. La prima riguarda il fattore tempo: per creare decine di miliardi di titoli in forma cartacea, pari al debito della P.A., occorrono mesi e mesi, tra progettazione, normativa concreta, stampa e distribuzione, con il rischio di attacchi ritorsivi della finanza nei confronti del sistema Italia. Un’altra è la limitazione relativa al formato cartaceo, per un verso essenziale alla percezione generale dei certificati come moneta alternativa, ma dall’altro scomodo e disfunzionale per gli importi più rilevanti. Non sono pochi gli studiosi che propongono metodi integrativi o alternativi in formato elettronico. Un meccanismo è quello della “moneta fiscale”, o CCF (certificati di credito fiscale), anch’esso su base volontaria, collegato non ai debiti della Pubblica Amministrazione, ma ai redditi da lavoro dipendente e autonomo. Il valore intrinseco resterebbe l’accettazione dello Stato per il pagamento di tasse e imposte.
La situazione, insomma, è in movimento, il dibattito intellettuale vivo e fecondo. Stupisce solo in parte la marcia indietro di settori importanti della politica – PD e FI – dopo aver sottoscritto la mozione parlamentare favorevole ai Minibot, cioè tesa a rimuovere in parte il ricatto del debito imposto dalle centrali finanziarie oligarchiche attraverso i loro emissari dell’UE. Subito è scattato il contrordine, che ha imposto ai servi di scena di schierarsi contro un meccanismo di cui il sistema teme il potenziale rivoluzionario.
Un primo obiettivo è minare la fiducia nello strumento utilizzato, elemento di cruciale importanza per il successo dell’operazione. Citiamo Giacinto Auriti: una penna ha valore perché prevediamo di scrivere. Quindi il valore è il rapporto tra il momento della previsione e il momento previsto. La moneta – in qualsiasi forma si manifesti – ha valore perché ognuno è disposto a scambiare merce contro moneta in quanto prevede di poter dare a sua volta moneta contro merce. Ecco perché ha tanta importanza il discredito alimentato ad arte nei confronti dei Minibot. Al di là delle obiezioni giuridiche, che l’oligarchia sa bene essere infondate, conta seminare il dubbio, persuadere la gente che i Minibot non servono a nulla, in modo tale da scoraggiarne preventivamente l’uso.
Se il valore della moneta è indotto, fiduciario, il potere sovrano dello Stato, la sua credibilità diventano presupposti e pilastri essenziali. Un economista del secolo scorso, Fernando Ritter, affermò che “la moneta è politica. La politica è dello Stato. Lasciare il governo della moneta è abdicare alla sovranità”. Esattamente il processo che i governi occidentali assecondano da decenni, accettando il gioco infernale degli uomini del denaro, battistrada del disordine globale.
Oggi, la dinamica finanziaria dei signori della moneta risveglia l’opposizione popolare che si manifesta con la sfiducia verso una classe politica che ha dimostrato la verità dell’affermazione di Ezra Pound: i politici sono i camerieri dei banchieri. Questo era vero al tempo del poeta dei Cantos, adesso si tratta di sguatteri al servizio di una casta (o cricca) priva di principi etici, animata esclusivamente dalla bramosia dell’onnipotenza.
La partita è solo all’inizio, ci saranno passi avanti e fasi di ritirata. Premesso che riteniamo essenziale l’esperimento Minibot per liberare l’economia dalla mancanza di liquidità, con benefici effetti sul lavoro e sullo stesso gettito fiscale, prendiamo atto di un successo culturale. Il tabù della moneta è stato infranto, sono sempre più numerose le voci di chi si chiede perché lo Stato non si riappropri di ciò che è suo, si è esteso a settori politici l’interesse per filoni di pensiero come la Teoria Monetaria Moderna (Mosler, Randall Wray) e la rivoluzionaria Treasury Electronic Money (Moneta Elettronica dello Stato) patrocinata da uno studioso del prestigio di John Cochrane, un monetarista “neoclassico” che si è tolto il paraocchi.
Ritorna la lotta secolare tra politica e denaro, dopo la vittoria ultra trentennale della finanza. Il campo di battaglia è immenso e disseminato di mine. Anche attraverso l’idea dei Minibot, a cui si affiancano altri strumenti messi a punto da economisti, giuristi e studiosi di vario orientamento, l’opinione pubblica, o almeno una parte non più trascurabile, ha capito l’imbroglio e l’enormità della posta in palio. Il nostro benessere, il nostro futuro di popoli e persone libere, passa anche per dei pezzi di carta con lo stemma della repubblica Italiana: simbolo di valore, ma anche di fiducia e di sovranità. Non è che un inizio, speriamo che divampi la battaglia. Se ci sarà, nessuna illusione: sarà dura, durissima, ma l’alternativa è tra vincere o vivere da schiavi.