I punti d'incontro tra fisica quantistica e filosofie orientali
di Daniel Tarozzi - 15/09/2017
Fonte: Scienza e Conoscenza
Nel 1975 Fritjof Capra – fisico e teorico dei sistemi – pubblica Il Tao della Fisica, un libro destinato a fare la storia e continuamente ristampato in tutto il mondo, con grandissimo successo, ancora a distanza di 35 anni. Capra, nel suo libro, dimostra le straordinarie analogie tra quanto veniva predicato nelle antiche filosofie orientali e quanto veniva scoperto dalla moderna fisica quantistica. Mistica e scienza, in epoche diverse e in culture diverse, sembra arrivassero a conclusioni straordinariamente simili.
Da quel momento, una serie di pensatori ha avuto uno strumento in più per cercare quell’incontro tra scienza e spiritualità che in passato costitutiva la norma, ma che nell’epoca moderna sembra inconcepibile. I grandi matematici, nell’antichità, erano infatti sempre grandi filosofi e i grandi filosofi erano grandi matematici. Non a caso, persino l’inventore del celebre teorema di Pitagora, che intimorisce da sempre i bambini sui banchi di tutto il mondo, viene poi riscoperto nei libri di filosofia. Nonostante questo, nel moderno occidente era probabilmente inevitabile e “sano” che la scienza si emancipasse dalla spiritualità.
La “nostra spiritualità”, infatti, si era canalizzata, nei secoli, negli austeri dogmi delle religioni monoteistiche: ebraismo, cristianesimo, islamismo. Tre grandi religioni che, però, si sono spesso opposte alla scienza e che la scienza ha poi considerato come un nemico. Mentre l'incontro tra la spiritualità orientale, o quella dei greci, e la scienza tout court è stata in qualche modo naturale e forse inevitabile. Con la fisica quantistica, però, è forse finalmente giunto il momento di un nuovo confronto tra le due facce della medaglia. Scienza e spiritualità possono per la prima volta incontrarsi percorrendo una via occidentale.
La fisica quantistica sta veramente rivoluzionando l’intera concezione della realtà. Le implicazioni delle scoperte degli ultimi decenni, tuttavia, non hanno ancora nemmeno cominciato a scalfire le nostre convinzioni. Ma, quando cominceremo ad intuire le implicazioni di quanto scoperto dagli scienziati, il mondo non potrà più essere lo stesso...
Chiediamo il parere dell'astrofisico Massimo Teodorani e del Fisico Vittorio Marchi.
Daniel Tarozzi - Qual è il rapporto tra scienza e ricerca di “Dio”?
Massimo Teodorani - Non vedo nessun rapporto. Sono due strade diametralmente opposte, completamente inconciliabili, a mio parere. Ricercare Dio addormenta la ragione, spinge alla contemplazione, porta alla stasi, e si basa su una “fede”: per carità, io ammiro chi riesce a essere così forte da sostenersi con una fede. Ricercare il segreto della materia nasce esclusivamente dall’uso della ragione e, per chi lo sa o vuole fare, sotto la guida dell’intuizione. Chi usa solo la ragione ovviamente non può intravedere una coscienza nell’Universo; chi usa anche l’intuito – ovvero: quella specie di “radar” che guida la nave e il motore che la muove, per ricordare una delle tante metafore di David Bohm – non solo può percepire la coscienza, ma può anche asservire la ragione a scopi molto focalizzati specialmente con il sostegno della volontà. Ciò, però, non significa arrivare a Dio, significa forse solo diventare parte della sua mente. La mente di un ente non localizzato né nello spazio né nel tempo, e che probabilmente risiede nel vuoto e nelle particelle virtuali che ne nascono e muoiono. L’obiettivo è mentale. Trovare realmente Dio significa saper usare anche il cuore, ma questo, proprio per costituzione interna, non riguarda gli scienziati, che si accontentano di dire alla mente di fare cose che siano giuste (forse questo è guidato dal cuore? Non lo so e forse non lo saprò mai).
Vittorio Marchi - Il rapporto è una relazione complessa e, a tratti, addirittura conflittuale, tra due polarità competitive. Non dimentichiamo che la frattura tra scienza e religione si è consumata appena tre decenni fa, quando, – nel 1981 – la National Academy of Sciences degli USA ha emesso una sentenza di formale divorzio: “Religione e Scienza sono due dimensioni del pensiero umano distinte e reciprocamente esclusive”. In realtà, questa “incompatibilità” ha a che fare più con la competizione tra diversi dogmi che con un intrinseco conflitto tra Scienza e Dio. Dopo il divorzio, comunque, il risentimento tra le parti anziché attenuarsi si è acuito. Come ha osservato il premio nobel Joshua Lederberg, biologo molecolare presso la Rockefeller University, “lo spazio di cui Dio può disporre continua a ridursi progressivamente”.
Daniel Tarozzi - Dopo la pubblicazione del Tao della Fisica, si parla ormai da oltre tre decenni di incontro tra oriente e occidente, tra scienza e mistica. Cosa pensate di questo incontro?
Massimo Teodorani - Penso che sia un’occasione positiva di crescita sia per noi occidentali che per gli orientali stessi. Del resto il cervello umano è strutturato sia in maniera razionale che in maniera intuitiva. Non vedo perché le due funzioni non debbano interagire tra di loro. Un “uomo spezzato” è portato a spezzare il mondo impedendo, così, ogni forma di scambio o interazione, che invece potrebbe far evolvere entrambi i lati della medaglia. Io, però, continuo ad osservare il mondo dal versante razionalista. Credo profondamente nei metodi “classici” della Scienza, della Fisica in particolare, ma penso anche che una radio senza antenna possa funzionare male o per nulla. Una scienza razionalista senza l’antenna dell’intuizione, quindi, non solo non può portare da nessuna parte, ma può addirittura pervertire i suoi veri scopi. Una scienza senza coscienza è come una pistola carica nelle mani di un bambino immaturo che non pondera le sue decisioni e le sue azioni. L’unione tra creatività/intuizione e razionalità deve perciò avvenire (l’umanità ne ha un profondo bisogno), ma non attraverso una mera fusione tra le due qualità dello spirito umano. Un’antenna fusa assieme, e senza criterio logico, ad un amplificatore radio produrrebbe solamente un’accozzaglia inutile. Un’antenna mirabilmente asservita all’amplificatore può invece potenziare, anche grandemente, l’apparato radio stesso. Non dimentichiamo che la Ragione non serve solo a fare missili o computer, ma anche a vegliare sul nostro agire: e, per questo motivo, la Ragione stessa è un’altra attitudine fondamentale del nostro esistere. Se devolvessimo la nostra conoscenza al puro “sciamanesimo” usciremmo completamente fuori controllo: ciò lascerebbe spazio solo alla pazzia e a società totalmente derelitte. Ciò non toglie che il singolo debba raccogliersi ogni tanto in meditazione, come se ricorresse ad una specie di benefica doccia per scacciare le impurità. Ma deve poi passare subito all’azione, ovvero a gesti che richiedono l’effetto operativo della razionalità. Perché, pur avendo uno spirito, siamo fatti di materia e viviamo in un mondo di materia che non è per nulla un’illusione: è così che funziona la vita, e non possiamo sottrarci alle sue leggi. La razionalità ci deve aiutare a cavalcare l’onda senza cadere, mentre l’intuizione ci deve guidare in una direzione che sia giusta e corretta.
Vittorio Marchi - Penso che non ci possa essere nulla di più fecondo ed inevitabile. Oriente ed occidente sono per la Terra e per il suo mentale, quello che sono il lobo destro e quello sinistro per il cervello umano. Mistico, devozionale, contemplativo, spirituale, assoluto il primo. Logico, razionale, analitico, scientifico e relativo, il secondo. Come per i due lobi frontali della testa, (metà e metà a costituire l’unità) le due polarità oriente ed occidente (anch’esse una benedizione a metà del pianeta) hanno una funzione congiunta, equilibratrice ed indissolubile. Una qualsiasi “struttura” vivente, per funzionare, non può prescindere da questa inscindibile unità. Si spiega allora come oggi la fisica moderna (la fisica quantistica) ci porti ad una concezione del mondo che è sostanzialmente “mistica”. Ciò perché, a differenza della fisica meccanicistica occidentale, tutta concentrata sull’inerte, la concezione orientale del mondo è di tipo “organicistico”. Si tratta allora di incominciare a cambiare il significato degli opposti e a ridefinire il rapporto inevitabilmente integrativo esistente tra di essi e considerare la loro necessità di (co)esistere fino al punto di fondersi, poiché dal dinamismo delle due polarità dipende l’eterna tensione della vita, metà e metà di un’unica indissolubile Realtà. Proprio in quella diversità, infatti, i due mondi, l’occidentale e l’orientale, si fondono (e si fonderanno) fino a colmare l’”apparente” dualità; a quel punto la “diade” diventerà un tutt’unico: una, unica, assoluta ed indissolubile in tutti i suoi aspetti, nessuno escluso. È un’impresa, un incontro che i più ritengono impossibile in quanto sfida apertamente tutto ciò che agli esseri umani sia mai stato insegnato tramite quelle credenze assimilate che li mantengono in questa illusione, fissi al loro posto. Ciò perché gli uomini non hanno ancora capito quello che vorrebbe esprimere il simbolo del “Tao”, adottato anche dalla fisica di Niels Bohr e di Fritjof Capra: il mondo è ciò che è, una coesistenza di oriente e di occidente, proprio come il giorno (“dies”,”djos”, in sanscrito dio), che è una coesistenza del dì (dove nasce la luce d’oriente) e della notte (dove tramonta la luce d’occidente). La luce (pensiero Vivente), è sempre luce. Non ha una patria. Con un acronimo, si può definire come quella cosa che è La Unica Cosa Esistente.