Viviamo in tempi piuttosto confusi nei quali l’arbitrio di innumerevoli opinioni si scatena, assai frequentemente, in discussioni su svariati temi posti alla ribalta dai mezzi che orientano il dibattito pubblico, affinché le masse possano sterilmente accapigliarsi, in maniera aporetica, su questioni il cui merito è materia alquanto controversa.
Due esempi di questo fenomeno sono le recenti (ed inutili) discussioni sui vaccini (scatenate dal provvedimento inutilmente draconiano della ministressa della Sanità), e quelle, per la verità più “di lunga durata”, sul riscaldamento globale. In queste discussioni, la sapienza di “mi cuggino” si mescola alla competenza del caciottaro (che, peraltro, è indiscussa pe ciò che riguarda la fabbricazione delle caciotte), e si condensa nella sintesi dell’”espertone” di turno che, dall’alto di un principium auctoritas de noantri, bulleggia le masse dissenzienti dalla sua interessata doxa.
Questo disdicevole spettacolo, che ci pare più una lotta nel fango tra spogliarelliste che un dibattito, desta in noi un certo fastidio, ma fa anche sorgere alcuni interrogativi, che non riguardano certo la funzione di questi sterili dibatti, che è quella di fornire alle masse un po’ di circenses in un’epoca di scarsità di panem.
È bene, quindi, non fermarsi alla superficie di questi fenomeni ma indagare un poco sulla funzione sociale di quello che viene definito “scienza” che, in questa sede, definiremo, sulla scia di altri, “lascienza”[1].
Lascienza rappresenta, nella vulgata moderna, ciò che è la scienza per gli epistemologi.
Per chiarire meglio questo concetto, potremmo dire che lascienza è la scienza sub specie Petri Angelae, quell’arzillo vecchietto che, ormai decenni orsono, creò una fortunata serie televisiva che ha dato grande impulso alla mitologia de lascienza.
Dato il carattere della trasmissione, che si rivolgeva, in prevalenza ad un pubblico progressista e semicolto, l’arzillo vecchietto, allora nel fiore degli anni, scelse di battezzarla con un nome atto a farla sembrare estremamente à la page, e che avesse il tocco di spumeggiante modernità e giovanile freschezza di un formaggio spalmabile. Il nome scelto fu “Quark”, dal nome della particella subatomica scoperta e così nominata dal fisico Murrary Gell-Mann (che scrisse anche un pregevole libro dal titolo “The Quark and the Jaguar” che, purtroppo, ai nostri giorni, fa pensare alla descrizione di un viaggio di Pierluigi Bersani a Philadelphia).
Il nome fu davvero indovinato: non era inutilmente complicato come, ad esempio “Superstringa” o “Equazione di Dirac”, e non aveva quel sapore un po’ volgarotto, al limite dell’omofobia, come il “Bosone di Higgs”.
Ebbene, quella trasmissione rappresenta l’epitome, ancor oggi insuperata, di ciò che, in questa sede, definiamo “lascienza”, assumendo il ruolo di Defensor Fidei di questo moderno culto per poveri di spirito semicolti. Non pago di questo, l’arzillo vecchietto, come ogni defensor fidei che si rispetti, volle anche costituire una sorta di “tribunale per la dottrina della fede”, fondando il cosiddetto CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale).
Il fatto è che, quando qualcuno inizia ad autonominarsi defensor fidei, il passo successivo, in genere, è quello di invocare la censura nei confronti delle eresie e delle apostasie. Ciò è quello che si è verificato grazie a numerosi epigoni, gli “espertoni” o gliscienziati, che dir si voglia. E quel tribunaletto amatoriale fu una sorta di prototipo per tanti altri che sono sorti per gemmazione o semplice imitatio (non stiamo dicendo che vi sia una connessione causale diretta, naturalmente, ma le vie dello Zeitgeist sono infinite), in difesa di tante altre, particolari, ortodossie.
Un esempio recente di questi tribunaletti, sono le varie, sedicenti entità di “smascheramento delle fake news” che oggi vanno tanto di moda e sono, in genere, affidate a personaggetti modestini modestini che, animati da un sacro fuoco delatorio, sono attivissimi sulla rete informatica
[Nota lessicale: “fake news”, nella vulgata propagandata dai veri generatori di fake news, ovvero i mezzi di comunicazione di massa “ufficiali”, non significa “notizie false”, ma notizie che si discostano dalla versione ortodossa dei mezzi di comunicazione di massa “ufficiali” che, in genere, è falsa. Comprendiamo che questa definizione è alquanto circolare ma, avvertiamo il lettore che questo è solo il primo dei tanti ouroburos (l’immagine alchemica del serpente che si morde la coda, che si potrebbe anche definire come “chicken-egg loop”) incontreranno in questo scritto]
L’arzillo vecchietto del quale, in fondo, non ci cale più di tanto, ci serviva come paradigma per illustrare la mitologia scientifica miserella dei nostri tempi che, tuttavia, non ha solo la funzione di alimentare la confusione di cui parlavamo all’inizio, ma anche altre funzioni che sono assai più rilevanti.
È bene, quindi, a questo punto, fare qualche passo indietro , e scrutare un poco più a fondo, che cosa sia la “scienza” che, oggigiorno, è come l’Araba Fenice: “che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”; e come si distingua da “lascienza” che, parafrasando, “dove sia ciascuno è convinto di sapere”
Il termine “scienza”, come tutti sanno, deriva dal latino “scientia” che, come altrettanti sanno, significa semplicemente “conoscenza”. Nell’accezione moderna, questo vocabolo è venuto ad assumere il significato di “conoscenza secondo un determinato metodo”. Se si pone la domanda: “quale metodo?”, la risposta, in genere, sarà: “secondo il metodo scientifico”. E qui ricaschiamo tra le spire dell’Ouroburos (o, per i moderni, del “chicken-egg loop”) perchè, anche per il cosiddetto “metodo scientifico” è come la mitica Araba Fenice: “che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”.
Naturalmente, stiamo stiracchiando un po’ la questione, fino a farne assumere l’aspetto di una tautologia, tuttavia ciò serve a sottolineare quanto sia difficile discernere tra la “scienza” e “lascienza”, mentre è assai facile trasformare la prima nella seconda: basta applicare una semplice ricette, come quelle che vengono spiegate in quelle trasmissioni culinarie che ci dicono essere tanto di moda di questi tempi.
Si prende l’espertone di turno, accreditato di un principium auctoritas socialmente riconosciuto (o anche imposto), che sia dotato di un pensiero abbastanza elementare, dal punto di vista epistemologico. Se è possibile è meglio scegliere qualcuno che sia poco proclive al dubbio (che, tra parentesi, dovrebbe essere alla base del “metodo scientifico”) e, ancora meglio, che sia gravato da conflitti d’interesse (ciò lo rende più aggressivo perché, oltre ad interpretare la parte del defensor fidei, è anche defensor commodi sui). Quindi si si scatena il suo ego inflazionato affinchè egli scateni nella pugna il suo ipse dixit per tracciare i confini de lascienza, accusando i dissenzienti di essere al di fuori di quei confini.
E questo è il terzo Ouroburos/chicken-egg-loop della serie, che potrebbe essere illustrato così: «Lascience c’est moi, quindi i confini li traccio io» (perché io parlo in nome de lascienza)
Lascienza diventa così un potente metodo “governamentale” (come diceva Foucault con un neologismo sgraziatello), perché, allo stesso modo delle notizie propinate dai mezzi di comunicazione di comunicazione di massa (ufficiali), crea l’immagine della realtà determinando l’”orizzonte del possibile”, ovvero la realtà che è lecito non solo concepire, ma anche percepire (accenneremo nelle parti successiveo alle “qualità primarie e alle “qualità secondarie” galileiane), i confini nei quali è delimitato il pensiero della cosiddetta “opinione pubblica” (termine coniato da Walter Lippman che, di manipolazione, ne sapeva qualcosa).
Da questo punto di vista, lascienza è come tanti altri strumenti di governo “impliciti”[2], perché, limitando i confini della realtà concepibile, per ciò stesso, mantiene il pensiero all’interno del recinto della Weltanshauung dominante (o, anglofonicamente: il mainstream).
È il corrispettivo gnoseologico di ciò che è il “vincolo esterno” o il thatcheriano TINA (There Is No Alternative) in politica[3]. Quest’ ultimo funziona nel modo seguente: si ipostatizzano obblighi politico-economici imprescindibili, determinati da:
- A) un orientamento economico che si è deciso di adottare (e che viene gabellato da espertoni “di regime” come lex naturalis e, quindi, l’optimum secondo lateoria),
- B) accordi internazionali ai quali si è deciso di aderire, gabelandoli come ontologicamente necessari, la cui inesorabilità è quindi paragonabile a quella che caratterizza l’entropia che, per definizione, è irreversibile.
In questo modo si delimita il campo delle possibili scelte, rendendole tutte impossibili poiché, secondo postulato, questo campo è definito da principi assoluti e ineludibili (Lex naturalis, appunto), quasi fossero stabiliti da “la provedenza che governa il mondo” o, per usare una diversa metafora, dalla meccanica newtoniana. E quindi non possano costituire oggetto di discussione o, tanto meno, di scelta democratica.
Qui si può notare una sinistra concordanza con un’altra corbelleria che, in questi tempi di Babele semantica, viene spacciata con una certa insistenza, che recita: “la scienza non è democratica” (ovviamente, in questo caso si parla de lascienza), che non significa altro che lascienza è quella definita dall’espertone di turno e, come tale, deve assumere il ruolo di “vincolo esterno” alla realtà concepibile (e anche al discorso lecito). Questa sonora scempiaggine, segno piuttosto evidenze della stupidà di chi la afferma, è minata da una doppia fallacia.
La prima è una fallacia logica, poiché compara due domini descrittivi non equivalenti, poichè la scienza è attinente al dominio cognitivo(al conrario de lascienza, che attiene a tutto), e la democrazia, la definizione di una modalità di governo. Per dirlo coi greci: la prima attiene all’epistème, la seconda alla praxis. Dal punto di vista della logica, confondere i due piani, è come paragonare le proprietà nutrizionali di una fragola, a quelle di un verso di Dante.
La seconda è una fallacia epistemologica: da un certo punto di vista, la scienza, al contrario de lascienza, è pienamente democratica. Il suo metodo sperimentale ricusa il principium auctoritas, l’ipse dixit (al quale, viceversa fanno sempre ricorso gliscienzati, anche se, in questi casi, trattasi di ego dixi), perché prevede che l’esperimento debba essere riproducibile. La riproducibilità può essere considerata alla stregua di un “bene comune” al quale (per statuto teorico) tutti possono attingere e concorrere, se non dal punto di vista pratico (ovviamente non è possibile per chiunque riprodurre qualsivoglia esperimento), senza dubbio da quello “veritativo”, perché prevede che sia possibile mettere in dubbio la “verità” di una specifica asserzione “scientifica”.
Nulla di più lontano dal principum auctoritas usato, ad personam, dagli espertoni (ad personam perché, in genere è la propria auctoritas quella alla quale fanno appello). Per loro lascienza è come il buon senso di Cartesio[4], qualcosa di cui credono di essere provvisti sub specie doxae (il “lascience c’est moi“ cui abbiamo accennato prima).
Ma, d’altra parte, gliscienziati di cui si parla (gli “espertoni”) sono, in genere, scarsamente dotati di “epistemic skills” (detto così, à l’americaine, è proprio figo!): come scrive Jacques Ellul:
«Ciò che appare inquietante è l’immenso divario tra i poteri di azione della tecnica sviluppati attraverso la scienza e l’incapacità degli scienziati di criticare questo potere, a dominarlo in maniera efficace»[5]
Gliscienziati, in genere, sono in grado tutt’al più di balbettare qualche banalità popperiana, di quelle che si leggono su wikipedia. E non a caso, perché l’epistemologia dell’austriaco dissodò il terreno per quella “governamentale” (alla base di un certo tipo di economicismo moderno che tanto ama i “vincoli esterni”) del suo compagno di merende alla London School of Economics e sui monti della Svizzera (Mont Pelerin), Friedrich von Hayek.[6]
[A questo proposito, consigliamo di seguire la linea filogenetica che va da “The Logic of Scientific Discovery” (1934) a “The Open Society and Its Enemies” (1945), entrambi di Poppoer, a “The use of Knowledge in Society” (1945) di Hayek]
Per i motivi suesposti, in un epoca di infinito scibile frammentato e specialistico, nel quale ogni singolo espertone conosce ogni singola foglia di un singolo albero, ma non ha neppure l’idea ch’esso sia parte di una foresta, è bene evitare di entrare nel merito delle interminabili discussioni, di cui sopra, ma è bene fermarsi un momento a riflettere sul metodo perché, come diceva Augusto Murri, clinico tra i più insigni nella storia della medicina del secolo scorso: «gli ingegni più acuti han sempre riconosciuto che la discussione sul metodo è la più essenziale e la più profonda»[7]
È luogo comune assai diffuso ritenere stolto l’osservare il dito e non la luna. Ci permettiamo di dissentire parzialmente da questo caposaldo della saggezza popolare. Nel caso in cui il dito indichi davvero la luna, è senza dubbio operazione di buon senso osservare ciò che è indicato e non lo strumento indicatore, perché la luna occupa una porzione di cielo abbastanza ampia da non necessitare di alcun indice per essere individuata. Ma, poniamo il caso che il dito indichi qualcosa di assai più minuto, disperso nella vastità della volta celeste, come, ad esempio, la Stella Polare. In questo caso il dito può costituire uno strumento prezioso: è necessario osservarlo e discernere accuratamente la direzione verso la quale è puntato, indirizzare lo sguardo coassialmente ad esso, per scorgere qualcosa di così piccolo, nascosto tra il confuso pulviscolo luminoso del cielo notturno. In questo caso, il dito è lo strumento della nostra ricerca, il metodo, la Stella Polare ne è l’oggetto, il merito.
Per tornare alle discussioni di cui abbiamo parlato all’inizio (vaccini, riscaldamento globale, ecc.), le abbiamo definite “sterili” proprio perché, in esse, vengono dibattute questioni che non è possibile conoscere in modo esaustivo. Il che significa che non ha alcun senso dibattere nel merito perché, in ogni caso, nessuno è in grado di sviscerare tutte le problematiche che esso comporta[8] (a parte l’”espertone” quando interviene col suo ego dixi).
A questo proposito ci pare opportuno citare le parole di Günther Anders:
«Per quanto uno sappia, nessuno di noi «sa» in un senso realmente adeguato all’effettiva realizzazione: il comandante in capo né più né meno dell’ultimo fantaccino, il presidente né più né meno dell’ultimo operaio. Perché il dislivello tra sapere e capire sussiste senza riguardo alla persona, senza distinzione di rango; nessuno di noi fa eccezione: Il che significa che qui non ci sono competenti; e che il potere di disporre dell’Apocalisse è, per principio, nelle mani di incompetenti»»[9]
Diversamente dal merito, il metodo, può invece aiutare a discernere: la luna, come le “verità scientifiche”, non rimane mai fissa vaga nella volta celeste. Essendo l’osservatore provvisto del dito/metodo, egli potrà, in qualsiasi momento, indicarne la posizione (che è una “verità topografica” cangiante).
Come in certi giuochi enigmistici, è importante, in questo caso, “unire i puntini”, per formare, coi dati della nostra conoscenza, una figura coerente, che è quella che forma la nostra “immagine del mondo” (tratteremo di questo nella seconda parte).
Visto che parlavamo di volta celeste, possiamo dire che i puntini sono come le stelle, “milioni di milioni”: è impossibile conoscere i nomi di tutte, o anche solo riconoscerle nell’immenso spazio siderale, se non si adotta un artifizio per collocarle in forme coerenti ,che abbiano un significato per l’osservatore, e che possano essere ricordate mediante riferimenti spaziali e lessicali. Pertanto è invalso l’uso di raggrupparle in costellazioni, utili da inserire nel proprio cl “classificatore mentale”. Sono metafore di porzioni di spazio arbitrariamente delimitate da linee immaginarie delimitate da stelle.
Abbiamo introdotto il tema della metafora perché la scienza in generale, e le scienze particolari, sono sistemi di metafore indispensabili affinchè la nostra mente possa classificare i fenomeni e gli oggetti del vasto mondo.
«Si può dire che la più importante innovazione nelle strutture della conoscenza, nell’epoca moderna, sia stata la sostituzione della filosofia/teologia con la scienza, come metafora chentrale dell’organizzazione della conoscenza. E, soprattutto, la predominanza di uno specifico metodo scientifico (che, semplicisticamente potremmo definire newtoniano) che ha rivendicato essere l’unica modalità legittima di conoscenza[10]»
Per non appesantire troppo questa prima parte, ci fermeremo qui, alla scienza come metafora, oggi la principale, tra quelle che descrivono il campo, più ampio, della conoscenza. Nella prossima parte ci addentreremo più in profondità nei “tortuosi sentieri della canoscenza”.
[1] Neologismo scaturito da quello che Philip Mirowski definirebbe un “collettivo di pensiero” (Cfr. Philip Miorwski, Dieter Plehwe, The Road from Monte Pelerin, Harvard University Press, Cambridge, MT 2009, pp. 417-446). Vedi:
http://goofynomics.blogspot.it/2017/07/lascienza-tratto-da-una-storia-vera.html
http://ilpedante.org/post/ha-vinto-lascienza
http://goofynomics.blogspot.it/2017/08/euclide-ronchi-e-lascienza-post-ad.html
[2] Ovvero, non esplicitati normativamente: non è mai sata ufficialmente proibita la libertà di pensiero, almeno finora)
[3] Un pretesto apparentemente inoppugnabile, quello del vincolo esterno, del “ce lo chiede l’Europa”, supportato da una vastissima gamma di motivazioni: da quelle alte, come il sogno di un grande abbraccio europeo (con la pretestuosa e astorica identificazione di Europa ed euro); a quelle più sfacciatamente fasciste, come l’idea che essendo gli italiani incapaci di governarsi da soli, il manganello del vincolo esterno sia loro necessario. (Alberto Bagnai,Il tramonto dell’euro, Imprimatur, Reggio Emilia 2012, p.258)
[4] “Il buon senso è la cosa meglio distribuita nel mondo poiché ciascuno pensa d’esserne così ben provvisto che anche coloro che più difficilmente si accontentano di ogni altra cosa non sogliono desiderarne più di quel che ne hanno” (Cfr. Discorso sul metodo)
[5] J. Ellul, Il sistema tecnico, Jaca Book, Milano 2009, p.315
[6] Vedi:
- Daniel S. Jones, Masters of the universe : Hayek, Friedman, and the birth of neoliberal politics, Princeton University Press, Princeton 2012
- Foucault, La Naissance de la biopolitique. Cours au Collège de France (1978-1979), Gallimard, Paris 2004
- Mirowski, D. Plehwe, The road from Mont Pèlerin. The Making of the Neoliberal Thought Collective, Harvard University Press, Cambridge, Ma 2009
- Mirowski, Never Let a Serious Crisis Go to Waste: How Neoliberalism Survived the Financial Meltdown, Verso, London 2014
- Nicholas Wapshott, Keynes Hayek, the clash that defined the modern economics, W.W. Norton and Co., New York 2011
[7]Augusto Murri A. (1924). Pensieri e precetti. Bologna: Zanichelli Editore
(in: Antiseri, D., Federspil, G. Scandellari, C.. Epistemologia, clinica medica e la “questione” delle medicine “eretiche, Rubbettino Editore, Catanzaro 2003
[8] E qui parliamo di indeterminatezza epistemica, domini descrittivi non equivalenti (concetto che spiegheremo nelle parti successive), “principio di precauzuìione”, influenze “spurie” nelle conclusioni delle ricerche, conflitti d’interesse “intrinseci” (ovvero non necessariamente economici), ecc
[9]Günther Anders, L’uomo è antiquato. Vol.1: Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale., Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 253
[10] Terence K. Hopkins, Immanuel Wallerstein, The Age of Transition,Trajectory the Wor!d-System, 1945-2025, Zed Books, London 1996, p.7