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I ricatti e le mosse degli Usa contro la Russia (via Ue)

di Mauro Bottarelli - 27/03/2018

I ricatti e le mosse degli Usa contro la Russia (via Ue)

Fonte: Il Sussidiario

Gli Stati Uniti continuano a punzecchiare e ad attaccare la Russia, usando nel suo piano anche l’Europa, mediante una strategia non molto limpida

Per carità di patria, evito di toccare l’argomento della vergognosa pantomima politica consumatasi a Camera e Senato nel fine settimana: se questo è il nuovo che avanza, non stupisce che BlackRock abbia annunciato vendita sistematica e altrettanto sistematico mantenimento al largo dei loro portafogli di investimento dai Btp italiani. Ma siccome è stato il popolo italiano a creare le condizioni di questo disastro con il suo libero voto, così sia. Ci sarà tempo per piangere e maledire il 4 marzo. Ci sono, però, cose più importanti che si sono mosse e continuano a muoversi sotto traccia sui mercati e nelle stanze della politica che conta davvero. Oltre che nelle strade della nostra Europa, soprattutto quelle francesi.

E partiamo proprio da qui, dal ritorno dell’Isis sulla scena europea che avevo facilmente anticipato la scorsa settimana: certe centrali di potere parallelo sono sì potenti e segrete ma anche abbastanza scontate nelle loro mosse, almeno quelle più eclatanti. Oggi i media glorificano, giustamente, il sacrificio del gendarme eroe e avanzano arditi collegamenti fra il terrorista del supermarket e il commando dell’attacco sulla Rambla di Barcellona dello scorso agosto, ma restano i fatti: il 26enne di origine marocchina era noto ai servizi, era un “Fiche S”, un sorvegliato per radicalizzazione ma con precedenti solo per reati comuni. Un classico: delinquente da poco che scopre la via della salvezza in moschea o in galera e decide di entrare in azione come lupo solitario. Non a caso, l’Isis ha subito rivendicato come propria l’azione, dopo mesi e mesi di silenzio.

Questa volta non è stato necessario ritrovare il passaporto in bella vista per scoprire tutto del terrorista della porta accanto, sappiamo addirittura che prima di entrare in azione ha accompagnato a scuola la sorellina minore. D’altronde, come nella migliore tradizione, è stato ucciso: e i morti non parlano. Ma lo ha fatto prima, parecchio: ha rivendicato la sua azione come vendetta per la Siria e chiesto la liberazione di Salah Abdelslam, l’unico sopravvissuto dell’attacco al Bataclan, ora sotto processo, prima che le teste di cuoio lo facessero secco. Due riferimenti chiari: uno all’attualità geopolitica, tornata prepotentemente a galla in queste settimane, con i russi che per le tv occidentali hanno ricominciato a fare strage di civili con i loro raid aerei fuori Damasco. Quindi, oltre che avvelenatori di spie, anche assassini a sangue freddo di studenti innocenti (chissà chi ha instradato quei ragazzi verso un’area soggetto ad attacchi aerei, tramutandoli in bersaglio?). Poi, Abdelslam, un nome che deve tornare a fare paura, dopo che il suo processo si è tramutato in una scena muta e il suo avvocato difensore a rinunciato al mandato, definendo l’assistito «intelligente quanto un posacenere»: ma capace prima di essere a capo di un commando che fa 130 morti in piena Parigi e poi di fare la primula rossa tra Francia e Belgio per settimana, scappando anche dentro un armadio. Sarà. Ma se Abdelslam viene “riabilitato” nel suo ruolo di combattente dell’Isis in questo modo, allora il suo nome torna sulle pagine dei giornali, insieme al ricordo nel Paese e nella cittadinanza del massacro parigino di quella notte di novembre: paura generalizzata a buon mercato, una manna.

Perché? Perché le prime pagine dei giornali nelle edicole francesi venerdì mattina, giorno dell’attentato a Carcassone, erano terribili e divise equamente in due: l’arresto di Nicolas Sarkozy per l’affaire delle tangenti libiche e le manifestazioni di masse dei sindacati contro le politiche economiche di Macron, culminate a Parigi in violenti scontri fra casseurs e polizia. Vuoi mettere le prime pagine di sabato, tipo questa: certo, Sarkozy e i suoi guai sono ancora presenti ma in piccolo, mentre l’apertura è dedicata al ritorno della minaccia islamica.

Ma c’è anche altro, come vedete: Trump che infarcisce ulteriormente il suo gabinetto di falchi neo-con con l’arrivo di John Bolton come consigliere per la Sicurezza nazionale al posto di Raymond McMaster, nemmeno a dirlo licenziato con un tweet. E qual è uno dei chiodi fissi di Bolton? La distruzione dell’accordo sul nucleare con l’Iran sponsorizzato da Barack Obama, quindi un bel guerrafondaio a fare da spalle alle decisioni di un folle e del Deep State che lo muove come un burattino, dal Pentagono in là. Caso strano, domenica all’alba, forse ringalluzzita da questo ennesimo rimpasto alla Casa Bianca, l’aeronautica israeliana ha bombardato con un drone un campo di Hamas e a Gaza e, contemporaneamente, gli Usa hanno colpito una riunione di capi di Al Qaeda in Libia. Warfare in fase di riscaldamento, l’economia richiede guerra. Ecco quindi che torna strumentale la minaccia islamista, sia interna che estera. E tutto con timing perfetto.

Prendiamo proprio l’attacco nel sud della Francia. Non solo ha rinnovato l’esistenza di un fantasma che ha aleggiato per mesi nella società transalpina, garantendo mano libera al potere attraverso lo stato di emergenza post-Bataclan (non a caso, messo in Costituzione a livello di poteri speciali, un po’ come a noi è stato imposto il pareggio di bilancio), ma ha anche sortito un duplice effetto politico: ha silenziato il malcontento popolare verso la politica economica di Emmanuel Macron ma anche tolto un po’ dai riflettori Nicolas Sarkozy, il quale non solo è stato fedele servitore degli interessi Usa quando era all’Eliseo, ma che potrebbe fungere da sgradevole detonatore per il ritorno in auge della vicenda libica, ivi compreso lo strano assalto all’ambasciata Usa di Bengasi e la storiaccia delle armi per i “ribelli” siriani che partivano proprio da pertinenze che facevano capo al Dipartimento di Stato, guidato all’epoca da Hillary Clinton attraverso le sue mail incriminate e il suo server privato.

E il secondo effetto? Mandare un monito a Macron: basta con la tiepidezza verso Mosca sulla questione della spia russa avvelenata, occorre schierarsi decisamente al fianco della posizione parossistica di Londra. E, guarda caso, al vertice Ue proprio di venerdì, abbandonato in fretta e furia da Macron per tornare in patria, cosa è stato deciso? L’Ue sta valutando misure ritorsive contro la Russia, compresa l’espulsione di diplomatici e Angela Merkel ha annunciato un pacchetto di misure particolari al riguardo, concordate proprio con la Francia a livello bilaterale. D’altronde, il terrorista di Carcassone ha motivato il suo gesto come ritorsione per le stragi in Siria, perpetrate dall’esercito di Assad e dai guai cattivoni dei suoi alleati russi. Il tutto, con il sottofondo di stragi di civili fra Damasco ed Est Goutha. D’altronde, nelle stesse ore e allo stesso vertice, l’Europa stava pietendo da Donald Trump lo status di partner esentato dai dazi su acciaio e alluminio, per adesso garantito solo fino a maggio. Una brutta faccenda, soprattutto per la Germania. Talmente brutta che qualcuno al vertice Ue ha parlato di Stati Uniti che sul tema trattano con l’Europa puntando una pistola alla tempia. Ma c’è dell’altro, strettamente connesso a un altro, contemporaneo veto Usa verso l’Europa di cui però i giornali non parlano: questo.

Il Dipartimento di Stato ha infatti diramato una nota nella quale vengono minacciata di penalità economiche le aziende europee che collaborino all’interno del consorzio petrolifero Nord Stream 2, quello per capirci che porterà l’energia russa nel cuore d’Europa e che per gli Usa, bontà loro che si preoccupano, rappresenta invece «una minaccia che mette a repentaglio la sicurezza energetica dell’Ue». Insomma, la guerra alla Russia non passa solo dalle inchieste sulle presunte interferenze elettorali e o sull’avvelenamento di spie, ma anche sul ricatto energetico che Mosca potrebbe esercitare su molte nazioni Ue e, soprattutto, sull’Ucraina. Paese quest’ultimo che vede Hunter Biden, figlio di Joe, membro del board dell’azienda energetica di Stato, Burisma, ruolo a cui è giunto subito dopo il golpe del 2014: tutte coincidenze, ovviamente.

E chi ci rimetterebbe di più? La tedesca Uniper, l’austriaca Omv, la francese Engie, la Wintershall e la Royal Dutch Shell. E per bloccare il progetto destinato a unire Russia e Germania, passando sotto il Mar Baltico, il Dipartimento di Stato ha evocato qualcosa di ben più serio dei dazi su acciaio e alluminio, ovvero il Caatsa, ovvero il Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act, ovvero la legge che permette agli Usa di imporre sanzioni economiche ai Paesi che nel mettono a repentaglio la sicurezza, anche economica ed energetica. Altro che dazi su acciaio e alluminio, signori miei, qui siamo al ricatto puro e semplice, garantito dal vassallaggio pluridecennale dell’America sull’Europa, di fatto garantito da quella Germania ventre molle e cavallo di Troia come conseguenza delle riparazioni politiche post-Seconda guerra mondiale. Insomma, c’è fermento. Un fermento pericoloso.

E i mercati? Ecco qui ciò che conta: l’esplosione del Libor ha già cominciato a fare danni. Silenziosi ma pesanti, molto pesanti per chi opera e ragiona sul lungo periodo attraverso certe dinamiche. Occorre muoversi. Per questo serve gente come Bolton. O come il radicalizzato di Carcassone, come tutti i suoi predecessori ben noto ai servizi e che prima di fare una strage in nome di Allah e dell’Isis, porta la sorellina a scuola, magari comprandole anche la merenda. C’è da aver paura. Davvero.

 

P.S.: Mentre starete leggendo questo articolo, io sarò un’altra volta sotto i ferri. Ci risentiamo quindi fra qualche giorno. Speriamo…