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I trucchi del mondo capovolto

di Roberto Pecchioli - 09/02/2025

I trucchi del mondo capovolto

Fonte: EreticaMente

Nella società dello spettacolo, è lo spettacolo a determinare valori e disvalori. Non avremmo la cultura woke, non saremmo prigionieri della teoria gender senza Hollywood e senza l’azione dei padroni dell’intrattenimento, punta di lancia del mondo al contrario. Speriamo senza convinzione che Donald Trump cambi le cose. Un esempio è il film Emilia Pérez, con ben tredici candidature all’Oscar. Ne è interprete l’attore/attrice Karla Sofìa Gascòn, transessuale; è la storia di un boss della droga che vuole diventare donna, o, per un usare il linguaggio dei padroni delle parole, che intende intraprendere un percorso di riassegnazione del genere. Gascòn è candidat* all’Oscar come migliore protagonista femminile: al di là delle doti attorali, un evidente gesto politico. Vincerebbe senz’altro, ma sono emerse alcune vecchie dichiarazioni anti islamiche e prese di posizione politicamente scorrette sull’immigrazione. La lingua di Gascòn ha battuto dove il dente (progressista) duole. Chissà se basteranno le precipitose scuse della neo star. Fatto sta che i due temi sensibili su cui è obbligatorio essere fedeli alla linea sono le teorie LGBT e l’immigrazione.

Buona parte del pubblico non si accorge dell’indottrinamento che subisce attraverso la pubblicità – sempre più pervasiva – e per mezzo di film e serie televisive. La gente crede a ciò che le viene fatto credere. Fino a un certo punto, tuttavia, come dimostra il crescente rigetto delle sciocchezze e delle follie woke. La guerra è solo all’inizio. Le serie televisive non sono innocenti: condizionano pesantemente le nostre opinioni. La narrazione (il contrario della verità) è truccata, e l’orientamento progressista dei prodotti audiovisivi di massa è parte integrante del confronto ideologico. Chiarire il modo in cui le storie narrate attraverso il cinema e la TV determinano l’opinione corrente aiuta a individuare l’ inganno. Agisce una Matrix che orienta le storie narrate ed i temi trattati, la caratterizzazione dei personaggi, persino il loro aspetto in base al messaggio positivo e negativo che intende trasmettere. Gran parte della stampa, dei creatori di opinione, degli influencer, degli agenti sociali e culturali, crea una rappresentazione spacciata per realtà, presentata come vera, indiscutibile. Ciò è possibile perché esiste un’affinità ideologica tra ideatori e produttori che rispondono al livello apicale del potere.

Lo spettatore si imbatte in temi, storie, trame che si ripetono più e più volte. Trovare la stessa idea in una commedia, in una serie d’azione, poliziesca, giudiziaria, in un racconto distopico o di fantascienza, genera la sensazione che quell’idea sia vera. O almeno, condivisa dalla parte che si considera la più illuminata ed avanzata della società: il mainstream progressista. Diffondono menzogne e falsità che diventano moneta corrente, senso comune del pubblico meno dotato di senso critico, la maggioranza diseducata a pensare. Un esempio è la serie Cambio di direzione (Disney), in cui gli attacchi alla libertà di espressione provengono sempre dalla cosiddetta estrema destra. La tesi viene prontamente rafforzata dalla camera dell’eco dei media di sinistra. Alcuni anni fa l’ attivista pro-Trump Milo Yiannopoulos tenne una conferenza all’Università di Berkeley che gli studenti woke sabotarono con la distruzione e l’incendio della sala. Tuttavia, quando la stampa liberal pubblicò la foto dell’ateneo in fiamme, la responsabilità venne attribuita al docente, definito provocatore. Tipica inversione a danno della vittima, colpevole di pensarla in modo sbagliato. La verità è che gran parte degli atti di violenza e intimidazione sono compiuti da soggetti di sinistra. Lo conferma lo studio degli psicologi Jonathan Haidt e Greg Lukianoff che hanno analizzato il fenomeno nel libro The Coddling of the Modern Mind Come le buone intenzioni e le cattive idee stanno condannando una generazione al fallimento.

Uno degli assi ideologici della Matrix delle serie televisive e del cinema è la visibilità delle minoranze, che si traduce nelle trame in una presenza preminente, costante, ossessiva di personaggi omosessuali e transessuali. Sempre, si tratta di caratterizzazioni positive o di vittime. Nella serie in lingua spagnola Elite, le relazioni gay hanno una presenza rilevante quanto le storie eterosessuali. Lo stesso accade ne Le regole del delitto perfetto, di Sky. Al di là della quantità di personaggi omo e trans, contano le qualità positive rappresentate. Il nuovo luogo comune è che l’amore gay sia esempio di fedeltà, lealtà, comprensione, generosità, rispetto alla natura burrascosa dell’amore eterosessuale, raffigurato sempre accompagnato da conflitti, contrasti, tensione. Viene in mente quanto disse l’oncologo Umberto Veronesi sulla pretesa maggiore purezza della relazione omosessuale, slegata dalla procreazione.

Questo appare chiaramente in un recente film di successo, Tutti tranne te, di Will Gluck. La pellicola ha ripreso dopo anni di oblio il filone della commedia romantica. A ben vedere, si tratta dell’ esaltazione dell’amore normale, eterosessuale, il che negli ultimi anni è diventato disdicevole, fuori moda. Il film sembra oltrepassare quell’ assurda criticità culturale ed è stato ammirato dai critici per la sua modernità, il più stupido dei criteri. Il trucco è stato collocare come sfondo delle peripezie dei protagonisti – uomo e donna – il matrimonio di due lesbiche. La trama presenta la coppia femminile come un perfetto esempio di rapporto, di affetto e assenza di conflitti. Ad un certo punto sembrano coinvolte in uno scontro, ma il pubblico si rende conto che si trattava di una bugia, di un inganno a loro danno. Inoltre, per quanto sorprendente sia, oggi le coppie omosessuali sono le uniche autorizzate dal mondo capovolto a fare progetti per i figli. Nella narrativa progressista, le coppie etero ne parlano raramente; quando i bambini compaiono sulla scena, di solito è per caso. Non sono voluti: nascono per sbaglio, come una specie di incidente di percorso .

Un’altra insidiosa forma di manipolazione sbilancia intenzionalmente la rilevanza e il peso morale dei personaggi maschili e femminili. Nell’ultima stagione della serie True Detective (Sky) con Jodie Foster, praticamente tutti i personaggi di spicco e tutti quelli positivi sono donne, mentre gli uomini sono mediocri o malvagi con comportamenti moralmente riprovevoli. Il desiderio woke di invertire le narrazioni gioca però brutti scherzi, poiché porta alla creazione di personaggi femminili possibili solo nel mondo della finzione: donne bellissime dalle forme perfette capaci, allo stesso tempo, di competere in forza e resistenza con i loro rivali maschili. Sembra tuttavia emergere una certa stanchezza verso questa formula così artificiosa, gradevole alla vista, ma poco credibile. Al loro posto cominciano a essere descritti personaggi di donne non più indistruttibili fisicamente, caratterizzate piuttosto dalla forza dei tratti psicologici. Forse perché è un adattamento del romanzo Il Signore degli Anelli, la serie Gli anelli del potere, iniziata nel 2022, presenta narrative più equilibrate, con personaggi femminili interessanti e credibili, accompagnate da soggetti maschili dalla valenza positiva.

Nelle serie americane è comune l’enfatizzazione del problema razziale, con l’esplicito presupposto del razzismo sistemico bianco denunciato dal radicalismo di sinistra e da movimenti come Black Lives Matter. Un esempio è il citato Le regole del delitto perfetto in cui viene dato per scontato che i neri siano spesso condannati da un sistema giudiziario animato da pregiudizio razziale. Non vedremo sulla scena argomenti che mettano in discussione questa visione a senso unico, ad esempio ammettendo l’evidenza statistica che negli Usa gli afroamericani sono il gruppo etnico più incline alla violenza in tutte le fasce di reddito, tra i poveri come tra i ricchi. O la circostanza che gli agenti di polizia neri applichino le stesse precauzioni dei colleghi bianchi quando affrontano persone di colore.

Altrettanto equivoca è la narrativa sulla transessualità. La costruzione di una narrazione si basa su ciò che si dice quanto su ciò che si tace e potrebbe orientare il pubblico in maniera sgradita al criterio dominante I personaggi trans hanno nelle serie e nei film una presenza spropositata, irrealistica. In almeno due serie Netflix, Gypsy e Designated Survivor, la transessualità non solo viene presentata come naturale fin dall’infanzia, ma lo spettatore viene indotto a credere che gli unici problemi siano l’intransigenza e il rifiuto, la cosiddetta transfobia. In Gypsy i genitori della minore trans si comportano secondo i canoni LGBT, accettando quella che sembra la volontà della bambina (!!) senza interferire o mettere in discussione nulla. La protagonista è una psicologa, ma manca l’avvertenza che la stragrande maggioranza degli episodi di confusione sessuale dei minori sono temporanei e si correggono se non sorgono interessate interferenze. E soprattutto se non vengono somministrati farmaci per impedire la transizione naturale alla pubertà.

In Designated Survivor viene proposta una versione del problema dell’ uso dei bagni: un trans perfettamente femminile è respinto da una toilette comune mentre si lava le mani. La scena è incomprensibile per lo spettatore, a cui viene presentata un’ intolleranza fanatica. Diverso sarebbe se la situazione fosse ambientata in una doccia collettiva senza spazi privati, tipo palestre e piscine. Il trauma femminile di ritrovarsi nude in quel contesto con un essere dai genitali maschili sarebbe più comprensibile. Ma questa scena non la vedremo.

La strategia più efficace per negare le ragioni degli avversari è ignorarle, evitando di raccontare storie che darebbero luogo a un dibattito. La narrativa progressiva orienta attraverso le storie che sceglie e che esclude. Ma anche divulgando una sociologia d’accatto in cui i personaggi conservatori sono l’incarnazione di tutti i mali. Ne Le regole del delitto perfetto il malvagio è un governatore repubblicano. Vi è poi un’ulteriore sofisticata forma di manipolazione: la distorsione dei dibattiti in cui i rivali della visione progressista esprimono sempre argomenti pessimi con argomentazioni risibili. Una strategia chiarissima in Mare dentro (2004), un film che metteva in scena una riflessione sull’eutanasia in cui il protagonista discute con un prete goffo, privo di argomenti, insensibile. Insomma, se devono rappresentare un dibattito, lorsignori si assicurano la posizione di vantaggio. Chi esprime la posizione opposta alle magnifiche sorti progressive deve essere sgradevole anche fisicamente, intellettualmente inetto, privo di capacità dialettiche. Nulla di meglio per manipolare la realtà e indottrinare. I padroni della narrazione non mettono mai in scena una discussione alla pari con chi rappresenta la posizione opposta alla loro. Le carte sono truccate, la tesi è precostituita. Pensiamoci, quando andiamo al cinema o accendiamo la tv.