Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il capitalismo della frammentazione

Il capitalismo della frammentazione

di Pierluigi Fagan - 23/02/2025

Il capitalismo della frammentazione

Fonte: Pierluigi Fagan

Slobodian è uno storico canadese, già autore dell’ottimo Globalist. La fine dell’impero e la nascita del neoliberismo (Meltemi 2021), qui in indagine sull’evoluzione del sistema ideologico di certo capitalismo anglosassone ovvero l’anarco-capitalismo. Titolo originale dell’opera: Crack-Up Capitalism: Market Radicals and the Dream of a World Without Democracy che ha il merito di chiarire subito il punto centrale della questione: un mondo dominato dal mercato e il capitale, libero da ogni residua forma di democrazia.

La forma economica capitalistica sappiamo essere presente in vari modi e intensità nell’intera storia umana incluso il tardo medioevo italiano che creò e raffinò gran parte degli elementi di questa forma economica. Ma solo quando si impossessò dello stato con la Gloriosa rivoluzione inglese del 1688-89, cominciò a diventare sia la forma completa che conosciamo, sia l’unica forma di economia ammessa. Dopo quasi due secoli e mezzo, Il Regno Unito arrivò ad accettare il pieno suffragio universale della forma di rappresentanza parlamentare che diciamo impropriamente “democrazia”. Dopo guerra e dopoguerra, inizia il fastidio delle élite per questa pur imperfetta forma di “democrazia”, precisamente dagli anni ’70 e le prime teorizzazioni dei think tank americani, dalla Trilaterale di Samuel Huntington in giù. A seguire, la versione con sempre meno politica ovvero democratica e sempre più dittatura prima della mano invisibile, poi del capitale finanziario detta “neo-liberismo”. L’anarco-capitalismo è la radicalizzazione ulteriore che, come da titolo originale del libro di Slobodian, sogna un mondo totalmente libero dai vincoli sociali e politici ovvero una monarchia o aristocrazia del capitale.

Tale ideologia anarco-capitalista non va presa come un canone ferreo ma come una costellazione di concetti, ispirazioni e tendenze. Può darsi che, a parte i teorici deputati a disegnare mondi di perfezione logica poco realistici che hanno il fascino dell’ideale, alcuni elementi possano essere usati per applicazioni parzialmente diverse ma concrete come sta facendo e sempre più farà Donald Trump. Vale dunque la pena di vedere cosa dice l’indagine di Slobodian.

Se il nemico per l’anarco-capitalismo è la democrazia, presupposto della democrazia è l’esistenza di uno stato per cui lo stato va smantellato. Si parte proprio dalla revisione della storia, cancellare il portato dell’ultimo secolo di pur discutibili “democrazie” liberali, ma i teorici più estremi vorrebbero in realtà cancellare gli ultimi mille anni e tornare al frazionismo localistico del medioevo europeo barbarico e poi del Sacro Romano Impero. Il tutto creando una collezione variegata di: città-Stato, paradisi fiscali, porti franchi, giurisdizioni private, parchi high-tech, distretti extradoganali, hub per l’innovazione, gated community, isole ed ex piattaforme off-shore, grandi navi in perenne crociera, “zone” speciali in cui non ci sono leggi limitative il libero spirito d’impresa. Zone (esistono -pare- ottantadue tipi diversi di zone) governate con logica d’impresa con amministratori eletti da assemblee di azionisti secondo logica per la quale una azione-un voto e non già una testa-un voto, nazioni start-up. Comunità di “individui sovrani” in cu si eccelle per merito e dove il merito è dato dall’accumulare la maggior quantità di ricchezza possibile, in ogni modo. Mano d’opera servile potrà sempre entrare momentaneamente ma senza diritti (né di cittadinanza, né sociali) e riconoscimenti formali, giusto il tempo che serve per la prestazione, fisica o di concetto, accontentandosi del prezzo pagato che sarà sempre meglio che morire di fame.

Prive di sindacati, di welfare state, con polizia ma anche magistratura (e leggi o contratti) private, da cui si può uscire o chiedere di entrare vantando gradi di omogeneità ideologica ed etnica che l’amministrazione vaglierà. Tali “zone”, al momento della scrittura del libro erano 5400, mille solo nell’ultimo decennio, seguendo il credo del capo della Pay-Pal mafia, Peter Thiel “Se vogliamo incrementare la libertà, dobbiamo incrementare il numero degli stati”. Ecco in che senso gli adepti di questo complesso ideologico si dicono “libertarians” che si traduce non già con “libertari” (che vanno dagli anarchici ai liberali), ma libertariani. Una enclave ideologica tipicamente anglo-sassone che sogna di liberarsi da tutto ciò che si frappone alla logica del mercato e dell’accumulazione del capitale.

Il tutto “piano-piano” con piccole secessioni morbide, recinzioni altrimenti motivate, rovesciamenti subdoli, piccole diserzioni dalla comunità, passo dopo passo, senza fretta, con paziente strategia pluridecennale per creare piccoli mondi di clienti e non già cittadini, in libera competizione tra loro per attrarre capitali, investimenti, talenti. Il tutto ha dato vita ad una vera e propria “transitologia”, la scienza di come cambiare sistemi complessi alla faccia di quelli che ancora si baloccano con la “rivoluzione”. Raggiunta la doverosa massa critica di piccole nazioni-start up, gli stati falliranno uno appresso all’altro per soffocamento ovvero mancanza di ricchezza, capitali e capitalisti secessionisti, quindi raccolta fiscale.

Il pantheon teorico di questi anarco-capitalisti risale alla scuola austriaca, Mises ancor più di Hayek e Milton Friedman, più figlio David e nipote Peter, l’immancabile Ayn Rand, nessuno di loro apertamente così estremi ma fondando i presupposti da cui poi altri teorici hanno sviluppato il discorso. Murray Rothbard, economista e il suo fido scudiero più politico che economico Hans-Hermann Hoppe, celebre per il suo “Democrazia, il Dio che ha fallito” (Liberilibri 2005) sono i riferimenti centrali.

Ma il libro poi sciorina le idee di altri meno noti che però fanno capire come funziona la macchina ideologica fatta di think tank (Cato Institute, Heritage Foundation, Mont Pelerin Society, Von Mises Institute, Rockford Institute, Property and Freedom Society, Hoover Institution e molti, molti altri) con accanto i capitali di Charles Koch (e non solo, ogni magnate da una quota delle sue “donazioni” qui e là, non si sa mai) e il recente entusiasmo della coppia Thiel-Musk, talvolta Ron Paul, articoli su riviste, cattedre universitarie, allettanti convegni e seminari “tropicali”, visibilità pubblica sponsorizzata per la quale, chiunque abbia un minimo di cervello, per convinzione sincera o sinceramente voluta prostituzione intellettuale, fa carriera il che porta denaro e status sociale.

Praticamente la stessa macchina-sistema usata per il neoliberismo a partire dalla Conferenza Lippmann di Parigi del 1938.  Basta riferirsi al canone centrale e apporvi qualche altra ragione, idea, proposta non importa quanto bizzarra e irrealistica nel pieno cliché dell’utopismo che infatti è tradizione inglese da Thomas Moore in poi con buona pace di Popper che infatti faceva l’inglese ma non lo era. Le idee poi non guidano pedissequamente le azioni, ma le ispirano. Tanto alla fine il punto concreto di convergenza è molto semplice, lo stesso da cui originò la rivolta baronale della Magna Charta Libertatum nel 1215: pagare minori tasse possibili -o meglio- per niente o al limite, concessione moderna e momentanea, bassa flat tax per tutti.  

Case histories delle fantasie anarco-capitaliste è fatta da la Compagnia britannica delle Indie orientali, Hong Kong ancora sotto il mandato britannico, le ZES cinesi, la Canary Warf della City di Londra, la duty-free dell’aeroporto Shannon in Irlanda, Singapore, Cayman e Bermuda, Dubai, varie gated community più piccole incluse piattaforme petrolifere pirata, San Marino, Liechtenstein, Lussemburgo, Principato di Monaco, Andorra, la secessione catalana o scozzese o tamil o fiamminga o il Québec canadese, vari casi statunitensi tra cui noti paradisi fiscali come il Delaware per anni base elettorale di Biden, le varie finte nazioni sud africane inventate per difendersi dalle accuse di razzismo segregazionista in cui si distingue il surreale caso del Ciskei (casi che hanno ispirato da Musk in giù ovvero il piccolo gruppo degli ex sudafricani che da sempre hanno mal digerito la perdita del proprio privilegio bianco coloniale che in America dialoga con le mai sopite frange razziste suprematiste e l’Alt-Right), la Brexit quindi l’Ukip. Somaliland e Puntland, Aruba, varie isolette del Pacifico, Abu Dhabi e gli Emirati in genere, la nuova Neom saudita e molti altri casi minori, teorizzati, tentati, abortiti. O casi ancora più bizzarri come l’idea di far amministrare uno stato (come l’Honduras) o una città ad una o più multinazionali o microstati “liberati”. Fino al creare nazioni cloud nel Metaverso, le clound country da portare poi nell’universo concreto con i Bitcoin come moneta denazionalizzata, in quantità fissa che non permetta inflazione. Infine, la nuova terra promessa ovvero Marte per Musk&Co, in cui riiniziare tutto d’accapo senza tradizioni ingombranti e abborrite ideologie politiche. L’agognata tabula rasa su cui rifondare la libertà assoluta dei liberi innovatori coraggiosi.

Del resto, se un libro di Theodor Herzl del 1826, Lo Stato ebraico, ispirò la nascita di uno stato reale (Israele), perché non ricreare i presupposti tramite comunità di persone omogenee per razza, classe, ideologia assimilate dagli algoritmi e riflesse nelle banche dati sempre più vaste e complesse? E cosa meglio di Internet e i social per partire?

Visto che abbiamo citato Israele e Trump come non pensare che la sparata sulla conversione di Gaza in Riviera (una Beirut dei bei tempi andati), non discenda dall’idea di farne una zona economico-finanziaria speciale con grattacieli, casinò, campi da golf e schiavi di servizio, giuridicamente chiusa in se stessa? Diventerebbe l’enclave di tutta l’imprenditoria e finanza invitata a costruire la Via de Cotone che collegherebbe l’India all’Europa e avrebbe terminale proprio sulla costa israeliana. Libera cioè esentasse, opaca ad ogni giurisdizione, totalmente depoliticizzata, amministrata come un fondo sovrano. Del resto, lo statuto giuridico di Gaza è assai incerto, una matassa inestricabile di antico possesso dell’Impero ottomano poi di quello Britannico a cui è seguita gestione egiziana, israeliana, risoluzioni Onu, pretese dell’Autorità palestinese essa stessa di statuto giuridico assai incerto. Certo, tocca sfollare due milioni di palestinesi, raderla definitivamente al suolo (lo è al circa 70% secondo l’ONU), sgombrarla e poi ricostruirla tutta daccapo, e non è questo che si sta facendo dal 7 ottobre del 2023 e che Trump ha annunciato di voler fare?

Qualcuno balbetta che non si può, che gli arabi stessi non sono d’accordo, ma quando la motrice trumpiana minaccerà dazi e ostracismi con una mano e dollari sonanti con l’altra, allaccio o slaccio da Starlink previ strano sabotaggi dei cavi di telecomunicazioni oceanici, sicuri che qualcuno seriamente si opporrà? Chi? Hamas ridotto a ricordo o Hezbollah crivellato a morte o l’Iran nel frattempo bombardato da Israele con missili che partono da aerei talmente lontani da non apparire neanche nei radar? Inoltre, una bella Zona Speciale franca sul Mediterraneo servirebbe anche a disciplinare i vari staterelli europei che ancora si ostinano a tassare e provare a normare la foga libertariana del capitale e dello sciame di capitalisti che potrebbero spostare lì la residenza e domicilio fiscale, propria e delle proprie aziende, altro che Olanda! Insomma, già si immagina una bella Trump Tower svettante nella New Gaza ora diventata un vero e proprio paradiso…fiscale, libertariano.

Donald Trump ha vinto le sue elezioni per soli due milioni di voti su 150 milioni (77 a 75 milioni contro la pur sbiadita Harris) di votanti, due terzi degli aventi diritto. Tutto quello che ha fatto e facciamo fatica a commentare data un solo mese dall’effettiva presa in carica. Già si parla di revisione costituzionale per superare il limite dei due mandati salvo scontro alla dinamite nelle prossime mid-term. Per altro, la risicata maggioranza statisticamente e non elettoralmente fondata e l’impeto assai inusuale degli atti politici di questo primo mese di presidenza, al momento si riflettono in giudizi tutt’altro che positivi nei vari sondaggi di opinione (ad esempio Gallup). La rivoluzione anarco-capitalista è appena iniziata anche se è presto per dire se e come continuerà. Che paradossalmente sia portata avanti da un presidente dello stato -ancora oggi- più potente del mondo non è contraddizione.

Per i pragmatisti le idee servono o non servono, producono effetti o meno, stanno mica lì a controllare coerenze e specifiche come quei marxisti ancora oggi alle prese con qualche rinnovata edizione critica de Il Capitale, manco fosse il Corano. I pragmatisti l’XIa Tesi su Feuerbach l’hanno capita meglio dei marxisti e lasciano volentieri a questi l’interpretazione del mondo, mentre loro lo cambiano.