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I pericoli che incombono nell'inverno del Covid. Gli italiani sono entrati in letargo?

di Giuseppe De Rita - 19/01/2021

I pericoli che incombono nell'inverno del Covid. Gli italiani sono entrati in letargo?

Fonte: Corriere della Sera

Molti italiani tendono a vivere in trance, quasi a entrare in letargo. C’è da augurarsi che riprenda slancio la chimica ordinaria
 
Ho sempre sostenuto, in tanti anni di mestiere, che lo sviluppo di un Paese complesso come l’Italia non lo fanno i piani, le politiche economiche, le paccate di soldi, ma lo fa il suo popolo, con i suoi singoli abitanti e le diverse realtà comunitarie.
Questa convinzione si trova oggi, nella nebbia di cosa sarà l’anno che entra, di fronte ad un complesso interrogativo: in quale stato di salute (di vitalità o debolezza psichica collettiva) si trovano oggi i vari soggetti della nostra società? Cosa siamo? Dove siamo? Senza andare a citazioni esistenziali («Dove sei?» è la prima domanda rivolta da Dio ad Adamo), credo sia giusto proporci un esame di coscienza collettiva, senza il quale vivremmo l’attuale congiuntura con una facile rimozione dei fatti e delle difficoltà attuali, magari nella banale attesa che tutto passi.
Senza andare a troppo profonde analisi sulle situazioni di impreparazione e sperdimento constatate nella drammatica pandemia in corso, mi limito ad una banale, brutale domanda: «Su quali lunghezze d’onda funzionano oggi i nostri pensieri collettivi e le nostre collettive emozioni?». Me ne sono andato in giro per giorni e giorni fra la gente per «annusare», sotto le prescritte mascherine, il clima di fondo e lo stato d’animo dei nostri concittadini. E ne ho tratto tre prime impressioni.
La prima impressione è di un popolo «in trance», che non focalizza adeguatamente uomini e cose, e che preferisce rintanarsi nel mondo sicuro del se stesso. Siamo lontani dalla vitalità ottimista con cui abbiamo attraversato il primo lockdown, oggi sostituita da una strisciante opaca incertezza: non solo sui tempi di un possibile superamento della crisi (tre mesi, sei mesi, un anno), ma anche sulle regole e sui vincoli dei comportamenti quotidiani nelle zone di diverso contagio e colore. La gente sembra indifferente a speranze e obiettivi comuni, e si restringe sulla paura del contagio; sulla curiosità per l’andamento della sua curva; sulla ricerca di informazioni su come combatterlo; sulla ripulsa emotiva alla terapia intensiva; sulla propensione o meno a vaccinarsi in fretta. Chi gira per le strade prevalentemente deserte, di fatto si trascina, non riuscendo a focalizzare la dinamica collettiva e forse neppure la situazione personale, talvolta volutamente di stanchezza.
E qui arriva la seconda impressione: che la gente abbia silenziosamente deciso di andare «in letargo». Perché impegnarsi a esprimere vitalità se gli obiettivi da perseguire non sono chiari e/o dichiarati? Prendiamoci un po’ di riposo e ricarichiamo le nostre batterie, come molti animali che ai primi freddi si sottraggono a ogni impegno a breve. Alla pandemia ci pensino gli altri, noi ci adatteremo alle loro decisioni e aspetteremo la primavera, che necessariamente arriverà. Chi la porti a maturazione, tale primavera, importa poco a chi va in letargo: magari vi provvederà quella parte del sistema che continua imperterrita a essere vitale; oppure ci rifugeremo, da classici italiani, nel fatidico patrio stellone. Ma rimane il pericolo che in troppi ci si affezioni al letargo e che a primavera ci si ritrovi più «scarichi» e irresponsabili di prima.
Perché irresponsabili lo siamo tacitamente tanto, quasi che le ultime vicende ci abbiano trasportato in una bolla invisibile, di comportamenti «coatti», quasi vivendo in una «istituzione totale», cioè in una di quelle realtà dove le persone «tagliate fuori per un lungo periodo dal loro tradizionale modo di vivere, si trovano a dividere una situazione resa comune da un regime chiuso e formalmente amministrato». La citazione è tratta da un famoso libro di Goffman (Asylums) che analizzava le dinamiche di gente «internata», naturalmente per il proprio bene, in strutture collettive fortemente regolate da uno staff naturalmente di alta qualità tecnica. Sarebbe scorretto applicare alla nostra attuale società quella analitica vivisezione di ambienti totalizzati (i manicomi, i conventi di clausura, i campi di concentramento, le caserme), ma qualcosa di simile la si scorge in questa Italia sotto Covid: la potenza tecnica dello staff; la sua propensione a comunicare senza informare; la dissuasione delle varianti rispetto agli ordini impartiti; le regole di minimale comportamento (igienico e di distanziamento); il dovere di un visivo riconoscimento collettivo (la mascherina come divisa da internato); le sanificazioni a tappeto; le quarantene; e in fondo il senso di un po’ tutti — internati e no — di vivere alla giornata, senza poter focalizzare cose e persone e perseguire possibili obiettivi.
Tre pericoli quindi incombono nella mente degli italiani in questo inverno un po’ cupo: vivere in trance, entrare in letargo, adattarsi a vivere in una bolla di istituzione totale. Per un ottimista tenace quale sono sempre stato, c’è da dire «vade retro». Speriamo però che non servano appelli retorici e crociate vitalistiche, ma che riprenda slancio la chimica ordinaria della vita sociale, la quotidianità ordinaria.