I Novissimi del mondo capovolto
di Roberto Pecchioli - 29/05/2022
Fonte: EreticaMente
I novissimi, come sanno i superstiti cattolici, sono le cose ultime, il destino finale degli uomini: la morte, il giudizio, il destino eterno di gloria o dannazione. Spenta la narrazione religiosa, in crisi la ragione illuministica, l’uomo d’Occidente avanza – o arretra – in uno strano nichilismo nutrito di hybris, l’arroganza che rifà il mondo, creazione malriuscita. Si inoltra nelle paludi inesplorate del superamento di se stesso, verso il post e il trans umano. Sono gli inquietanti novissimi, la rivelazione finale, l’Apocalisse dell’Homo deus, figlio tecnologico extrauterino dell’antiquato homo sapiens.
I Novissimi del mondo capovolto sono la fine dell’uomo-persona, la sua ibridazione con la macchina e la successiva trasformazione in una specie nuova, transumana, che da un lato raddrizza il legno storto delle natura imperfetta (antica illusione gnostica) dall’altro coltiva il sogno faustiano di un’equivoca immortalità nella mente–alveare tecnologica, una sorta di somma, ultimo rifugio o tecno-anima di ciò che resta dell’uomo di ieri. Per farci accettare e desiderare questo destino distopico, hanno dovuto farci dimenticare tutto ciò che richiamava la legge naturale. L’uomo non è più persona, ossia un essere con coscienza di sé e senso morale: dopo essere transitato alla categoria di individuo (un essere irripetibile ed unico, sì, ma dolorosamente solitario e senza radici), poi derubricato a soggetto, passante, viandante casuale dell’esistenza, giunge allo stadio finale: componente di uno sciame.
Ha approfondito il tema il pensatore tedesco coreano Byng Chul Han, per il quale lo sciame è la condizione dell’uomo del secolo XXI. Non più folla – neppure solitaria come per Davis Riesman – e neanche massa. Lo sciame è una molteplicità di soggetti che, pur avendo la possibilità di relazionarsi e comunicare attraverso la Rete, sono atomi solitari. La differenza con l’uomo-massa è che all’interno di una massa l’uomo perde la sua individualità, ma resta all’interno di un insieme comune. Nello sciame, che si muove secondo ritmi e itinerari sconosciuti ai singoli componenti, ciascuno resta solo, un puntino in corsa in una direzione che ignora. Lo sciame digitale non è una folla, non possiede un’anima o uno spirito. L’anima raduna e unisce: lo sciame è una macchia di individui isolati.
La perdita del concetto di persona è particolarmente visibile in una delle tappe fondamentali della de-umanizzazione della nostra specie, l’accettazione, ormai acquisita, che l’aborto sia un diritto umano fondamentale. L’assunto fondamentale è che la donna ha il diritto di decidere sul proprio corpo. Tuttavia, sebbene l’embrione sia alloggiato temporaneamente dentro di lei, la questione non è individuale: entra in gioco una nuova vita. Il nocciolo della questione sta nel determinare se il nuovo essere sia o meno una persona. Per alcune culture, la distinzione è tra “esseri viventi della specie umana” e “persone”.
Il nuovo individuo in fieri è geneticamente diverso dalla madre che lo ospita: questo sa la scienza. L’idea di “persona” è altro. Si tratta di un concetto filosofico associato a una serie di caratteristiche e attribuzioni come la dignità intrinseca o la titolarità di diritti e doveri. Se l’aborto è un diritto umano, significa che la vita nascente non è più un valore in sé, è a disposizione e ciò che cresce all’interno del corpo femminile è un’escrescenza, un grumo di cellule che può essere rimosso a piacere, anche senza il consenso dell’altro interessato, il padre cui appartiene la metà del patrimonio genetico dell’esserino.
Ma se la vita non è il più intangibile dei valori, è legittimata ogni barbarie, dall’omicidio agli abusi più turpi sino a una sottocultura che incita all’autodistruzione e all’auto soppressione. Più si restringe la definizione di persona, più estese sono le categorie di esseri umani esclusi dalla dignità, dai diritti, dalla vita. Il problema di decidere chi è o non è una persona non è nuovo. L’idea di vite umane non considerate tali in tutta pienezza attraversa l’intera storia umana. Più il concetto di persona declina, più la vita è a disposizione di qualcuno. I criteri possono essere innumerevoli e sempre arbitrari.
L’esito è la cultura dello scarto, che fornisce patenti di umanità, di dignità, di vita solo ad alcuni, negandole ad altri. Il primo diritto umano è la vita. Saltato quello, il cammino mortuario è in discesa. Oggi arriviamo a legalizzare l’aborto sino al nono mese di gravidanza e a ragionare seriamente sull’infanticidio, detto pudicamente aborto post natale. In nome della vita “degna di essere vissuta”, decidiamo al posto di un altro essere. E’ la rupe tarpea postmoderna o il monte Taigeto di Sparta, da cui venivano precipitati i neonati “imperfetti”. L’uso può essere esteso a chiunque – in qualsiasi fase dell’esistenza – non corrisponda ai canoni (e agli interessi) del potere.
L’argomento è, come si dice oggi, divisivo. E divisione sia, ma non divieto di dibattito. Meta, l’ex Facebook, ha proibito a dipendenti e collaboratori di affrontare il tema del diritto alla vita nelle chat interne dell’azienda. Avanza la peggiore lezione di Wittgenstein: “di ciò di cui non si può parlare si deve tacere”. E’ un’autorizzazione al silenzio per intere categorie del sapere, le quali, invece, hanno un disperato bisogno di essere comunicate. La cultura dello scarto diventa irrefrenabile allorché ragiona in termini di soppressione legale degli esseri umani anziani, malati, o fragili, moralmente o psichicamente. La chiamano eutanasia (buona morte) o suicidio assistito, mentre George Soros, con maggiore franchezza, finanziandola, la definì “Progetto Morte”.
L’essere umano (marchiato, sorvegliato da remoto, trasformato in codice a barre o QR) non conta nulla, non è più nulla, in ossequio all’Agenda 2030 di Davos e dell’ONU. Impressiona, nei Novissimi postmoderni, il destino del corpo umano defunto. Il feto è trattato come rifiuto misto (oh, la raccolta differenziata!) oppure diventa materia prima nell’ industria estetica e farmaceutica. Per i cadaveri, secondo un professorone svedese, una soluzione è il cannibalismo: l’umanità saprofita. In alcuni stati Usa si può scegliere, dopo morti, di diventare compostaggio.
Il rispetto di noi stessi, della dignità della specie attraverso il culto dei defunti, le tombe e i cimiteri, è crollato ai minimi dal tempo in cui Antigone sfidò il potere del re di Tebe per dare sepoltura al fratello Polinice, gettato in pasto agli animali. Tutto è funzionale alla fine non solo di una lunghissima civiltà, ma di un’antropologia. Per Giovan Battista Vico ogni civiltà è caratterizzata da tre invarianze universali: qualche forma di culto religioso, il rispetto dei morti e nozze fastose, il preliminare per la riproduzione della società. Vengono i brividi se paragoniamo l’antropologia culturale del pensatore napoletano alla realtà di oggi. L’uomo contemporaneo sembra insensibile a ogni appello: è stato denaturato e gli è imposta una conoscenza strumentale, settoriale, esclusivamente tecnica. Non possiede più gli strumenti culturali per formulare giudizi, produrre idee, ribellarsi alla riduzione a materiale umano.
Tutto nasce dal rifiuto della legge naturale, il tentativo superbo dell’intelligenza umana di “andare oltre”, il filo antico della cultura gnostica, sfida continua ai limiti e alla natura. La parola sfida, etimologicamente, indica il non fidarsi, non accettare ciò che è. Anziché lasciarsi interrogare dalla cose, la volontà di dominarle. La prima evidenza è: “le cose sono”. La cultura dominante – non ci stanchiamo di ripetere che è sempre la cultura della classe dominante – ha deciso che non è più così, arrivando ad abolire la realtà.
Il sociologo Giuseppe De Rita descrisse il presente con l’immagine dei coriandoli, pezzetti di carta colorata che svolazzano secondo il vento e non servono a nulla se non a un breve allegria da ultimo ballo sul Titanic. Il fenomeno che più dovrebbe colpire è l’insoddisfazione, l’infelicità, l’ansia e la confusione che hanno colto l’umanità occidentale, nonostante l’enorme quantità di mezzi materiali. E’ la prova del carattere negativo di una visione in cui “andare oltre” è abolire la realtà, la verità, l’evidenza.
Nelle Memorie del Sottosuolo, Dostoevskij fa dire a un personaggio di quel mondo sordido ed angosciato: “sono un uomo malato, sono un uomo cattivo. Credo di avere mal di fegato. Il fegato mi fa male e allora avanti, che mi faccia ancora più male”. Introduciamo nel corpo e nell’’animo quantità crescenti di ciò che ci fa male, in un‘ansia nichilistica senza posa, evidente nel mondo fluido, liquido, gassoso; un gas che nel mondo invertito, anziché salire, scende verso il basso. L’uomo ha bisogno di stabilità, non di nomadismo morale ed esistenziale. Eppure, siamo andati oltre negando perfino che “maschio e femmina li creò”, una ribellione sconcertante a Dio – per chi ci crede – o alla natura.
E’ uscito in Spagna un libro diventato un caso editoriale. Si intitola – traduciamo alla lettera – “Nessuno nasce nel corpo sbagliato: successo e miseria dell’identità di genere “. I suoi autori, José Errasti e Marino Pérez Alvarez, sono docenti di psicologia orientati a sinistra, e l’autrice della prefazione, Amelia Varcàrcel, è una filosofa femminista. Per aver smontato scientificamente da posizioni progressiste le tesi assurde di chi fa credere che milioni di persone soffrano di disforia di genere, ossia che il loro corpo e aspetto non corrispondano al rispettivo sentire interiore, sono stati attaccati da gruppi di esagitati e hanno subito aggressioni fisiche. Il motivo è precisamente il rifiuto della realtà, l’incapacità di distinguere reale e virtuale e soprattutto la tendenza a vietare il dibattito.
Il drammaturgo Bertolt Brecht, che pure era sostenitore del governo comunista della Germania Est, scrisse, a proposito delle rivolte operaie: “Il Comitato centrale del partito ha deciso: poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un nuovo popolo. “Il nuovo Comitato Centrale sono i promotori della cultura della cancellazione (l’oligarchia tecno finanziaria occidentale) e il popolo è ingannato e manipolato più che mai. Non esistono maschi e femmine, incede una specie di androgino cangiante secondo orario, umore e capriccio.
Per Errasti e Pérez, psicologi clinici, la questione è chiara: nessun errore nell’allineamento dei cromosomi. Farlo credere è un inganno, una falsa credenza quasi metafisica. Esistono, poiché l’uomo è un misto di natura e cultura, comportamenti che si apprendono e stereotipi, anche sessuali, ma nulla a che vedere con la fluidità di genere, o la disforia. E’ criminale sottoporre adolescenti e addirittura bambini a trattamenti chimici invasivi: nella stragrande maggioranza dei casi basta una buona attenzione psicologica e il rispetto per le sofferenze autentiche. Del resto, concludono gli autori, molti/e non avrebbero dubbi sulla propria identità sessuale se non fossero sottoposti a un bombardamento mediatico incessante.
La responsabile per l’uguaglianza del partito laburista britannico parla di “sesso assegnato alla nascita”. Una barbarità, una posizione irrazionale e falsa, che nega ciò che vedono gli occhi. L’ immersione mediatica proclama che unica provvisoria verità è ciò che uno sente, e che le sensazioni soggettive sono indiscutibili. Certe teorie non vengono confutate in quanto elaborate nelle università di proprietà delle oligarchie di potere. Il cerchio si chiude: i novissimi del mondo capovolto vengono creduti senza contraddittorio perché sono parte di un’agenda antropologica precisa. Errasti arriva a dire che l’ideologia gender e queer (bizzarro, strambo) sono le nuove religioni laiche.
Se i sacerdoti sono docenti e intellettuali, ispiratori e ufficiali pagatori sono i soliti: i gran maestri del globalismo, della privatizzazione del mondo, interessati al dominio. L’uomo è imperfetto, antiquato, e fastidiosamente incline alla libertà: va formattato, resettato, la sua essenza ridotta alla dimensione zoologica. Per gli illuminati, le élite, ci sono l’ibridazione con la macchina, l’intelligenza artificiale, il trasbordo verso una specie nuova, inventata dall’ homo deus: la transumana futura umanità.