I profitti di pochi e i debiti di molti nelle guerre senza fine
di Alberto Negri - 18/03/2025
Fonte: Il Manifeto
«Vorrei poter scrivere soltanto un verso: che la paura è finita», diceva in questi giorni la poeta di un centro giovanile. E invece sembra che, ogni giorno, ci vogliano sempre più impauriti e sempre più poveri. Mentre siamo appesi alla telefonata Trump-Putin sull’Ucraina, allo stallo dei negoziati sulla tregua a Gaza e alla guerra del Mar Rosso contro gli Houthi yemeniti, i guerrafondai europei esaminavano ieri la proposta della estone Kallas, rappresentante della politica estera, di altri 40 miliardi di aiuti militari e civili a Kiev da aggiungere agli 800 del piano di riarmo della Von der Leyen.
La quale, giova ricordare, nel settembre 2022 proclamava davanti alla Commissione europea: «Putin deve perdere questa guerra». Oggi ci sembrano parole al vento ma lei, che in tre anni non ha mai nominato un inviato diplomatico per l’Ucraina (lo ha fatto persino il Vaticano), è stata la prima nella Ue a scegliere l’opzione militare senza neppure tentare quella politica. Altro che Europa di Ventotene: questa Ue vola ormai da anni, senza cercare alternative, sulle ali del bellicismo. Con il risultato che in Europa si è tornati a parlare di bombe atomiche e «ombrelli nucleari» con una spavalderia tragicomica.
In realtà più armi avremo e più alta sarà la probabilità che le useremo (male). Altro che deterrenza: le armi nei magazzini non producono reddito o sicurezza, come viene contrabbandato, ma alimentano la tentazione di giustificare nuovi e costosi arsenali con minacce vere o inventate e soprattutto destabilizzano lo stato sociale.
L’ILLUSIONE è di uscire dalla crisi e dalle divisioni dell’Unione con il «keynesismo militare» come viene definito sull’ultimo numero di Le Monde diplomatique: invece ci indebiteremo per riempire gli arsenali di armi americane che sono oggi il 70% dell’import bellico europeo. Anzi già lo facciamo: secondo l’ultimo annuario del Sipri di Stoccolma gli stati europei della Nato hanno ordinato a Washington negli ultimi cinque anni 500 aerei da combattimento, oltre ad altri armamenti.
Stiamo già scodinzolando ai piedi del padrone Trump che ci chiede di aumentare l’impegno nell’Alleanza atlantica. In fondo eravamo già pronti ad accoglierlo e faremo lo stesso con il suo successore. Basta pensare al caccia F-35, a cui l’industria europea fornisce alcuni componenti: molti di questi aerei da combattimento verranno forniti agli europei (Germania in testa) quando già si comincerà a pensare al successore di Trump. Del resto come rinunciare a questo prodotto del complesso militare israelo-mericano? Con gli F-35 lo stato ebraico in un giorno ha fatto fuori l’80% delle difese anti-aeree iraniane.
La guerra in Medio Oriente ha visto usare più tecnologie belliche avanzate di quelle impiegate sul fronte ucraino. Pochi forse lo hanno notato ma Starlink di Elon Musk funziona, sia pure non ufficialmente, anche nei cieli della Siria del nuovo padrone, l’ex jihadista Al Jolani. Così Tel Aviv, grazie anche al suo apparato cibernetico (detiene quasi il 50% del mercato mondiale), ha eliminato quel che restava delle forze armate siriane. Oggi, oltre al Libano meridionale, da cui non accenna ad andarsene, occupa tutto il Golan ed è alla periferia di Damasco, mentre la Turchia sta ottenendo quel che si aspetta da anni, un’ampia conquista territoriale e di influenza. Poco importa che la popolazione alawita, i cristiani e i drusi temano nuovi pogrom.
La Siria è diventata il teatro di un nuovo braccio di ferro geopolitico tra Turchia e Israele. Ma è anche il terreno di una trattativa di Mosca per il mantenimento delle sue basi militari aeree e navali, aspetto che non infastidisce Erdogan che sta finendo di costruire con i russi la più grande centrale nucleare del Mediterraneo. E neppure Israele che all’Onu ha appoggiato le conquiste territoriali di Mosca in Ucraina mentre Putin e Netanyahu (il leader che è stato più volte di tutti al Cremlino) sono quasi sempre pronti a mettersi d’accordo.
Lo stesso ministro degli esteri turco Hakan Fidan ha ammesso che la Turchia ha convinto la Russia (e l’Iran) a non intervenire in Siria in aiuto ad Assad durante l’offensiva dei ribelli. Questo intervento di Ankara ha a che fare anche con la guerra ucraina: i turchi detengono sul Bosforo le chiavi del Mar Nero, Erdogan ha già dimostrato di negoziare con un successo con Putin e i turchi sanno perfettamente che Mosca considera vitale poter contare su una base navale nel Mediterraneo per la sua flotta nel Mar Nero.
PUTIN NON CHIEDE solo annessioni territoriali e tornare a vendere gas in Europa ma una profondità navale strategica per reclamare la sua zona di influenza. Agli europei, nutriti da anni di retorica bellicista e di fake news, può apparire come un notizia incredibile ma Mosca, almeno per il momento, ha vinto la guerra.
Anche la battaglia del Mar Rosso tra gli Houth filo-iraniani e gli americani ha il suo corollario strategico. Gli Houthi controllano dal 2014 la capitale Sanaa e gran parte del territorio a Nord, dicono che vogliono colpire le navi dirette in Israele finché durerà l’assedio di Gaza e in passato hanno anche lanciato attacchi missilisti contro il porto ebraico di Eilat, così come nel 2019 avevano bersagliato gli impianti petroliferi sauditi.
La mancata reazione americana a protezione del regno wahabita allora fu uno dei grandi motivi di dissenso tra Washington e Riad che pure dalla guerra aperta agli Houthi, lanciata nel 2015, è uscita pesantemente sconfitta. Oggi gli americani intendono vendicare i sauditi, ospiti delle trattative con Mosca e Kiev, e convincerli a entrate nel Patto di Abramo con Israele.