Il caso dell'Ilva
di Andrea Zhok - 06/11/2019
Fonte: Andrea Zhok
Il caso dell'Ilva, così come quello dell'Alitalia, sono casi di aziende strategiche per il tessuto produttivo nazionale, che continuano a drenare enormi quantità di denaro pubblico da anni, creando al contempo danni collaterali e perdendo quote di mercato, mentre passano da un'improbabile cordata privata ad un'altra.
Sono dunque due casi da manuale dove la loro sorte naturale sarebbe la nazionalizzazione. Peraltro, in quanto aziende che possono essere dichiarate strategiche per l'interesse nazionale, esse possono essere nazionalizzate anche secondo gli attuali trattati europei.
Ora, l'abisso in cui naviga la politica italiana si evidenzia notando come l'idea di una nazionalizzazione autentica (per gestirle, non solo formalmente, per rivenderle) non sfiori seriamente la mente di nessuno. Ogni tanto qualcuno menziona il concetto per poter dire che lui 'l'aveva detto', ma in effetti è una prospettiva al di fuori dell'agenda pubblica.
(Incidentalmente questo che abbiamo, ci assicurano dalla regia, sarebbe il 'governo più a sinistra' concepibile nel panorama politico italiano attuale.)
Il punto di fondo di questo silenzio è molto semplice: la classe politica italiana è convinta che la classe politica italiana gestirebbe un'azienda nazionalizzata in maniera nepotistica, inefficiente, che ne approfitterebbe per procedere a scambi di favori per arricchimenti personali, che ne farebbe un carrozzone decotto. Il fatto che siano già entrambi carrozzoni decotti a gestione privata non toglie una virgola a questa convinzione di fondo. Che sia perché 'lo stato è inefficiente', perché 'la politica è corrotta', o perché 'gli italiani sono inaffidabili', questa è comunque la rosa delle opzioni disponibili nelle menti dei rappresentanti politici dello stato italiano.
Ora, chi ha bisogno di invocare l'oppressione dei trattati europei quando la schiavitù è stata così perfettamente introiettata? Sembrano le opinioni degli schiavi neri o dei servi della gleba russi dopo le relative emancipazioni, quando non si fidavano di essere in grado di prendere il governo delle proprie vite e continuavano ad aspettare ordini.
Ora, io non so se le opinioni che il ceto politico nazionale ha di sé stesso e delle proprie capacità siano fondate o meno. Quello che però è certo è che in entrambi i casi, con un ceto politico di questa natura la breve favola dell'Italia come democrazia sovrana è già finita.
Mi spiace dirlo, ma è da qui che si parte. Inutile parlare di indipendenza del paese, di autonomia, di 'multilateralismo', di sovranità se le nostre classi dirigenti sono schiave dentro.