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I morti, per i progressisti, non sono tutti uguali

di Francesco Lamendola - 07/06/2017

I morti, per i progressisti, non sono tutti uguali

Fonte: Il Corriere delle regioni

 

 

Sono passati solo pochi giorni, e già i mass media hanno spento i riflettori sul rogo di Centocelle, nel quale hanno perso la vita due bambine di quattro e otto anni, e una ragazza di venti, tutte e tre di etnia rom. La ragione di questo rapido silenzio, di questo repentino oblio, è che si è trattato di una faida fra rom, dunque di un delitto interno alla loro comunità, non spendibile sul mercato dell’ideologia progressista. Se ad appiccare il fuoco fosse stato un balordo italiano, o un razzista, o un naziskin, non solo se ne parlerebbe ancora, ma in Parlamento i soliti volonterosi deputati e senatori starebbero già raccogliendo le firme per una proposta di legge che inasprisca ulteriormente i reati a sfondo razziale, nei quali sia ravvisabile, in un modo o nell’altro, il pregiudizio etnico. Invece, si è trattato di un delitto semplicemente atroce, ma non a sfondo razziale: un regolamento di conti fra membri della comunità rom, alla loro maniera, secondo le loro regole. Dunque, non c’è niente da dire, se non spegnere i riflettori il più presto possibile. Se rimanessero accesi appena un poco di più dello stretto indispensabile, qualcuno potrebbe farsi una domanda, o magari anche più di una. Qualcuno potrebbe domandarsi perché certi morti pesino, e certi altri siano così leggeri. Perché l’annegamento di un “migrante” (strano neologismo, per non dover ammettere che i veri emigranti sono lavoratori in regola e con tutti i documenti a posto, non si presentano a bordo di barconi sul punto di affondare, pretendendo di essere accolti con il ricatto morale delle loro vite in pericolo) faccia notizia, faccia scandalo, e spinga il papa a volare a Lampedusa, per gettare corone di fiori in mare e sibilare: Vergogna!, non si sa bene contro chi: forse contro le onde del mare, oppure contro il nostro egoismo, ben noto in tutto il mondo, contro la nostra sordida indifferenza di capitalisti vigliacchi e sfruttatori del Terzo Mondo.

Ma se a morire, magari impiccandosi, è un piccolo imprenditore italiano soffocato dai debiti, o un operaio italiano che ha perso il lavoro a cinquant’anni, allora è un’altra cosa: allora la cosa non fa notizia, non si presta a teatrini e spettacolarizzazioni, non sprona la signora Boldrini o il signor Grasso, nemmeno il premier Gentiloni, a indire marce di solidarietà, di protesta, di sensibilizzazione e quant’altro; allora nessuno si sente toccato nell’intimo della coscienza, neppure i preti, o i vescovi di sinistra, o il papa misericordioso, che parla e sente come uno di noi. In quel caso, è tutto a  posto, e non c’è alcuno che si debba vergognare. Un altro italiano che si è ammazzato per la disperazione, perché non riusciva a mantenere la famiglia; qui, in casa sua, nella sua città, nella sua patria; dopo aver pagato le tasse per una vita intera, dopo aver sempre rispettato le leggi, dopo aver espletato coscienziosamente i suoi doveri di cittadino, di marito, di padre, per una vita intera. Poi è morto suicida, perché la crisi finanziaria gli ha tolto il sostentamento e anche la speranza; magari perché lo Stato non si decideva a pagargli il dovuto, e la sua piccola azienda, pur essendo sana, era presa per il collo dalle banche, che non volevano sentir ragioni, pretendevano di essere pagate sull’unghia, di rientrare nei crediti erogati. Ma quelle morti non fanno notizia e non interessano a nessuno: sono invisibili, sono simili ad altrettanti eventi naturali; proprio come se quelle persone fossero morte di tubercolosi, o di freddo, o di meningite fulminante.

Invece, se una donna africana muore per una malattia incurabile, in un centro di accoglienza, ecco che mezza Italia resta scioccata, e centinaia di altri “profughi”, che poi n sono affatto tali, forse gli stessi che hanno abusato di lei, o di altre donne come lei, si arrabbiano, sfasciano un po’ di mobili, prendono in ostaggio il personale che si occupa di loro, improvvisano furibonde manifestazioni, se la rendono con l’universo mondo, invocano giustizia, pretendono inchieste, esigono marce di solidarietà e di riparazione, e poco meno delle scuse ufficiali del governo. Intanto i giornali escono con articoli a quattro colonne, con la foto della “vittima” di tanta crudeltà, e riferiscono le cose a modo loro; e buona parte del mondo politicamente corretto si sente in colpa, rimane turbato, vuol sapere la verità; volonterosi parlamentari si affrettano a visitare quell’orribile luogo di prigionia, quel campo di concentramento, per riferire nel tempio della democrazia tutto quel che non va nel nostro sistema di accoglienza, e quanto sono crudeli e insensibili le maniere con le quali si trattano quei poveretti, che hanno già sofferto tanto e che erano arrivati in Italia pieni di speranza, speranza mal riposta, perché non avevano tenuto conto del nostro bieco egoismo, della nostra assoluta insensibilità. Figuriamoci: ci sono persino delle immagini che documentano come quei poverini siano stati lavati e disinfettati con dei getti d’acqua, quasi fossero bestiame e non degli esseri umani uguali a noi, dei nostri fratelli bisognosi, come dice e ripete la neochiesa di papa Francesco, per la quale solo gli stranieri sono il nostro prossimo, mentre i nostri figli, i nostri nipoti, i nostri compaesani non lo sono in egual misura, dal momento che non piangono, non protestano, non urlano, ma restano dignitosamente in silenzio, non chiedono nulla, anche se non sanno più dove battere il capo per la disperazione. Ancora una volta: ci sono morti pesanti, e ci sono morti che non pesano nulla.

E che dire dei cristiani copti che vengono ammazzarti in Egitto, continuamente, in un incessante stillicidio? Anche di quelli si parla un giorno e via; poche righe, un trafiletto, quasi avessero ammazzato delle formiche, degli insetti. Ma se fossero stati ammazzati degli ebrei, per esempio, tutti i mass media evocherebbero Auschwitz e la Shoah, il mondo intero si domanderebbe come sia stato possibile lasciare che il mostro nazista risorgesse, e in che cosa abbiamo mancato, in cosa siamo stati ciechi, di cosa ci dobbiamo rimproverare: perché la colpa, certamente, sarebbe nostra. Sarebbe nostra anche se a venire ammazzati fossero degli islamici: e se a fare la strage fosse un cristiano, o, comunque, un europeo, da più parti si chiederebbero delle punizioni esemplari, delle risposte draconiane, perché la civiltà pretende che simili orrendi crimini ricevano una punizione esemplare, e tutti capiscano che non esiste la minima tolleranza per chi uccidere dei poveri islamici, specialmente se è un cristiano, o un bianco. Ma i morti di Parigi, i morti di Nizza, i morti di Berlino, i morti di Manchester, i morti di tante altre città europee, anche i bambini, anche i ragazzini, puniti per il fatto di essere europei e, forse, di essere cristiani, quelli si dimenticano subito; quelli pesano poco, quasi niente. Quantité négligeable.

Qui, se c’è qualcuno che si dovrebbe vergognare, sarebbero proprio i signori progressisti, che sanno piangere con un occhio solo: il sinistro; e i primi fra tutti dovrebbero essere quei preti modernisti e neomarxisti, i vescovi e i monsignori come Vincenzo Paglia, o come Nunzio Galantino, i quali seguitano a dire: Venite, venite pure da noi, che vi accoglieremo! Venite in Italia, dove siamo tanto comprensivi e ospitali, e dove riusciremo a sistemarvi, a darvi una speranza, a darvi un futuro! Venite dunque, che faremo posto per voi tutti! E dovrebbero aver piena coscienza che, se qualche barcone si rovescia e affonda, se qualche decina o qualche centinaia di cosiddetti profughi finiscono in mare e poi annegano, la responsabilità ricade su di loro, principalmente su di loro e sul loro buonismo ipocrita, sulla loro demagogica sconsideratezza, sulla loro ideologia cieca e sorda ad ogni barlume di buon senso, in nome dei principi astratti e dei diritti dell’uomo e del cittadino d’illuministica memoria. Quei morti, dovrebbero pesare sulla loro coscienza, se ne avessero una: perché sanno benissimo che la soluzione della povertà in Africa non può essere questa, dire a un miliardi di perone: Venite, venite!; lo capirebbe anche un bambino, ma loro no, loro sono troppo accecati dalla loro presunzione di credersi i migliori, i più buoni, i più bravi, i più intelligenti. Quelli che hanno capito tutto, mentre gli altri non hanno capito niente; quelli che non hanno nulla da imparare da nessuno, ma soltanto da insegnare, perché il loro domicilio naturale è la cattedra, e, dall’alto della cattedra, puntano l’indice e tengono lezione al mondo intero. È sempre così, ed è sempre stato così: il progressista è un essere che si crede intrinsecamente, incomparabilmente, ontologicamente  superiore ad ogni altro, e che ritiene d’essere in diritto di guardare dall’alto in basso, come fossero vermi o lombrichi, tutti gli altri, i comuni mortali, i meschini conservatori e i luridi borghesi avari e razzisti. Loro sono i puri, gli altri sono sporchi; loro sono nobili, gli altri sono subdolamente interessati; loro sono cavalieri senza macchia e senza paura, gli altri sono una combriccola di lestofanti, di retrogradi, si reazionari oscurantisti e bigotti, del tutto insensibili al fascino dell’Idea, della Grande Fratellanza Universale. Meno male che ci sono loro, a rendere il mondo un po’ migliore di quel che sarebbe se non ci fossero.

Ma se i morti, per i signori progressisti, non sono tutti uguali, non lo sono neppure gli stupri. Qualcuno pensa ancora, qualcuno parla ancora degli stupri di massa di Colonia, nel Capodanno del 2016, dove le vittime furono decine e decine di donne bianche, tedesche, forse cristiane, e gli stupratori furono centinaia di baldi giovanotti arabi e africani, musulmani, veri eroi della violenza di gruppo, in tre contro una sola donna, in cinque o sei contro una, aggiungendo gli sputi in faccia, gli insulti e gli schiaffi, alla violenza sessuale? Dove sono finite le femministe italiane ed europee, le signore Boldrini, le signore Fedeli, le signore delle quote rosa, quelle che si arrabbiano se qualcuno non si rivolge a loro con il genere femminile, se non dice loro “signora presidente”, “signora sindaca”, e così via, e son sempre pronte a sporgere querela alla minima ombra di pregiudizio sessista da parte di quegli incorreggibili maschilisti, quei barbari trogloditi che sono gli uomini di razza bianca e, magari, di religione cristiana, o presunta tale? È strano che abbiano dimenticato così in fretta, non è vero? Anzi, più che dimenticare, si direbbe proprio che abbiano rimosso tutto quanto; che abbiamo fatto la centrifuga ai ricordi, e messo a dormire il loro cervello. Stop, fine della trasmissione. Ma se fosse accaduto il contrario; se fosse stata stuprata una sola donna straniera, da un branco di ragazzacci di casa nostra, allora sì, che se ne parlerebbe ancora; allora sì, che quelle tali signore e signorine avrebbero chiesto e preteso una marcia della solidarietà, un minuto di silenzio nelle scuole, e una intensa campagna di sensibilizzazione al problema, in tutte le forme possibili, con tutti gli strumenti che si possono avere a disposizione!

Dunque: morti di peso diverso; stupri di peso diverso; e che altro? Rapine di peso diverso; furti di peso diverso; pestaggi di peso diverso; sputi e insulti di peso diverso; sguardi carichi di odio e di sfida, di peso notevolmente diverso. Il politicamente corretto ha instaurato un regime di razzismo alla rovescia, in cui se a trasgredire la legge, e le norme minime del vivere civile, è un cittadino italiano ai danni di uno straniero, la cosa grida vendetta davanti al cielo; ma se a farlo è uno straniero nei confronti di un cittadino italiano, quello è solo “disagio ambientale”. Qualcuno si ricorda ancora di quel tale Kabobo, il ghanese trentaquattrenne che nel 2013 prese a picconate i passanti nel quartiere milanese di Niguarda, fracassando il capo a tre di essi, senza una ragione al mondo, se non perché aveva sentito delle “voci” che gli ordinavano di farlo? Qualcuno provò a difenderlo, se non proprio a giustificarlo, dicendo che i suoi problemi psichici erano stati aggravati dalle sue esperienze quotidiane di frustrazione e di mancato inserimenti nella società italiana. Eh, già: l’inserimento, l’inclusione, addirittura l’integrazione: sono almeno trent’anni che i nostri politici e i nostri preti di sinistra ci ripetono simili ritornelli, ma nessuno ha ancora capito di che cosa si tratti, dal momento che nessuno li ha visti concretamente realizzati. Anche lui era un migrante, poverino: infatti, in Cassazione, gli hanno dato solo vent’anni di prigione. Uno se ne va in giro col piccone a sfracellare la testa dei passanti, e se la cava senza nemmeno l’ergastolo; si prende una pena di poco superiore a quella dell’omicidio stradale. Eppure, il tribunale ha stabilito che era in grado d’intendere e di volere. Ma se fosse stato un bianco a fare una cosa del genere, a danno di cittadini stranieri, allora apriti cielo: qualcuno avrebbe invocato, se non la pena di morte, l’ergastolo senza alcuno sconto e con il regime del carcere duro. Perché, in quel caso, sarebbe stato un odioso delitto di matrice inconfondibilmente razzista.

Prendiamo buona nota di questo fatto: se un nero ammazza qualche bianco, è “solo” un delitto contro la persona; ma se un bianco se la prende con un nero, allora è una cosa imperdonabile, perché scatta l’aggravante del razzismo. Il razzismo funziona a senso unico. E questo modo di ragionare non si manifesta solo in ambito giudiziario, ma a tutti i livelli, a partire dal mondo dell’informazione. Quando mai i giornali e i telegiornali parlano del dramma, ormai quotidiano, dei bianchi della Repubblica Sudafricana, sempre più spesso derubati, rapinati, uccisi in casa propria, e ora apertamente minacciati di espulsione in massa da parte di forze politiche della maggioranza nera? Non ne parla praticamente nessuno; e la ragione è fin troppo chiara. Non si può gettare un’ombra sul bel quadretto del politically correct: avevamo lasciato il Sudafrica che, grazie a Nelson Mandela, era diventato una specie di paradiso in terra e un modello per tutte le società multietniche e multiculturali. Con quale coraggio si potrebbe mandare in frantumi un così bel quadretto? Bisognerebbe avere un cuore di pietra. Il nobile fine giustifica i mezzi, cioè il silenzio…